di
Giuseppe Bivona
Il tempo , per il contadino. era legato alle stagioni: c’era un tempo per la semina, un tempo per la raccolta , un tempo per riposare,un tempo per festeggiare. E’ questo tempo era immutabile.
Il ritmo della vita non si poteva cambiare ,il rapporto con la natura e con i propri simili erano fissati , radicati, ritualizzati nella perenne lotta per la sopravvivenza. Perciò cambiare, sarebbe stato un rischio, una trasgressione. Gli uomini erano immersi ,coinvolti nella natura dalla quale dipendeva tutto.
Per questo erano indotti ad identificarla con una entità suprema,eterna, nei confronti della quale provavano soggezione e gratitudine e con essa in ogni momento, dovevano vivere in armonia.
( Vittorio De Seta)
Novembre da noi è di solito il mese più piovoso , ma quell’anno fu particolarmente abbondante:sembrava non volesse smettere. Perciò Don Vincenzo aveva deciso,approfittando dei giorni di pioggia , non potendo svolgere alcuna attività in campagna, di andare a Palermo per far visita alla sua unica figliola, che frequentava l’università. La moglie la sera prima aveva preparato ogni sorta di pietanze, un vero ben di dio, convinta la gna’ Agata ,che chissà quante calorie consumasse il cervello impegnato nello studio su quei libri enormi!
La mattina presto, Don Vincenzo prese la corriera e in poco più di tre ore lo condusse dritto a Palermo. Qui, con il suo voluminoso e ingombrante bagaglio prese una carrozza che in meno di mezzora lo portò al collegio delle suore dove alloggiava la sua figliola. La suora lo accompagnò nella stanza dove la figlia condivideva con altre due colleghe .Queste ultime per delicatezza si allontanarono e lasciarono la loro compagna sola con Don Vincenzo. Ma presto si fece l’ora delle lezioni e l’anziano contadino salutò la figlia e se ne andò. Le due compagne curiose aiutarono la loro amica a disfare il grosso pacco pieno di ogni prelibatezza paesane. Finché, una le pose la domanda chi era quell’uomo anziano, dal viso segnato dalla fatica- di certo un contadino- che le aveva portato il grosso pacco. La ragazza sembrava aspettarsi quella domanda e con naturale franchezza rispose: “ E’ un uomo di fatica di casa nostra”
Siamo vissuti ,e per certi versi viviamo ancora, in un paese dove la diffidenza , il disprezzo e l’odio per il mondo contadino, hanno dato vita ad una piattaforma ideologica –culturale condivisa dalla generalità delle forze politiche senza alcuna eccezione .L’anatema della cultura “progressista” per il “villano,bifolco,rustico” trae origine dall’assimilarlo ad “ignorante, zotico, analfabeta”,come espressione di un subdolo interclassismo , se non di un populismo reazionario, di oscurantismo.
Insomma un termine da esorcizzare, quasi una etichetta infamante,da affibbiare a fini di delegittimazioni sgradite.
Negli anni di maggior “follia” ,sindacalisti, politici ,tecnici,gridavano a squarcia gola: “ Ora non siete più “ contadini” con la schiena piegata dalla fatica, i volti segnati segnati dalla stanchezza…d’ora in poi vi chiamerete “agricoltori” sarete rispettabili imprenditori, a pari dignità con le altre imprese produttive.
In questi stessi anni di fervente sciovinismo,la stessa sigla sindacale “ Alleanza Contadina” si vergognò delle sue umili origine e si ribattezzò : “Confederazione Italiana Coltivatori” . Ma anche questa sigla ebbe vita breve, la meta era “Confederazione Italiana Agricoltori.
Eravamo tutti impegnati a rimuovere ogni più piccolo residuo di “ruralità” ovunque si nascondesse, abbattere le ultime resistenze, fino ad interiorizzare nel mondo contadino lo stato di colpa.
Ma non si chiamava mercato dei contadini ,quello che ho visitato, alcuni anni fa, un sabato a Pisa , mentre girovagavo per la città in attesa del volo per Palermo?
No, meglio chiamarli mercato dell’agricoltore, decide la nostra amministrazione regionale! Diamo così un tocco di professionalità ,di imprenditorialità . I contadini sono un retaggio del passato un mondo in via di estinzione,un ostacolo al cambiamento!
Eppure se qualcuno delle teste d’”uovo” che dirigono l’Assessorato all’Agricoltura si sarebbero preso la briga di leggere ,l’ultimo libro di Jan van der Ploeg “ I nuovi contadini” sottotitolo “ Le campagne e le risposte alla globalizzazione” ci saremmo risparmiati un “penoso” Programma di sviluppo rurale e …la mortificazioni per i poveri contadini.
Van der Ploeg ,professore di sociologia rurale presso l’Università di Wageningen , non usa mezzi termini : gli imprenditori agricoli sono caduti nella trappola del sistema di produzione dominato da duplici interessi: da un lato l’industria dei mezzi di produzione( Macchine ,concimi sementi ecc dall’altro dell’impero agroalimentare. Stretti da queste due “morse” gli imprenditori agricoli convenzionali sono sempre più stritolati e soffocati senza alcuna possibilità di salvezza.
I soli che possono opporsi a questo strapoteri sono i contadini o meglio i nuovi contadini i quali rifiutano il sistema di “ mercificazione” ,ampliano la propria autonomia aziendale e privilegino il valore d’uso delle produzione al valore di scambio.
Il “ valore d’uso” domina nel mercato del contadino , al contrario dal “valore di scambio” del mercato dell’agricoltore, cosi come le produzioni zootecniche degli allevamenti intensivi ,razionali superigenici non sono minimamente confrontabili con le produzioni degli eroici pastori le cui produzioni sono da sempre caratterizzate “ sotto le stelle”.
Sono le produzioni dei contadini , i soli che hanno un rapporto diretto con la terra ,le piante,gli animali, ma soprattutto con le persone che acquistano e si cibano dei loro prodotti .
Giuseppe Bivona
Il tempo , per il contadino. era legato alle stagioni: c’era un tempo per la semina, un tempo per la raccolta , un tempo per riposare,un tempo per festeggiare. E’ questo tempo era immutabile.
Il ritmo della vita non si poteva cambiare ,il rapporto con la natura e con i propri simili erano fissati , radicati, ritualizzati nella perenne lotta per la sopravvivenza. Perciò cambiare, sarebbe stato un rischio, una trasgressione. Gli uomini erano immersi ,coinvolti nella natura dalla quale dipendeva tutto.
Per questo erano indotti ad identificarla con una entità suprema,eterna, nei confronti della quale provavano soggezione e gratitudine e con essa in ogni momento, dovevano vivere in armonia.
( Vittorio De Seta)
Novembre da noi è di solito il mese più piovoso , ma quell’anno fu particolarmente abbondante:sembrava non volesse smettere. Perciò Don Vincenzo aveva deciso,approfittando dei giorni di pioggia , non potendo svolgere alcuna attività in campagna, di andare a Palermo per far visita alla sua unica figliola, che frequentava l’università. La moglie la sera prima aveva preparato ogni sorta di pietanze, un vero ben di dio, convinta la gna’ Agata ,che chissà quante calorie consumasse il cervello impegnato nello studio su quei libri enormi!
La mattina presto, Don Vincenzo prese la corriera e in poco più di tre ore lo condusse dritto a Palermo. Qui, con il suo voluminoso e ingombrante bagaglio prese una carrozza che in meno di mezzora lo portò al collegio delle suore dove alloggiava la sua figliola. La suora lo accompagnò nella stanza dove la figlia condivideva con altre due colleghe .Queste ultime per delicatezza si allontanarono e lasciarono la loro compagna sola con Don Vincenzo. Ma presto si fece l’ora delle lezioni e l’anziano contadino salutò la figlia e se ne andò. Le due compagne curiose aiutarono la loro amica a disfare il grosso pacco pieno di ogni prelibatezza paesane. Finché, una le pose la domanda chi era quell’uomo anziano, dal viso segnato dalla fatica- di certo un contadino- che le aveva portato il grosso pacco. La ragazza sembrava aspettarsi quella domanda e con naturale franchezza rispose: “ E’ un uomo di fatica di casa nostra”
Siamo vissuti ,e per certi versi viviamo ancora, in un paese dove la diffidenza , il disprezzo e l’odio per il mondo contadino, hanno dato vita ad una piattaforma ideologica –culturale condivisa dalla generalità delle forze politiche senza alcuna eccezione .L’anatema della cultura “progressista” per il “villano,bifolco,rustico” trae origine dall’assimilarlo ad “ignorante, zotico, analfabeta”,come espressione di un subdolo interclassismo , se non di un populismo reazionario, di oscurantismo.
Insomma un termine da esorcizzare, quasi una etichetta infamante,da affibbiare a fini di delegittimazioni sgradite.
Negli anni di maggior “follia” ,sindacalisti, politici ,tecnici,gridavano a squarcia gola: “ Ora non siete più “ contadini” con la schiena piegata dalla fatica, i volti segnati segnati dalla stanchezza…d’ora in poi vi chiamerete “agricoltori” sarete rispettabili imprenditori, a pari dignità con le altre imprese produttive.
In questi stessi anni di fervente sciovinismo,la stessa sigla sindacale “ Alleanza Contadina” si vergognò delle sue umili origine e si ribattezzò : “Confederazione Italiana Coltivatori” . Ma anche questa sigla ebbe vita breve, la meta era “Confederazione Italiana Agricoltori.
Eravamo tutti impegnati a rimuovere ogni più piccolo residuo di “ruralità” ovunque si nascondesse, abbattere le ultime resistenze, fino ad interiorizzare nel mondo contadino lo stato di colpa.
Ma non si chiamava mercato dei contadini ,quello che ho visitato, alcuni anni fa, un sabato a Pisa , mentre girovagavo per la città in attesa del volo per Palermo?
No, meglio chiamarli mercato dell’agricoltore, decide la nostra amministrazione regionale! Diamo così un tocco di professionalità ,di imprenditorialità . I contadini sono un retaggio del passato un mondo in via di estinzione,un ostacolo al cambiamento!
Eppure se qualcuno delle teste d’”uovo” che dirigono l’Assessorato all’Agricoltura si sarebbero preso la briga di leggere ,l’ultimo libro di Jan van der Ploeg “ I nuovi contadini” sottotitolo “ Le campagne e le risposte alla globalizzazione” ci saremmo risparmiati un “penoso” Programma di sviluppo rurale e …la mortificazioni per i poveri contadini.
Van der Ploeg ,professore di sociologia rurale presso l’Università di Wageningen , non usa mezzi termini : gli imprenditori agricoli sono caduti nella trappola del sistema di produzione dominato da duplici interessi: da un lato l’industria dei mezzi di produzione( Macchine ,concimi sementi ecc dall’altro dell’impero agroalimentare. Stretti da queste due “morse” gli imprenditori agricoli convenzionali sono sempre più stritolati e soffocati senza alcuna possibilità di salvezza.
I soli che possono opporsi a questo strapoteri sono i contadini o meglio i nuovi contadini i quali rifiutano il sistema di “ mercificazione” ,ampliano la propria autonomia aziendale e privilegino il valore d’uso delle produzione al valore di scambio.
Il “ valore d’uso” domina nel mercato del contadino , al contrario dal “valore di scambio” del mercato dell’agricoltore, cosi come le produzioni zootecniche degli allevamenti intensivi ,razionali superigenici non sono minimamente confrontabili con le produzioni degli eroici pastori le cui produzioni sono da sempre caratterizzate “ sotto le stelle”.
Sono le produzioni dei contadini , i soli che hanno un rapporto diretto con la terra ,le piante,gli animali, ma soprattutto con le persone che acquistano e si cibano dei loro prodotti .
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