mercoledì 2 luglio 2025

AREE INTERNE ADDIO

 

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IL GOVERNO: “DECLINO ORMAI IRREVERSIBILE”. NIENTE PIÙ INVESTIMENTI PER TENERE I GIOVANI E PORTARE SERVIZI

Nella nuova strategia appena resa pubblica (Psnai) Meloni e soci condannano vasti pezzi del Paese: “Non possono invertire la tendenza, ne va accompagnata la decadenza”

 

C’è un passaggio, in un documento ministeriale pubblicato quasi in sordina all’inizio dell’estate, che dovrebbe far tremare le fondamenta della nostra Repubblica. È una frase contenuta a pagina 45 del nuovo Piano Strategico Nazionale delle Aree Interne 2021-2027 (PSNAI), approvato con grande ritardo e redatto tra le nebbie dei dipartimenti centrali. Si trova nell’“obiettivo 4: Accompagnamento in un percorso di spopolamento irreversibile”. E recita: “Queste aree non possono porsi alcun obiettivo di inversione di tendenza ma nemmeno essere abbandonate a se stesse. Hanno bisogno di un piano mirato che le accompagni in un percorso di cronicizzato declino e invecchiamento”.

NON È UNA BATTUTA, né un refuso. È la nuova linea di indirizzo strategico dello Stato verso centinaia di Comuni italiani, per lo più montani, collinari o rurali. Si tratta di un cambio di paradigma silenzioso ma devastante: si rinuncia ufficialmente all’idea di invertire la tendenza allo spopolamento. Si pianifica il declino. Lo si accompagna. Lo si normalizza.

Per capire la portata della questione, bisogna risalire alla definizione di Aree Interne: sono quasi 4.000 Comuni italiani, sparsi in ogni regione, che si trovano lontani dai centri dove si concentrano servizi essenziali come sanità, istruzione e mobilità. Coinvolgono oltre 13 milioni di cittadini, il 23% della popolazione, distribuiti su quasi il 60% del territorio nazionale. In pratica, l’italia profonda. Quella che custodisce boschi, pascoli, acque, borghi storici, comunità coese. E che oggi si vede diagnosticare una malattia terminale.

Nel PSNAI, approvato nel marzo 2025 ma diffuso solo ora, lo Stato compie una distinzione netta tra territori rilanciabili e territori senza speranza. I secondi, si legge, hanno una struttura demografica compromessa, con popolazione in forte declino e basse prospettive di sviluppo. E quindi, si conclude, non possono avere obiettivi di rilancio. Ma cosa significa, in pratica? Significa che non si investirà più per trattenere giovani o attrarne di nuovi. Che non si costruiranno più servizi in quei luoghi. Che si pianificherà una dignitosa decadenza: un welfare del tramonto che fornisca badanti e medicine, ma non opportunità né speranza.

Un gruppo di studiosi, amministratori e attivisti, riuniti il 12 giugno dal CERSTE, ha avuto il coraggio di dire le cose come stanno: questo documento è un verdetto, non una strategia. E viola in spirito l’articolo 3 della Costituzione, là dove parla dell’impegno della Repubblica a rimuovere gli ostacoli che limitano l’eguaglianza e la partecipazione di tutti i cittadini. Invece di rimuoverli, li si consacra. Si adottano criteri tecnici tempi di percorrenza, densità, indicatori statistici che ignorano la realtà sociale e culturale dei luoghi. Si dimentica che molte fragilità sono state indotte da scelte politiche e tagli strutturali. Che non si può misurare la vitalità di un borgo solo coi numeri dell’anagrafe.

LE IMPLICAZIONI economiche sono enormi. Si accentua la polarizzazione tra città affollate e campagne abbandonate. Si crea un’Italia a doppia velocità dove le periferie non sono più nemmeno oggetto di recupero, ma di gestione passiva. Eppure, proprio in quei territori ci sarebbero opportunità strategiche: agricoltura sostenibile, turismo lento, energie rinnovabili, coesione sociale, difesa idro-geologica. Il paradosso è che nel resto d’Europa, dalla Francia ai Paesi nordici , le aree rurali sono oggetto di investimenti e valorizzazione. Hanno rappresentanza istituzionale, accesso a fondi dedicati, programmi a lungo termine. In Italia, invece, si preferisce accompagnare al tramonto.

Non è solo un errore tecnico. È un messaggio devastante: Non contate più. È anche una questione di dignità: le comunità che resistono nelle Aree Interne non vogliono compassione. Vogliono giustizia, possibilità, strumenti. Questo è il punto che il PSNAI ignora. Le Aree Interne non sono solo problemi da contenere, come pare emergere dal documento. Sono risorse da liberare. E se l’Italia vuole davvero essere una nazione coesa, deve smettere di pensare in termini di resa amministrativa e tornare a fare politica, nel senso più alto: ascoltare, valorizzare, scegliere. Perché un Paese che dichiara la fine di sé stesso, un borgo alla volta, sta smettendo di essere una Repubblica.

martedì 1 luglio 2025

QS Sicilia

 BeppePersin


Periodicamente si alimenta la discussione sui marchi e i marchi non marchi. Qual'è la differenza?   i primi sono tutti  quei strumenti tecnocrati, previste dall'UE per tutelare le produzioni agroalimentari, e che godono di visibilità e finanziamenti adeguati,  i secondi mentre sono tutti quelli non riconosciuti dall'UE, ma che si avvalgono della cassetta degli attrezzi dei marchi ufficiali (Regolamenti, commissioni e disciplinari), e spesso   la visibilità è annebbiata  dalla confusine, ma sopratutto non hanno diritto a finanziamenti come i marchi UE.   Ma non è  questo che voglio  rappresentarvi   

Vi presento mentre un marchio riconosciuto dall'UE (la Sicilia è una delle poche regioni che ha avuto questo privilegio) Sicilia Qualità Sicura,     che mira  a dare certezza al consumatore circa la provenienza, la tracciabilità e la sicurezza alimentare dei prodotti,   ma anche a proteggere i prodotti siciliani da alterazioni, sofisticazioni e potenziali truffe.

Uno strumento che consente alle aziende di qualificare ulteriormente  le produzioni, destinato a tracciare una linea di demarcazione, tra la tanta approssimazione circolante, e il rispetto delle norme a difesa dei consumatori, ma anche a tutela del mondo produttivo.
Se uno legge la legge intravede sia il pensiero di Veronelli che di Pietrini,  se pur il legislatore non li cita mai.



 Coerente alle prescrizioni di cui agli orientamenti comunitari per gli aiuti di Stato nel settore agricolo e forestale 2007-2013,  (2006/C 319/01)potranno beneficiare di interventi finanziari dall’U.E.
Dopo un percorso lungo e laborioso QS Sicilia rappresenta,   una novità assoluta. E’ un marchio riconosciuto a livello europeo,  “Qualità Sicura Sicilia”. Fino ad oggi i prodotti DOC,DOP, IGT e tutti gli altri prodotti siciliani di qualità avevano dei riferimenti di ambito territoriale limitato. Attraverso il QS Sicilia il consumatore potrà conoscere con esattezza la provenienza del prodotto ed avere certezza che è stato realizzato con procedimenti controllati e rispondenti a precisi disciplinari adottati dalla Regione Siciliana e controllati da enti certificatori. Il marchio QS Sicilia è un marchio collettivo di proprietà esclusiva della Regione Siciliana e potrà essere attribuito gratuitamente a singoli produttori ed a soggetti collettivi che ne facciano richiesta e che si attengano ai disciplinari definiti dalla Regione per le singole categorie di prodotti. Il QS Sicilia sarà attribuito automaticamente ai prodotti già certificati (DOC,DOP,IGP, etc) e ai prodotti del sistema integrato mentre verrà verificato caso per caso per le altre tipologie di prodotto.
 L’obiettivo è quello di tutelare i prodotti agricoli e alimentari con un elevato standard qualitativo controllato, attuare azioni di informazione ai consumatori sulla provenienza e sulla qualità dei prodotti agroalimentari certificati e promuovere e sostenere il marketing di questi prodotti.
Il marchio, di proprietà della Regione Siciliana, può essere concesso in uso a tutti gli operatori dell’Unione Europea – iscritti nel registro delle imprese delle Camere di commercio o presso organismi analoghi di altri stati membri dell’Ue – che ne facciano richiesta all’assessorato regionale dell’Agricoltura, dello sviluppo rurale e della pesca mediterranea.
Le categorie per le quali si potranno utilizzare il marchio sono:
-          farine e preparati fatti di cereali, pane, pasticceria e confetteria, gelati, zucchero, miele, sciroppo di melassa, lievito,   aceto, salse (condimenti), spezie;
-          granaglie e prodotti agricoli, orticoli e forestali non compresi in altre classi, animali vivi, frutta e ortaggi freschi, sementi, piante e fiori naturali, alimenti per gli animali, malto;
-          bevande alcoliche (escluse le birre)
-          servizi di ristorazione (alimentazione);
In particolare, si potrà usare il marchio “Qualità Sicura Sicilia” per i prodotti agricoli e alimentari regolati da sistemi di qualità riconosciuti dell’Ue (Dop, Igp, Stg, Bio) e per il vino e le bevande spiritose; per i prodotti agricoli e alimentari certificati sulla base dello standard definito dalle norme tecniche di produzione integrata; per i prodotti agricolo-zootecnici e alimentari ottenuti aderendo a specifiche norme di produzione che mirano al conseguimento di un elevato livello qualitativo del processo produttivo; per i servizi di ristorazione per la somministrazione di questi prodotti.
 In ogni caso, i prodotti devono risultare liberi da Ogm, devono rispettare le norme su sicurezza e igiene ed essere normati da un disciplinare di produzione, da un regolamento, da un ente certificatore esterno e da una commissione  in materia.

venerdì 6 giugno 2025

convegno conclusivo del Progetto Wool2Resource

 Simone Sangiorgi

Innovation Broker

Quando le esigenze del territorio incontrano le intuizioni di alcuni ricercatori si verificano sinergie positive per entrambe le parti. Questo hanno raccontato e presentato, al pubblico presente, i relatori al convegno conclusivo del Progetto Wool2Resource a Palermo presso ISZ della Sicilia il 5 giugno 2025.


Hanno portato i saluti il Commissario, Dr. Giovanni Siino e il Direttore, Dr. Vincenzo Guella dell’ISZ, il Dr. Fabrizio Parisi in rappresentanza dell’ODAF di Palermo.

Al convegno hanno partecipato un nutrito gruppo di studenti dell’Istituto Superiore E. Majorana di Palermo, indirizzo agrario, accompagnati dai loro docenti, una delegazione di aziende agricole e zootecniche, partner del progetto, Agronomi, Veterinari e giornalisti del settore.

La premessa che ha portato alla presentazione del progetto, stava nel fatto che gli allevatori di ovini, da qualche anno, manifestavano una problematica legata allo smaltimento della lana prodotta con la tosatura dei propri animali. Infatti la lana è considerata un rifiuto di categoria 3, in base al Regolamento (CE) n.1069/2009.  Quindi deve essere imballata e portata in impianti di smaltimento specifici con conseguenti costi aggiuntivi di smaltimento per le aziende zootecniche. 


 

In Sicilia, si producono, annualmente con la tosatura, circa 1.000.000 kg di lana da smaltire.

Il Gruppo Operativo “Nuovi Orizzonti per lana ovina, con la componente tecnico-scientifica e con la sapiente capacità gestionale e non solo del proprio Presidente, Dr. Sebastiano Tosto, hanno presentato i risultati, non definitivi, delle attività del Progetto Wool2Resource, finanziato con la Sottomisura 16.1 del PSR Sicilia 2014-2022.

L’ing. Rosalia Tatano, in rappresentanza dell’azienda dei Fr.lli Tatano, (Cammarata) ha descritto il percorso che ha portato alla progettazione e alla realizzazione del prototipo, (pirolizzatore) in grado di trasformare la lana sucida, in assenza di ossigeno e alla temperatura di 500°C, per cicli di 3-4 ore, in un composto carbonioso, (biochar) simile nell’aspetto alla carbonella. 

L’università degli Studi di Palermo ha raccolto la sfida, con l’entusiasmo che nasce quando la ricerca incontra un problema reale del territorio. Infatti le relazioni della Prof.ssa D. Chillura Martino, del Prof. P. Lo Meo e del Dr. Calogero Librici hanno presentato le risultanze delle caratteristiche fisico e fisico- chimiche del biochar, analizzate in laboratorio. Un materiale definito interessante, da potere utilizzare sicuramente nei suoli acidi, con una buona capacità di ritenzione idrica pari al 70% in peso, relativamente leggero con una densità apparente di 0.8 g/cm3. Sono state valutate positivamente la buona presenza di Potassio (K), Calcio (Ca) e Ferro (Fe).  Infine è emerso un fatto importante quale la stabilità del Carbonio che viene intrappolato nel terreno per decenni e sottratto, quindi,  all’atmosfera. Sono caratteristiche fondamentali per capire se questo nuovo biochar può davvero migliorare i suoli agricoli, restituendo valore a ciò che fino a ieri era considerato un rifiuto. Parafrasando, hanno concluso che anche la scienza, a suo modo, può filare la lana: non per farne maglioni, ma per trasformarla in risorsa. Così la memoria del mondo contadino si intreccia con le tecnologie ambientali, in un dialogo che guarda al futuro senza dimenticare le mani che da sempre lavorano la terra.

Innovativo il contributo che ha portato EZ Lab, una MarTech, partner tecnologico di Wool2Resource, una company che dà voce a ogni prodotto grazie alla tracciabilità blockchain. Così si è espresso il Dr. Salvatore Zappalà, parlando del paradigma del Gemello Digitale (Digital Twin) per collegare ogni dato di processo al singolo prodotto, generando il suo Passaporto Digitale: sicuro, trasparente e verificabile.

Il Dr. Simone Sangiorgi, Innovation Broker ha presentato i risultati del collaudo in campo del biochar presso le 2 aziende sperimentali-dimostratrici, partner del progetto. Presso la serra dell’Azienda Agricola S. Agata dei Fr.lli Scaglione, in territorio di Castronovo di Sicilia, si sono effettuati 2 cicli produttivi di specie ortive da foglia (Lattuga, Indivia e Bieta) con parcelle con concentrazioni di biochar al 3.50 e 7.00%,  in confronto con un substrato di riferimento. Mentre presso i Vivai Platani di Bruno Marino, si sono fatte delle prove con alcune specie vegetali a rapido (Eucalipto e Pioppo in vaso e alveoli) e/o lento accrescimento (Carrubbo e Corbezzolo in letto di semina e vaso). Le tesi che hanno consentito le migliori performance di accrescimento delle piante sono stare quelle con il 3.50% di biochar. Ulteriori approfondimenti, sulle risultanze scientifiche e sulle osservazioni agronomiche in campo, saranno disponibili sul sito www.wool2resource.it,  sul depliant di fine attività e/o pubblicate su una rivista specializzata.

Ha chiuso i lavori il Presidente del G.O., Dr. Sebastiano Tosto, il quale ringraziando gli intervenuti ha espresso la volontà,  a nome degli Allevatori, nel perseguire nella strada obbligata dell’innovazione, indispensabile per dare prospettiva al comparto ovi-caprino regionale.


 

giovedì 5 giugno 2025

Canapa Innovation HUB: partecipa ai seminari

 Enza Giangrande



La canapa è una pianta antica, ma con uno sguardo tutto rivolto al domani. Se ne parla sempre di più, ma quanto ne sappiamo davvero?

Questo ciclo di seminari nasce per chiarire e offrire strumenti pratici a chi vuole conoscere e lavorare con la canapa in modo consapevole e professionale. Parleremo di coltivazione e varietà, di proprietà farmacologiche, di monitoraggio con tecnologie avanzate, di aspetti legali, di mercati e di opportunità del settore.

Perché la consapevolezza delle scelte di oggi, ci aiuterà a beneficiarne anche in futuro.

I partecipanti che si registrano riceveranno, il giorno prima dell'evento, un link di accesso diretto alla piattaforma Zoom.

Dal 6 giugno, ogni venerdì dalle 15.30 alle 17.00, su Zoom* , si terrà un incontro per affrontare i molteplici aspetti relativi alla canapa. 

▪️Gli incontri intendono offrire strumenti pratici a chi vuole conoscere meglio il settore o lavorare con la canapa in modo consapevole e professionale.
▪️Ogni incontro tratta un tema specifico grazie al coinvolgimento di esperti del settore e prevede un momento partecipativo in cui sarà avviato un confronto diretto tra i partecipanti.
 I temi trattati riguardano: coltivazione e varietà, proprietà farmacologiche, tecniche di monitoraggio,  aspetti normativi, mercati e di opportunità del settore.

6/6/2025 - Canapa e legalità: tra diritto, limiti e prospettive. 
Inquadramento giuridico della coltivazione e trasformazione della canapa in Italia e in Europa

27/6/2025 - Il mercato della canapa: dall’Italia all’Europa 
Analisi del mercato nazionale ed europeo della canapa e delle sue principali filiere 
produttive

11/7/2025 - Finanziamenti e sviluppo rurale: strumenti per far crescere la filiera
Politiche regionali, fondi pubblici e strumenti finanziari per la filiera della canapa

20/6/2025 - Canapa: patrimonio genetico e potenzialità
Ricerca genetica, conservazione della biodiversità e valorizzazione della biodiversità

4/7/2025 - Cannabinoidi e farmacologia: scienza e applicazioni
Varietà, aspetti farmacologici e medici legati ai cannabinoidi, uso terapeutico e implicazioni scientifiche

13/6/2025 - Agronomia della canapa: dalla varietà alla raccolta
Tecniche colturali, scelta varietale, input agronomici e gestione del ciclo colturale

18/7/2025 - Osservare e monitorare: tecnologie per la coltivazione della canapa
Tecnologie satellitari, NIR e rilievi in campo per il monitoraggio delle coltivazioni

25/7/2025 - Salute delle piante: difendere la canapa da patogeni e insetti
Principali malattie e parassiti della canapa, strategie di difesa integrata e biologica

1/8/2025 - Dalla pianta al prodotto: tecnologie, protocolli e trasformazione della canapa
Protocolli di trasformazione, tecnologie, disciplinari e opportunità industriali 

data da definire - Coltivare il futuro 
Sostenibilità ambientale e innovazione tecnologica per la filiera della canapa

mercoledì 4 giugno 2025

Il contributo di bonifica è obbligatorio?

 


scritto da Angelo Greco | 04/06/2025



Devi pagare i contributi al consorzio di bonifica? Con la nuova legge (L. 130/2022), l’onere di provare i benefici specifici per il tuo immobile spetta al consorzio. Analisi e novità.

 


I contributi richiesti dai consorzi di bonifica ai proprietari di immobili rappresentano da tempo una questione dibattuta, spesso fonte di contenzioso. Il nodo centrale della discussione ruota attorno a una domanda fondamentale: il contributo di bonifica è sempre obbligatorio? Chi deve dimostrare che le opere di bonifica realizzate dal consorzio hanno effettivamente apportato un beneficio concreto e specifico all’immobile per il quale si chiede il contributo? Una recente modifica legislativa e alcune significative pronunce giurisprudenziali stanno cambiando le regole del gioco, spostando l’onere della prova. Se ti stai chiedendo quando non pagare i contributi di bonifica per il tuo fondo, questa guida si propone di fare chiarezza, analizzando le novità normative e le più recenti interpretazioni dei giudici tributari.


Cosa sono i contributi dei consorzi di bonifica e perché si pagano?

I consorzi di bonifica sono enti pubblici economici che hanno il compito di realizzare e gestire opere di bonifica idraulica, di miglioramento fondiario e di tutela del territorio. Queste opere possono includere la manutenzione di canali di scolo, la regimazione delle acque, la difesa del suolo, l’irrigazione e altre attività volte a rendere più sicuro e produttivo un determinato comprensorio territoriale.

Per finanziare queste attività, i consorzi hanno il potere di imporre ai proprietari degli immobili (terreni e fabbricati) situati all’interno del comprensorio consortile (il cosiddetto “perimetro di contribuenza”) dei contributi consortili.

Il presupposto teorico per l’imposizione di tali contributi è che gli immobili inclusi nel perimetro traggano un beneficio, diretto o indiretto, dalle opere e dall’attività svolta dal consorzio. Questo beneficio dovrebbe tradursi in un miglioramento delle condizioni del fondo, in un aumento del suo valore o in una maggiore sicurezza idrogeologica.

 

Quali condizioni giustificano la richiesta di contributi di bonifica?

Secondo un principio consolidato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione (si vedano, ad esempio, le ordinanze n. 36246 e n. 36273 del 2023), l’obbligo di contribuire alle spese per le opere eseguite da un consorzio di bonifica, e quindi l’assoggettamento al potere impositivo del consorzio, postula la contemporanea presenza di due condizioni fondamentali:

1.    la proprietà di un immobile (terreno o fabbricato) che sia incluso nel perimetro consortile di intervento. Questo perimetro è definito dal consorzio attraverso un atto specifico, spesso denominato “piano di classifica degli immobili”, che individua le aree soggette a contribuzione;

2.    il fatto che tale immobile tragga un vantaggio diretto e specifico dalle opere di bonifica realizzate o dall’attività di manutenzione svolta dal consorzio.


Cosa si intende per beneficio “diretto e specifico” al mio immobile?

La Corte di Cassazione ha costantemente ribadito che il vantaggio che giustifica l’imposizione del contributo consortile deve essere diretto e specifico per il singolo fondo, e non un generico beneficio che riguarda l’intero territorio consortile e che ricade sull’immobile solo di riflesso, per il semplice fatto di essere incluso in tale territorio.

Il beneficio deve essere:

 

 conseguito o conseguibile: può essere un vantaggio attuale o potenziale, purché reale e concreto;

 idoneo a tradursi in una qualità positiva del fondo: ad esempio, un aumento del valore di mercato, una maggiore produttività agricola, una riduzione del rischio idraulico che grava specificamente su quel terreno o fabbricato, un miglioramento dell’accessibilità o della salubrità. Non è sufficiente, quindi, che il consorzio svolga un’attività di manutenzione generale del territorio se questa non si traduce in un vantaggio tangibile e particolare per l’immobile del contribuente.

 

Cosa è cambiato con la nuova legge sull’onere della prova (L. 130/2022)?

Una svolta significativa nella questione dell’onere della prova è intervenuta con l’articolo 6, comma 1, della Legge n. 130 del 2022. Questa legge ha inserito il comma 5-bis all’articolo 7 del Decreto Legislativo n. 546 del 1992 (che disciplina il processo tributario).

Questa nuova disposizione ha avuto un impatto diretto sulla ripartizione dell’onere probatorio nelle controversie relative ai contributi consortili. Sebbene il testo fornito si concentri sull’interpretazione giurisprudenziale di questa novità, è chiaro che il legislatore ha inteso modificare gli equilibri precedenti.


Ora chi deve dimostrare che il mio fondo ha beneficiato delle opere?

Secondo l’interpretazione data alla nuova normativa da recenti sentenze dei giudici tributari di merito (come la sentenza n. 235/3/2025 della Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Latina e la sentenza n. 243 del 9 gennaio 2024 della CGT di secondo grado del Lazio), a seguito dell’entrata in vigore del citato comma 5-bis dell’art. 7 del D.Lgs. 546/1992, l’onere della prova grava sempre e comunque sul consorzio di bonifica.

Questo significa che è il consorzio, quando richiede il pagamento del contributo, a dover dimostrare in giudizio (se il contribuente contesta la pretesa) che l’immobile del contribuente ha effettivamente tratto un beneficio diretto e specifico dalle opere di bonifica. Questa prova deve essere fornita a prescindere dall’esistenza di un “piano di classifica” approvato e dall’insistenza dell’immobile nel “perimetro di contribuenza” definito dal consorzio.

 

Il “piano di classifica” del consorzio presume ancora il beneficio?

Secondo l’interpretazione innovativa valorizzata dalla CGT di Latina nella sentenza

n. 235/3/2025, la cosiddetta “presunzione di vantaggiosità” dell’attività svolta dal consorzio, che in passato si riteneva derivasse automaticamente dall’adozione del “piano di classifica” e dall’inclusione dell’immobile nel perimetro di contribuenza, non è più applicabile.

Il nuovo comma 5-bis dell’art. 7 del D.Lgs. 546/1992 avrebbe, di fatto, superato questa presunzione, imponendo al consorzio un onere probatorio pieno e diretto circa il beneficio specifico. Il semplice fatto che un immobile sia inserito in un piano di classifica, che è un atto amministrativo generale di pianificazione, non è più sufficiente a far presumere il vantaggio e a invertire l’onere della prova sul contribuente.


Come era prima della riforma l’onere della prova sui benefici?

Prima dell’entrata in vigore della Legge n. 130/2022 e dell’interpretazione che ne stanno dando alcune corti tributarie, l’orientamento prevalente della giurisprudenza, sia di merito che di legittimità (Corte di Cassazione, si vedano ad esempio le sentenze n. 9573/2023, n. 11431/2022; ordinanza n. 20359/2021; sentenza n. 8079/2020), era diverso.

In presenza di un “piano di classifica” regolarmente approvato e dell’inclusione dell’immobile nel “perimetro di contribuenza”, si tendeva a far operare una presunzione relativa di beneficio. Di conseguenza:

1.    spettava inizialmente al contribuente l’onere di fornire la prova contraria, ossia dimostrare l’inadempimento del consorzio agli obblighi derivanti dal piano di classifica o l’assenza di qualsiasi beneficio per il proprio fondo;

2.    solo una volta che il contribuente avesse fornito tale prova contraria, l’onere si sarebbe spostato nuovamente sul consorzio, il quale avrebbe dovuto allora dimostrare i concreti e specifici benefici apportati al singolo fondo dalle opere eseguite. Questo meccanismo, che di fatto agevolava il consorzio, sembra ora essere stato superato dalla nuova disposizione e dalle recenti interpretazioni.

Cosa dice la giurisprudenza sul contributo di bonifica obbligatorio?

Le sentenze citate (CGT di primo grado di Latina n. 235/3/2025 e CGT di secondo grado del Lazio n. 243 del 9 gennaio 2024) sono molto importanti perché rappresentano alcune delle prime applicazioni interpretative del nuovo comma 5- bis dell’articolo 7 del D.Lgs. 546/1992.

Entrambe le pronunce si pongono sulla stessa linea: valorizzano la portata innovativa della nuova norma, ritenendo che essa abbia determinato una chiara inversione dell’onere della prova, ponendolo integralmente a carico del consorzio di bonifica.

Il consorzio, quindi, non può più fare affidamento sulla presunzione di beneficio


derivante dal piano di classifica o dall’inclusione nel perimetro, ma deve attivamente dimostrare, in caso di contestazione da parte del contribuente, che l’immobile di quest’ultimo ha tratto un vantaggio diretto, specifico e concreto dalle opere consortili. Nel caso specifico deciso dalla CGT di Latina, il ricorso del contribuente, che contestava la richiesta di pagamento dei contributi proprio per l’assenza di benefici al suo immobile, è stato accolto proprio in virtù di questo nuovo principio.

 

Cosa posso fare se il consorzio mi chiede contributi senza benefici?

Se ricevi una richiesta di pagamento di contributi da un consorzio di bonifica e ritieni che il tuo immobile non abbia ricevuto alcun beneficio diretto e specifico dalle opere o dall’attività del consorzio, alla luce delle recenti novità normative e giurisprudenziali hai validi argomenti per difenderti:

1.    chiedi al consorzio di specificare quali opere sono state realizzate e quali benefici diretti e specifici il tuo immobile ne avrebbe tratto;

2.    se la richiesta di pagamento è contenuta in un avviso di pagamento o in una cartella esattoriale, puoi presentare un’istanza di annullamento in autotutela al consorzio (o all’ente che ha emesso l’atto), eccependo la mancanza di beneficio e l’onere della prova a carico del consorzio;

3.    se l’istanza di autotutela non viene accolta o se ricevi un diniego, puoi impugnare l’atto impositivo (avviso di liquidazione, cartella di pagamento) davanti alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado competente per territorio. Nel ricorso, dovrai contestare la pretesa del consorzio, sostenendo l’assenza di un beneficio diretto e specifico per il tuo fondo e richiamando il principio secondo cui spetta al consorzio fornire la prova di tale beneficio, ai sensi del nuovo art. 7, comma 5-bis, del D.Lgs. 546/1992 e delle recenti interpretazioni giurisprudenziali. È sempre consigliabile, data la tecnicità della materia, farsi assistere da un professionista esperto in diritto tributario (commercialista o avvocato tributarista) per valutare la situazione specifica e intraprendere le azioni più appropriate.

lunedì 2 giugno 2025

L'Olio secondo Veronelli

  Riportiamo l’introduzione alla prima edizione della guida Gli Oli di Veronelli, anno 2000, o almeno,alcuni passaggi decisivi, a testimonianza dell'ancora attuale pensiero veronelliano.

 
"… Giornalista-contadino, i prodotti della terra erano e sono il mio solo argomento.Ho dato maggior spazio al vino – che è il canto della terra verso il cielo – perchè mi affascinava; avrebbe affascinato anche i lettori."

Quando iniziai a scriverne, 1956, il mercato era dominio di una decina, poco più, di aziende vinicole: ritiravano le uve dai vignaioli – assioma: i contadini non sanno vinificare – facevano pocciacchere bianche, rosse e cerasuole, e le vendevano con “la marca”. Venisse valutato – il vino – per il prestigio della Casa e non per la sua reale qualità.
L’Italia enologica, nei confronti di Francia, era meno, molto meno che di serie B.

Il contrario per l’olio.

Le poche produzioni artigianali d’olio d’oliva franto – meglio ancora “affiorato” – giunto sulla tavola degli esperti d’ogni luogo del mondo, ha stabilito – son anni ed anni – essere il nostro olio d’oliva di frantoio – per ragioni di terra, clima e uomini – di gran lunga il migliore.
Senza possibilità alcuna di contestazione e di dubbio. Com’è allora che la produzione oliandola è in crisi?
… mi telefonano, molti, dalle terre del Centro e del Sud: non raccoglieranno le olive; i mercanti gli offrono il 40% del niente dell’anno scorso.
Cerco di dargli spirito. Ricordo loro quel mio racconto mai scritto sul corridore che avrebbe preso parte ad ogni circuito, ovunque nel mondo, pur che fosse in discesa.
E gli dico: «Avete sempre amato le salite. Raccogliete».

Ahinoi, troppo impervia la salita. Gliel’hanno posta avanti, le multinazionali alimentari: acquistano le olive, quasi sempre pessime, di tutto l’arco mediterraneo, le frangono alla brutto dio, correggono quel che n’esce con artifizi millanta se non con “la chimica”, lo mettono in bottiglia in uno stabilimento c’abbia fondamenta italiane – che so, a Casalpusterlengo, a San Pietro Vernotico, a Collodi Terinese, ad Imperia – oplà, ecco negli scaffali: l’olio italiano.

Prezzo? Metà della metà del costo di un olio prodotto con olive, davvero italiane…

Uomo libero, anche dalla paura e dal danaro, ho deciso di pubblicare questa Guida sull’olio d’oliva di frantoio e sui migliori produttori.

Un’opera – nota bene – che nasce dalla rabbia e non, come era avvenuto per ogni altra mia, dall’amore…
Rabbia? La fine del secondo millennio e l’inizio del terzo hanno dimostrato, con segni univoci, la necessità del ritorno alla priorità della terra.
Pochi uomini, indemoniati dalla volontà di potenza e di danaro, non ne vogliono sapere.
Col potere e col danaro, condizionano gli altri uomini, miliardi di uomini. E sono disposti ad andare oltre, a renderli schiavi.
Gran fortuna vi siano quelli che io chiamo, al di là dell’età, i giovani estremi, ed a loro ricorro. Una minoranza infima quanto ai numeri, lodevolissima per ideale: la libertà dell’altro.

Rabbia contro gli infami – pochi, pochissimi – raccolti in stretta cerchia nelle cosiddette multinazionali, solo intesi ad acquisire potere e a spartirsi danaro.

E nel 2000 tentano di stabilire una schiavitù addirittura peggiore che nei tempi più bui. 
Ho scelto l’olio di oliva di frantoio – anziché i frutti, le verdure, gli altri prodotti primi o appena manufatti della terra – perché nessun altro alimento é più aggredito dalla protervia “multinazionale”.

In conseguenza della priorità terragna gli uomini si sono accorti dell’esigenza di scelte rigorose e naturali, sempre confermate dai valori della scienza. L’olio di oliva di frantoio eccelle su tutti i grassi disponibili negli usi di cucina e di nutrizione per la sua naturalità.

Ripeto, l’olio d’oliva di frantoio, inteso – come va inteso – quale liquido ottenuto dalla sola frangitura delle olive, italiano, se franto da olive italiane.

Le multinazionali, in ogni luogo del mondo, e soprattutto in Italia, madre elettiva per qualità e quantità dell’olio di oliva di frantoio, hanno operato con estrema determinazione e violenza, così da avocare a sé un mercato da cui dovrebbero essere – proprio per la loro marchia industriale – avulsi ed espulsi.
Ci sono riusciti con l’autorità orrorifica del potere e del danaro.
Hanno imposto – col diabolico operare di anno in anno per anni – infami leggi ai vari stati produttori e poi alla Comunità Europea.
E’ necessario io insista: infami leggi adottate in ogni stato e nella Comunità da servitor cortesi “d’incredibile onestà”.

Gli olivicoltori italiani sono – secondo dati ISTAT – che mi sembrano in eccesso – 1.250.000 (un milioneduecentocinquantamila)…
Nessun altro prodotto è stato tanto tradito da leggi, italiane prima, comunitarie poi.

Così come un tempo, per i vini, elenco i miei imperativi categorici.
Primo: si dica olio d’oliva, il solo olio di oliva. Il liquido ottenuto dalla sola frangitura nel frantoio. 
Ogni altro olio ottenuto da sanse, rettifiche, raffinazioni, miscele, continua continua, abbia definizioni diverse – olio di sansa o che altro – senza la benchè minima citazione del frutto.
Proporrei inoltre, di eliminare gli aggettivi nonsense extra-vergine e vergine. Una sola definizione: olio di oliva di frantoio se mai con un’aggiunta migliorativa da studiare – extra, super, sovrano ecc. – per l’attuale extra-vergine.
Secondo: i controlli siano demandati ai Comuni (anche nell’ambito delle denominazioni protette).
Terzo: diventi d’obbligo e non facoltativa, la segnalazone in etichetta, sia dei luoghi esatti e veritieri in cui sono state coltivate le olive, sia della qualifica e dell’ubicazione del frantoio…

I miei imperativi categorici non comporteranno – contro quanto si vorrà affermare – alcuna reale difficoltà.

Così come é avvenuto per i vini, si moltiplicheranno a difesa dei consumatori, e a vantaggio degli olivicoltori.
1.250.000  che, con l’accettazione delle mie proposte, si faranno imprenditori capaci sul piano economico, in primis di assunzione di manodopera.
Per buona parte dei Comuni dell’Italia Centrale e, soprattutto dell’Italia Meridionale e delle Isole, ciò significa far uscire la propria gente dalla miseria e dalla disoccupazione. E’ una battaglia. Sarà dura, la vinceremo…»

Luigi Veronelli

mercoledì 28 maggio 2025

“SAPERI E SAPORI” di LETOJANNI


Lucia Seminara  

LA CUCINA SICILIANA SUL PICCO DEL MONDO GRAZIE ALL’INIZIATIVA “SAPERI E SAPORI”  di LETOJANNI   RISCUOTENDO OTTIMO SUCCESSO DI PUBBLICO.

L’eccellenza della cucina siciliana ha fatto di nuovo centro. Ha riscosso successo la manifestazione “Saperi e Sapori”, che ieri si è svolta a Letojanni in occasione della serata conclusiva della manifestazione “The Sicily International Folk Festival”. Questa perla, Letojanni,  si è trasformata per un’intera giornata nella capitale del gusto e della musica folkloristica internazionale, grazie alla presenza di circa 400 partecipanti alla terza edizione del festival provenienti dalla Lituania, Estonia, Austria, Malta, Valle D’Aosta e Sardegna che hanno intrattenuto i turisti e la comunità locale in momenti di spettacolo in Piazza Corrado Cagli, assaggiando al tempo stesso piatti tipici tradizionali.

 


L’iniziativa “Saperi e Sapori” è stata finanziata dall’Assessorato Regionale dell’Agricoltura e della Pesca Mediterranea Dipartimento Agricoltura.  All’interno del Palazzo Polifunzionale sono state allestite delle isole gastronomiche, mentre all’esterno dei mercatini espositivi, curati nei dettagli, che hanno richiamato la nostra isola. Grazie alla presenza di chef qualificati, i visitatori hanno compiuto un viaggio nell’arte culinaria sicula, degustando un primo piatto classico, come la pasta alla Norma, con maccheroni preparati in casa, oppure rimanendo in tema “primi piatti”, maccheroni al pistacchio di Bronte. Tra i “classici” conosciuti in tutto il mondo, non potevano mancare gli arancini al ragù e le crispelle; ma anche in questo caso è stata inserita una ventata di novità con la caponata alla “ catanese”. Insomma tutto organizzato al fine di soddisfare qualsiasi palato, dove non è stata esclusa la presenza di un’area dedicata alla frutta, con l’assaggio delle ciliegie di stagione, per chiudere con i cannoli alla ricotta, riempiti sul momento dalla sac à poche maneggiata dal maestro pasticcere Orazio Cordai. Non solo del buon cibo, ma si è voluta far conoscere la Sicilia all’interno della manifestazione anche attraverso i vini ( bianchi, neri, rosè), il marsala e lo zibibbo, con le spiegazioni curate dall’esperto enologo Giovanni Nicolosi. L’obiettivo sul quale puntavano gli organizzatori, l’associazione MediterraneArtè, in collaborazione con “Euro Art Production” era quella di diffondere la nostra arte culinaria siciliana a chi non ha ancora avuto l’opportunità di conoscerla.

Obiettivo raggiunto - afferma il presidente dell’associazione MediterraneArtè Giuseppe Vasta è stata  particolarmente apprezzata la caponatina, i maccheroni con il pistacchio di Bronte. Un’esperienza veramente bella dove musica folk e le specialità della nostra Terra si sono unite, trasmettendo un senso di fratellanza, gioia e spensieratezza. Ringrazio l’Assessorato Regionale dell’Agricoltura che ha creduto e sposato questa iniziativa al fine di promuovere i piatti e i vini siciliani”. A patrocinare la manifestazione il Comune di Letojanni.