venerdì 30 novembre 2012

La storia riscritta dai vinti




Giuseppe Bivona


L’anziano preside spense la sua quarta sigaretta della mattinata, erano le otto del  15 maggio 1960  il cortile della scuola media “ Santi Bivona”  rimbombava   un  vocio festoso di ragazzi . Con  qualche difficoltà riuscì a  zittire i suoi giovani studenti e con voce tremula cosi parlò : “Oggi è una giornata storica per la nostra patria , con lo sbarco dei mille e la battaglia di Calata fimi , un secolo fa ,il generale  Giuseppe Garibaldi e i suoi 1000 eroi  posero le basi per la costituzione dell’unità d’Italia.. Voi oggi  avete il privilegio di visitare questi  storici luoghi che furono teatro di una  sanguinosa battaglia  che segna un pietra miliare  nell’epopea risorgimentale “
Un colpo di tosse , tipica del fumatore incallito , spense  le ultime parole del preside, che si modulavano sempre più piene di commozione .
 Per molti  ragazzi, era la prima volta  che salivano su una corriera , perciò  alla nuova esperienza  pose una seria ipoteca la paura : silenziosi e composti  cantammo  alcuni inni risorgimentale , tra cui la più  gettonata “ Le campane di San Giusto”.
Un largo piazzale ospitò decine di pullman proveniente da tutte le parti della provincie occidentali della Sicilia. A tutti fu distribuito un volumetto commemorativo con la copertina raffigurante l’eroe dei due mondi su un cavallo bianco  .Con una buona ora di ritardo prese avvio  la cerimonia ufficiale con  gli interventi di esponenti della politica , della cultura , del sindacato .  L’intervento più toccante lo  si deve ad un politico locale che descrisse la  battaglia   cosi verosimilmente tale da farla rivivere come  un sequenza cinematografica . Proprio qui, su questo colle, denominato “Pianto Romano”  dove una serie di terrazzi naturali  degradavano verso valle,il valoroso Garibaldi  rispose  decisamente al perplesso Bixio: “ Qui si fa l’Italia o si muore!”
  Ora a distanza di più di centociquant’anni  da quell’evento ci chiediamo stupiti e sgomenti : “ Ma come sia stato possibile   che simili, madornali frottole  , inventate di sana pianta  ,abbiano  colonizzato le menti  di generazioni di insegnanti e riempito impunemente pagine di libri di storia?” . Possibile che sia stata data a bere  una sonora sciocchezza , senza che alcuno ne verificasse la fondatezza: che su quella collina teatro della battaglia “Pianto Romano” non è mai avvenuta alcuna battaglia tra romani e segetani ,perciò i romani non furono sconfitti da alcunché e meno che mai …. versarono lacrime .Ma allora  come spunta fuori questo singolare sito ?
 Dovete sapere che in Sicilia i nostri contadini    sogliono  indicare la “ chianta” un appezzamento  piantato a vigneto durante i primi anni di vita, perciò : chianta,- chianto – pianto. E’ Romano?   Ebbene si tratta del nome del disgraziato proprietario , il quale si vide  rovinare , in piena vegetazione , le piante di vite assieme al campo di grano. Il poveretto  fece esposto alle autorità per essere risarcito dei danni, ma non  risulta che ne lui ne gli eredi abbiano ricevuto alcun ristoro.
Ora se la buonanima del mio vecchio preside aveva ragione ,  ossia che la battaglia di Caltafimi  segna  una tappa fondativa  dell’unità d’Italia …. di certo  le fondamenta  nazionali poggiano su un terreno franoso e alquanto  cedevole.
Il dubbio che ci assale  è , come sia stato possibile che un regno di dimensioni rispettabili, come lo era quello delle due Sicilie , con un esercito regolare  di cui 25.000 uomini di stazza  nella nostra isola , sia stato  sconfitto da un  numero risicato di uomini ,che appena superavano le mille unità che per colmo erano ,male armati e scarsamente equipaggiati?
 Ne possiamo sostenere , come sperato da Rosalino Pilo  e Crispi , che la Sicilia era un vulcano pronto ad esplodere.  Ma la perplessità  maggiore la poniamo su Garibaldi , il quale malgrado fosse uno scavezzacollo  , di certo  avrà valutato il rischio di fare la fine dei fratelli Bandiera o di Carlo Pisacane!
La risposta c’è la da stranamente Giuseppe Cesare Abba, lo storico della fortunosa spedizione .
il quale , nel suo resoconto  accenna ad un concitato scambio  di battute  tra Garibaldi e Bixio , circa l’opportunità di rispondere al fuoco nemico . Ma andiamo per ordine.
Garibaldi dopo lo sbarco non ha incontrato alcuna resistenza, L’esercito borbonico  al comando del generale Francesco Landi  si attesta  col suo esercito di 6000 uomini  sulla strada che da Salemi conduce a Calatafimi, strada obbligata per raggiungere Palermo. Il generale borbonico invia in avanscoperta circa 600 uomini “ma solo per avvistare il nemico”. Garibaldi, vede questo piccola frazione dei Nazionali che avanza con compostezza e determinazione, e assalito da qualche dubbio si ritira  prontamente sulle colline circostanti  a meditare. Il comandante Sforza che guida i sodati borbonici, consulta i suoi uomini e pur non avendo il permesso di attaccare , sente forte  il bisogno di dare una lezione a quei “carognoni”. Cosi apre il fuoco  che fa arretrare i garibaldini i quali non si aspettavano  una cosi energica reazione  ma ancor più Garibaldi , che resta trasecolato. Bixio ,furibondo lo affianca ( le promesse ricevute che svaniscono  all’improvviso?)
Intanto gli uomini del comandante Sforza finiscono le munizioni e lo stesso invia una staffetta al generale Landi , che a 73 anni e pieno di acciacchi si spostava in carrozza  . Questi non solo nega gli aiuti  ma accusa Sforza  di aver disobbedito ai suoi ordini e fa suonare inopinatamente la ritirata.
Quelle trombe   recano a Garibaldi la prova che  quanto promesso e pattuito è seriamente rispettato.
I garibaldini non credono ai loro occhi , e pieni di baldanza si lanciano all’attacco, mentre i soldati borbonici sono costretti a lasciare sul campo i feriti più gravi. Non mancano tuttavia episodi  di eroismo tra le fila dei soldati  napoletani , tanto che riescono a strappare la bandiera , cimelio, regalato a Garibaldi da alcune donne cilene. I Mille conquistano la collina a caro prezzo, lasciando sul campo più di trenta morti .
La battaglia di Calatafimi è stata come da copione concordato, uno scontro programmato , una sorta di tragicommedia e, come tutte le rappresentazioni teatrali, non mancano gli spettatori :gli abitanti del luogo . Probabilmente anch’essi si saranno poste delle domande sull’autenticità  del combattimento, il quale se pur sanguinoso era stato  contemporaneamente una finzione e una realtà Nella notte tra il 15 e il 16 maggio Landi tiene un consiglio, il suo dispaccio redatto , prima della riunione degli suoi ufficiali , parla di preponderanza numerica del nemico, di codardia dei suoi soldati  e della mancanza assoluta di rifornimenti. Contro il parere di tutti  ordina la ritirata verso Palermo alla massima velocità, attraversando celermente anche Alcamo, che per l’ottima posizione naturale poteva  diventare un baluardo  per i garibaldini.  Questa storia finisce con un epilogo infamante. L’anno successivo Landi si presenta allo sportello del Banco di Napoli per riscuotere una fede di credito  di 14.000 ducati . Il cassiere  gira e rigira tra le mani il documento , poi consulta il direttore che si avvicina all’ex generale :” Ma  non si è accorto che questo credito è stato falsificato, vede come sono stati aggiunti, maldestramente i tre zero con un altro inchiostro! Questo vale 14 ducati!
Landi nella concitazione  esasperata , confessa di aver ricevuto il titolo  da Garibaldi!
 Non passa molto tempo  che muore di crepacuore.   
     
    

mercoledì 21 novembre 2012

Un Padre




Giuseppe Bivona

                                           Il vecchio falegname  ,con gli occhi gonfi per le lacrime , pialla pigramente un grosso legno e   ogni tanto ripassa con il palmo della mano la superficie liscia.
Ha sempre amato il contatto con le cose , le sedie, le panche , le madie…ma anche le persone , in particolare i bambini e soprattutto il suo quando era piccolo , amava prenderlo in braccio stringerselo al petto e fargli posare la sua testolina sulle spalle .
 Poi  cresce comincia a muovere i primi passi . Si, lo ricorda come fosse ora . Lui e Maria  l’uno di fronte all’altre  poco distanti  abbandonano per pochi attimi il bambino  che barcollando  arriva alle braccia dell’altro . Però stranamente il bambino al posto di ritornare da lui  all’improvviso si allontana dal padre . Chissà, una premonizione, una triste metafora dell’avvenire
Giuseppe non riesce  a dimenticare  neanche per un istante il dolore senza fine che lo tormenta .
Sono passati  due giorni   da quando  il suo ragazzo è morto crocifisso assieme ad altri due disgraziati , una fine atroce che non la si augura neanche al peggior nemico!
 Gesù , fin dall’infanzia, ha sempre intrattenuto un rapporto privilegiato con sua madre,  c’era Maria  a Cana , alle nozze ,dove avvenne il primo miracolo. E lui, Giuseppe dove era? A casa a lavorare.
Crescendo quel suo ragazzo  veniva sveglio, vivace, però di tanto in tanto faceva strani discorsi che l’anziano genitore non riusciva a comprendere il nesso logico.  Ma la cosa che più lo feriva erano i riferimenti ad un altro padre che sta lassù in …cielo.
Inutile le sue premure , le attenzioni , gli oggetti che aveva lavorato per lui : il cavallino a dondolo, un tavolino ed una sedia  piccoline su cui iniziava a scrivere la prime lettere dell’alfabeto. No, il ragazzino quasi lo disconosceva,  respingendolo nell’ombra, anzi nel buio , nella solitudine. A nulla era valso  trasferire la sua bottega  a Gerusalemme, il ragazzo non  aveva alcuna voglia di continuare il mestiere del padre voleva farsi la sua esperienza , andare a vivere lontano in  un paese sconosciuto   pare fosse l’India…dove ci rimase per parecchi anni. Ah! Se avesse ascoltato il suo consiglio e restava a lavorare  nella bottega!. Non avrebbe di certo frequentato  discutibili compagnie e non avrebbe avuto certe idee strampalate! Avrebbe risparmiato lo strazio alla sua povera madre
Ora dai suoi occhi scendono rivoli di lacrime ,non riesce a vedere il legno da piallare, si ferma: “ “Possibile che sia stato solo ieri l’altro, quel giorno tremendo ?“Si chiede ancora incredulo
Eppure ,  malgrado gli acciacchi era salito , senza l’aiuto di nessuno su quel monte maledetto, aveva cercato di farsi largo tra la folla “ Io sono suo padre!” gridava con il poco fiato che gli restava nei polmoni “ fatemi passare, quello al centro è mio figlio!”
Voleva stargli vicino , avrebbe voluto toccargli i piedi inchiodati, gli stessi che da bambino li aveva accarezzato per riscaldali… magari salire lassù con una scala e stringergli la testa tra le sue mani , sfiorarlo, baciarlo e consolarlo.
Ma un muro di gente  gli impedisce di avanzare ,anzi lo respinge , ma il vecchio non demorde , neanche il buio può risucchiarlo lontano dal suo ragazzo.
Poi  ,ad un tratto, quel grido lancinante che fende l’aria cupa del tardo pomeriggio e gela tutti i presenti:” Padre mio, padre mio , perché mi hai abbandonato?” .
Come può un padre abbandonare il figlio morente? Che razza di padre è colui che non sente , ascolta  la richiesta  di aiuto del  proprio figliolo?
 Tutte ragioni di questo mondo  non valgono la vita di un figlio! La vita è sempre e comunque un “fine” e non ci sono scopi  ,per quanti nobili ,che la possano ridurla a “mezzo”.
Giuseppe, non resiste al grido di aiuto del suo ragazzo, come un vecchio leone fende la folla ,a forza di sgomitate si fa strada ,raggiunge i piedi della croce, abbraccia il palo che sorregge il suo disgraziato ragazzo e con tutta l’aria che ha nei polmoni grida:” Si, sono qui, non temere ,non ti abbandono,Io, sono tuo padre!”
Il vecchio falegname, non sa resistere al dolore, non ha più lacrime da versare, poi alza la testa  per vedere l’ultima volta il suo figliolo e sul suo volto  scarno scende una pioggia mista a sangue.
Di certo Gesù si sarà accorto della sua presenza e per l’anziano genitore è già sufficiente:questo  atroce dolore un po’ glielo lenisce, quasi lo consola.
     

lunedì 12 novembre 2012

San Francesco : il santo meno amato dagli italiani



Giuseppe Bivona

 Tutti nella vita hanno uguale quantità di ghiaccio. I ricchi d’estate i poveri d’inverno”
Bat Masterson


Quei cattolici osservanti non si chiedevano se il lusso delle chiese non insultasse la miseria dei poveri”
 Margherite Yourcenar ( Archivi del nord)


Nonna Nina non aveva alcun dubbio , se c’era un santo  a cui rivolgersi  per chiedere una grazia, questo era di certo Sant’Antonio: al suo attivo il padovano   annoverava ben tredici miracoli!
Eppure se c’era un eletto “ specifico”  dei poveri e per i poveri questi era senza discussione ,San Francesco il “più santo degli italiani, il più italiano dei santi”
Ora, a parte che un santo si qualifica essenzialmente per i miracoli compiuti e san Francesco , se si esclude la discutibile favo letta del lupo di Gubbio, non è che si fosse prodigato più di tanto per farsi notare  con insoliti prodigi. .Ma quello che lasciava perplessi i poveracci, era la storia  di un ragazzotto, figlio di papà che, annoiatosi della vita agiata ,  si “spoglia”  di tutte le sue ricchezze e……predicava la povertà come “valore”!? I poveri  hanno alle spalle  oltre che la miseria anche l’ingiustizia alla quale ribellarsi costava quasi sempre la vita , ma fondamentalmente sono ignoranti!.
Ora il dilemma e cornuto : o san Francesco con il suo “pusillo” spargeva sale sulle ferite o i poveri non avevano capito niente del messaggio francescano.
Proviamo a comprenderci qualcosa.
Negli anni , più o meno , in cui visse Francesco , prese avvio una sorta di “rivoluzione occidentale” che pose le basi del mondo moderno . un geniale rovesciamento  dei rapporti  tra produzione e consumo. Un vero ribaltamento  sulla base della quale non fu più il consumo a regolare  i ritmi della produzione , come si era sempre verificato  e avrebbe continuato a verificarsi in qualunque altra parte del mondo , bensì, questa a dover seguire  il trend in definitivamente ascendente di quello  di una travolgente corsa verso l’altrettanto indefinita crescita  del profitto.
Questa rivoluzione accompagnata con la riscoperta  di valori nuovi , consente la nascita di un individualismo ,sempre più assoluto  assieme al primato dell’economia , sorretta dalle scoperte e invenzioni,  che le stanno dietro.
Tutto ciò indusse ,e per certi versi obbligò il mondo occidentale a farsi “padrone”  della terra  compresi i popoli che l’abitavano , istaurando l’economia-mondo e con esso lo scambio ineguale .
In questo contesto il povero di Assisi  fu un santo radicalmente “antimoderno” . La povertà francescana , o meglio la paupertas è in perfetta linea con il discorso  della Beatitudine  di Gesù , anzi Francesco va oltre  il puro e semplice rifiuto della ricchezza materiale , spingendosi  verso la  totale e radicale rinuncia  verso qualunque tipo  di “volontà di potenza” individuale  a partire  dalla sapienza e dalla cultura  ,a loro volta  forme fondamentali  di ricchezza e potere.
Il modello  e l’esempio di San Francesco  colpiscono al cuore la modernità  col suo culto sfrenato e unidirezionale  di qualunque forma di individualismo .  Per capire Francesco  dobbiamo sostituire alla nozione di “bene” ,che domina il pensare comune con  un nuovo paradigma retto dal “giusto”.
Ora,  la povertà è la sola condizione per vivere con “giustizia “in questo mondo , la ricchezza è una anomalia, una ipertrofia , la dismisura , l’arroganza che le leggi di natura  non  consentono a nessuna entità. Esiste , vero , l’abbondanza  cosi come la scarsità , ma sono condizioni transitorie  e meno che mai codificati.
Non si può essere “ricchi in mezzo ai poveri , ne restare sempre “poveri” in mezzo ai ricchi       
Perciò  Francesco  resta per gli italiani il più  disatteso,  il più tradito, il più incompreso  dei santi!
Disatteso: il suo rapporto con gli enti di natura supera  e abbandona la concezione giudaica-cristiana : l’uomo è parte del tutto , gli esseri viventi hanno pari “dignità “  la correlazione  tra gli esseri viventi è piena e totale.
Tradito , proprio da chi  ogni anno il 4 ottobre   monta un  solenne ricorrente scenario ,   trasformatosi, ormai , in una oscena  e blasfema parodia
Incompreso  , dai poveri , i quali, “poveracci”, si illudono di combattere la loro povertà con la “ricchezza”