giovedì 12 gennaio 2012

Il mondo salvato dai ….contadini

di Giuseppe Bivona

    Da qualche mese è in libreria  un appassionante saggio di Silvia Perez-Vitoria “Il ritorno dei contadini” pubblicato dalla battagliera casa editrice Jaca Book .

Ma come? Ci siamo chiesti stupiti ! Non erano stati sradicati ed espulsi dalle campagne , imbarcati sui bastimenti, negli anni a cavallo tra l’ottocento e il novecento , verso le Americhe, alimentando un flusso migratorio di proporzioni bibliche?
Non ne avevano sterminato abbastanza i bolscevichi  durante e dopo la rivoluzione russa perché controrivoluzionari?.
E le campagne cambogiane non furono trasformate in un vero e proprio “inferno” in cui gettare milioni di” borghesi” da epurare e massacrare, restii ai programmi di rieducazione imposti dalla brillante follia “intellettuale” di Pol Pot ?.
Comunque sia, accomunate dall’ onda lunga della “modernità”, sia  la rivoluzione industriale che le ideologie rivoluzionarie, in nome del sol dell’avvenir, sovvertirono e cancellarono tutto ciò che si legava alla vecchia e vituperata civiltà contadina :dalla famiglia , all’idea di lavoro ,dal risparmio alla gerarchia dei valori ecc Il contadino era l’incarnazione del vecchio , una figura sociale retriva ,restia al cambiamento ,insomma un ostacolo da eliminare  senza indugio , se si voleva costruire l’”uomo nuovo”!
Stranamente ,negli anni del dopoguerra il mondo contadino subì un’eutanasia, apparentemente indolore e volontaria, assunse sempre più i connotati di un suicidio collettivo , una diffusa volontà di annientarsi ,scomparire . Come un fiume alla deriva, abbandonarono in massa le campagne , attratti  dal luccichio ingannevole delle città! Non volevano essere più tali! Rinnegarono se stessi, per essere altro da se! Abbracciarono la” modernità” con l’entusiasmo tipico del neofita della prima ora . Per quanto più gli costava allontanarono i propri figli dalla terra , recisero i valori ad essa legata,ne cancellarono la memoria.
Ancora esterrefatti ci chiediamo: ma come sia stato possibile consumare un si tragico misfatto nel più completo e totale silenzio?
In verità , alcuni intellettuali  (ricordate la polemica sulla scomparsa delle lucciole di Pier paolo Pasolini?) ,percepirono la tragicità dell’evento , avvertirono le nefaste  conseguenze , luttuose e irreparabili ,che la fine del mondo contadino trascinava con se.
Per il resto , il vasto fronte ideologico –culturale , condivise la diffidenza e il disprezzo per il mondo contadino , anzi coloro che si sono proclamati portavoce degli interessi delle popolazioni rurali, hanno contribuito ad  accelerarne la scomparsa!
Tra questa folta schiera oltre a politici e sindacalisti, annoveriamo i tecnici ,ricercatori e agronomi. Veri e propri “cavalli di Troia”, portatori di un sapere omologato,di conoscenze appiccicaticce, forte di soli pochi anni di esperienza ,ma baldanzosi pei primi risultati  prontamente “spendibili”.Così ,hanno avuto ragione di una secolare e “sedimentata” esperienza che, in loco, era stata accumulata e tesaurizzata da intere generazioni ,un sapere non separato dal “fare”, ma mediato, riprodotto , trasformato e articolato dalla comunità.
La distanza tra saperi tradizionali e saperi cosi detti scientifici è abissale! Si confrontano e si scontrano due diversi modi di rapportarsi alla “natura”. Per la cultura contadina la natura(ne benigna ,ne maligna ma  solo crudelmente innocente ) si inserisce in una visione del mondo nel quale l’uomo è parte integrante della stessa  con cui interloquisce nel rispetto delle entità biotiche e abiotiche . Per la ricerca agronomica l’uomo può separarsi dalla natura grazie alla tecnologia e potenzialmente e parzialmente dominarla . Queste conoscenze tendono ad avere un carattere generalizzabile , estensibile a luoghi e ad ambienti diversi e distanti tra di loro . Insomma il sapere non è più una prerogativa di una comunità e di una realtà locale : e quello che potremmo definire un sapere “hors sol”!. Ma non è stata questa forse la fonte dei frequenti fallimenti degli agronomi  ogni qual volta tentavano di trasferire in ambienti diversi le stesse tecniche  ? Oppure  nel voler applicare modelli colturali”standardizzati”  rivelandosi nel medio e lungo periodo, inadatti agli ambienti presi in considerazione?
Abbiamo maturato in questi ultimi anni una consapevolezza che ci consente oggi di denunciare  come la ricerca agraria , da originario strumento di conoscenza e acuta osservazione in “loco”degli eventi, sia diventata sempre più “apparato” elefantiaco e burocratico   impegnata  ad autosostenersi e autoriprodursi ,immersi nella retorica della  nell’autoreferenzialità. Abbiamo i  santuari sacri del sapere, la cui custodia è affidata ai  nuovi sacerdoti ,i soli veri leggittimi depositari della verità!. Questsa ricerca intesse sempre più stretti vincoli d’interesse culturali con le industrie agro-alimentari ,con le quali ha quasi sempre una visione “convergente” (vedi ogm) ma che inevitabilmente contribuiscono, attivamente ,al deterioramento dei sistemi agrari.
 Per anni il paragone tra agricoltura industriale e tradizionale e stata istituita in base a criteri puramente economici : scarti di produttività ,redditività del lavoro  efficienza ecc. Tutto il” resto” cioè l’ambiente , la qualità della vita ,la cultura ,il benessere ( da non confondere con il bene avere), non viene mai preso in considerazione .Sono rari gli studi che permettono di considerare i sistemi agricoli nelle loro totalità: la dove si è tentato un approccio che tiene conto dell’insieme delle risorse vie fuori che l’agricoltura tradizionale è più produttiva di quella industriale.
Ma “Il ritorno dei contadini”non è un idea-progetto antistorico? Come si possono spostare indietro le lancette del orologio della storia? Come dovranno essere i contadini di domani?
Anche se volessimo  un ritorno,  siamo seri ,sarebbe impossibile ,ne sarebbe possibile  un suo “restauro” ne la sua “conservazione”.
Tuttavia possiamo e dobbiamo ricucire un lacerato (e spesso spezzato) rapporto con la terra ,e col suo retroterra culturale cioè con la natura ,con il ciclo della vita(e della morte)
Dobbiamo ripristinare la “diversità” di cui il mondo rurale ne è la più significativa espressione per la semplice ragione che  oggi, rimane depositaria di una grandissima varietà di ecosistemi e organizzazioni sociali  di saperi e sapori ,quella che viene definita cultura materiale. 
L’ autrice ,Silvia Perez-Vitoria è perentoria! Conclude l’ultimo capitolo del suo libro con un titolo significativo: Il XXI° secolo sarà contadino…. o non sarà
Buona lettura!

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