di Peppino Bivona
A cinquant’ anni dal terremoto del 1968
Sono trascorsi cinquant’anni da quel tragico evento, in quella fredda notte di gennaio del 68 il sisma scosse non solo le nostre strutture abitative ,ma fece vacillare le nostre menti ,ci lasciò per alcuni mesi storditi come pugili suonati, incapaci di renderci conto di ciò che era successo. In particolare lo sguardo verso il futuro non era più percepito come una speranza pregno di “positività” , bensì un futuro senza avvenire, fessurato, lacerato da incertezze fino a sfociare nell’inquietudine. Divenne d’uso corrente definire il tempo attraverso una demarcazione riferita ad un “prima “ e ad un “dopo” terremoto, una sorte di spartiacque netta e precisa, capace di separare un’epoca da un’altra profondamente solcata da un forte distinguo quasi epocale.
Per chi ancora conserva la memoria, non sarà sfuggito che
questa nostra comunità, prima del terremo aveva un suo “ assetto” sociale,
economico ,culturale e urbanistico. L’evento traumatico del terremoto sconvolge
tutto e tutti. Questa collettività
menfitana, essenzialmente rurale e
tipicamente contadina viene azzerata e
nel giro di qualche decennio subisce una
profonda mutazione: i contadini divengono agricoltori ,il paesaggio agricolo,
da scenario in cui l’agricoltura si manifesta con poca o niente campagna, si trasforma lentamente verso una campagna con sempre
meno connotati agricoli .Tutto sembra proiettatasi verso una nuova e attraente realtà,
ovvero verso la modernità , la crescita, lo sviluppo.
La storia fa ancora fatica a lasciarsi alle spalle i fatti
di cronaca. Tutto è accaduto sotto i nostri occhi ,questa realtà, piaccia o no ,è il risultato delle nostre
scelte, delle decisioni politiche, la
responsabilità è tutta nostra. Noi abbiamo contribuito, attivamente o passivamente
a “modellare” questo paese.
Tra le tante vicende curiose che segnarono la vita politica ed anche sociale nei mesi successivi al terremoto, va annoverata la nascita di un movimento spontaneo, popolare, di “base”, favorito da una situazione di estrema confusione oltre che da una latitanza della politica e/o di vuoto istituzionale, prende così corpo il “ Comitato di Agitazione Popolare”.
A guidarlo fu l’avvocato Giuseppe Palminteri conosciuto in
tutto il paese come”Pippineddu”.Un simpatico e originale personaggio: il suo
aspetto sembrava fosse uscito dalla fantasia di un autore di fumetti. Sempre sorridente, dalla battuta
facile, prodigo di gentilezze e cortesie, col suo saluto ossequioso si
inchinava fino a genuflettersi.
La sua figura snella e dinoccolata le consentiva un movimento perennemente ciondolante del corpo, in particolare le mani, mai ferme, roteavano in sintonia con il fervore degli argomenti espressi.
Malgrado il suo curriculum di studi fosse decisamente meritevole,
pare che non avesse mai esercitato la professione forense, ma scelse di vivere
una vita avventurosa, segnata da innumerevoli viaggi in ogni parte del mondo.
Questa sua scelta di vita provocò non pochi dissapori con i suoi genitori
Per parecchi mesi il “Comitato di Agitazione Popolare”
monopolizzò e si rese protagonista della vita del paese, raccogliendo la
simpatia e l’adesione di un vasto strato sociale di estrazione
prevalentemente popolare, cementato dall’antipolitica,
dalle rivendicazioni più disparate e
bizzarre: dai rimborsi forfettari per i servizi di piatti e bicchieri
rotti, all’inserimento del nostro comune
tra quelli seriamente danneggiati. Lo “zoccolo” duro” del movimento era formato da “ sanculotti”, un sottoproletariato
rivoltoso , che i miei compagni più anziani della sezione del PCI definivano,
tra il diminutivo e l’ affettuoso: “popolino”. L’avvio di questo movimento di protesta
ebbe il battesimo ufficiale allorquando un corrispondente del Giornale di Sicilia ebbe la sfrontatezza di scrivere
che il paese di Menfi , tutto sommato, non aveva avuto grossi danni ed
era rimasto ,tranne poche sparute case, in piede.
Fu così che“ Pippineddu” , alla testa di un gruppo di concittadini, “sequestrò” tutti i numeri ancora non venduti del giornale, presso l’edicola di don Lillo Tavormina dandosi appuntamento la sera stessa in piazza Vittorio Emanuele. L’evento fu memorabile: “Pippineddu” dal palchetto di legno pronunciò una straordinaria requisitoria contro il Giornale di Sicilia. Si sentiva, in quel momento, un retore nell’areopago ateniese di fronte ad un folto pubblico che pendeva dalle sue parole:” “Questo fogliaccio, aduso da sempre alle menzogne, definì l’eroico Garibaldi, all’indomani dello sbarco a Marsala, un…bandito”. Così mentre il tono della voce si alzava in un crescendo rossiniano ,qualcuno provvedeva ad accendere, nel centro della piazza ,un gran falò con le copie del Giornale di Sicilia, poi, per perpetuarne il “ rogo” ,furono aggiunti vecchie copie di altri giornali e riviste
A noi giovani studenti, che orecchiavamo già i primi vagiti
del 68, questo sofista ci affascinava non solo per la sua arte oratoria ,ma ci conquistava
per il tentativo di proporre una nuova formula di democrazia diretta. Sognavamo
la piazza e la via della Vittoria come trasposizione dell’Areopago dell’Agorà ateniese.
Le occasioni assembleari
in quei mesi non mancarono. Così accadde che padre arciprete accusato, tra i
tanti “misfatti”, di essersi appropriato del gran lampadario sovrastante la
navata centrale della chiesa Madre, fini sul banco degli imputati e processato
nella pubblica piazza. Alla fatidica domanda rivolta agli astanti da parte di
“Pippineddu” ,” Volete voi esonerare
dall’incarico l’attuale arciprete?” la risposta ovviamente fu affermativa.
Segui subito la proposta di un sostituto , di nomina esclusivamente menfitana,
ovvero bisognava scegliere tra padre Sbrigata o padre Catanzaro.
Erano giorni in cui si viveva uno strano stato di eccitazione, una euforia quasi permanente . Il comitato aveva il suo quartier generale presso Il rifornimento di carburante Agip, gestito dal commendator Garufi, un omone simpatico, ironico e gaudente. Nelle serate estive il suo piccolo bar era animato da” Pippineddu” e i componenti del Comitato, dove si discuteva di tutto a ruota libera senza alcun ordine del giorno. Ma si finiva immancabilmente con i resoconti di “Pippineddu”, ovvero le avventure galanti vissute nelle diverse capitali europei.
Ci fu
un momento in cui il Comitato sentì la necessità di darsi una, se pur elementare
organizzazione e “Pippineddu” propose un
paio di modelli: la rappresentanza per “arti e mestieri” sulla scia dei Comuni rinascimentali o quella più temporalmente
vicina della Comune di Parigi. Un coro di voci, quasi tutti all’unisono,
invocarono la seconda delle due , benché moltissimi non sapessero niente della gloriosa esperienza
parigina, erano attratti dall’attinenza alla “piccola Parigi “come suole
definirsi Menfi
. Uno degli ultimi atti compiuti dal “Comitato di Agitazione
Popolare” fu la preparazione della manifestazione popolare a Palermo presso la
sede del governo regionale a cui parteciparono molti comuni terremotati.
Menfi aderì nella stragrande maggioranza
. Fin dal primo mattino , la voce rauca
e cavernosa, sicuramente inconfondibile,
dello “ zu Matte Marruni”, invitava la popolazione allo sciopero “Totale e Generale”.
La manifestazione nella capitale, si risolse con la carica dei celerini, a parecchi menfitani non furono risparmiate sonore manganellate. Ritornarono
a Menfi come un esercito in disfatta. Eppure, a ben riflettere, qualcosa era
valsa.
Questa breve esperienza di Pippineddu ci ha anticipato la capacità e la misura del populismo in tempi non sospetti. In quei mesi in balia dell'antipolitica e del qualunquismo più becero,a furor di popolo furono divisi i soldi raccolti dalla RAI. Questa proposta fatta da chi amministrava al tempo il comune, si oppose a quanti cercassero di destinare i fondi per l'ospedale. Rocco Riportella, promotore di questa iniziativa rischiò il linciaggio da parte di alcuni facinorosi,del Comitato diretto da Pippioneddu"
Qualche anno dopo di “Pippineddu” cominciarono a perdersi le tracce, pare che si sia sposato con una professoressa di Palermo, ma non durò molto. Per gli strani e imperscrutabili misteri della mente umana, mori….. togliendosi la vita.
Come individui, ma anche come comunità, tentiamo spesso di
“rimuovere” gli accadimenti che
riteniamo poco gratificanti .Difficilmente però si possono cancellare. Volente o nolente essi appartengono al nostro
vissuto, sono il costrutto di questa nostra comunità.
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