lunedì 5 febbraio 2024

La lotta alla mafia del regime fascista

 

Argomento tratto dal libro 

“IL FASCISMO E GLI ANTIFASCISTI DELLA VALLE DEL BELICE” 

di

Leonardo Balistreri



La lotta alla mafia del regime fascista


Il 6 maggio del 1924 vinte le elezioni politiche del 1924 il Presidente del Consiglio Benito Mussolini, visitava per la prima volta la Sicilia. Il 7 maggio 1924, a Piana dei Greci, il sindaco Francesco Cuccia, capo indiscusso della mafia del paese e dei dintorni, ebbe l’ardire di dire a Mussolini, in presenza di numerose autorità civili, militari e religiosi.

«Voscenza non ha bisogno di tutti questi sbirri, non ha niente da temere finché sarà in mia compagnia»

Mussolini non batte ciglio, raccolte informazioni su Cuccia, e acquisite notizie dagli organi inquirenti che gli evidenziarono, che l’isola era sotto il controllo della mafia; e che nessuna forma di Stato era attecchita in Sicilia, dove la mafia vi aveva affondato le sue radici, sostituendosi al potere statale.

Il giorno successivo, l’8 maggio del 1924 ad Agrigento Mussolini rivolgendosi alla folla intervenuta durante il comizio dal balcone della prefettura disse:

«Vi dichiaro che prenderò tutte le misure necessarie per tutelare i galantuomini dai delitti dei criminali. Non deve essere più tollerato che poche centinaia di malviventi soverchino, immiseriscano, danneggino una popolazione magnifica come la vostra.»

Mussolini appena rientrò a Roma, convocò il 13 maggio del 1924 il capo della polizia Emilio De Bono e il ministro dell'interno Luigi Federzoni e decisero che il funzionario adatto per condurre la lotta contro la mafia, era il prefetto Cesare Mori, conoscitore delle problematiche dell’ordine pubblico della Sicilia, essendo stato dal 1903 al 1907 con la mansione di agente della regia guardia per la pubblica sicurezza, prima a Castelvetrano e poi a Trapani. Promosso nel 1909, a commissario, per i suoi metodi decisi, inflessibili. Questo curriculum fu decisivo per la sua nomina a prefetto, tanto che Mori fu inizialmente inviato il 2 giugno 1924 a Trapani, nello stesso lasso di tempo, il 5 febbraio 1925 il magistrato Luigi Giampietro, venne incaricato procuratore generale presso la Corte di appello di Palermo. Il progetto repressivo fascista, si stava realizzando, infatti il 20 ottobre del 1925 Mori venne trasferito da Trapani a prefetto di Palermo, con quei poteri illimitati che un regime totalitario disponeva. Queste nomine volute direttamente da Mussolini nell'ambito della sua strategia di lotta dura alla mafia, per assicurarsi che anche le condanne fossero esemplari.

L’opera del prefetto Cesare Mori nella sostanza consistette nel liquidare la cosiddetta manovalanza della mafia dei delinquenti e dei briganti “mafia degli stracci”, mentre l’alta mafia, al di là di qualche caso sporadico, fu sfiorata marginalmente; infatti, dopo la caduta del fascismo nel 1943, la mafia in Sicilia risorse con maggiore virulenza. Il sistema di potere mafioso nel periodo fascista si ristrutturò in modo da garantire l’emergere di nuovi soggetti capaci di adattarsi ai tempi nell’ aderire al nuovo corso politico.

L’attività di Cesare Mori, detto il prefetto di ferro per i suoi duri metodi, finì per essere chiusa dallo stesso Mussolini, con l’ufficiale ringraziamento di avere debellato la mafia, recitato alla Camera dall’on. Angelo Abisso il 04 marzo 1927.

Il 26 maggio 1927, alla Camera dei deputati, Mussolini tenne uno dei discorsi più famosi: il cosiddetto discorso dell'Ascensione, che assunse i toni di un vero e proprio bollettino di guerra, dove riferì sull'operato di Mori nel combattere ed estirpare il fenomeno mafioso in Sicilia; ebbe a dire, rivolgendosi all’assemblea:

[…] Qualcuno mi domanderà: Quando finirà la lotta contro la maffia? Finirà non solo quando non ci saranno più maffiosi, ma quando il ricordo della maffia sarà scomparso definitivamente dalla memoria dei siciliani […].

La dittatura fascista ha potuto togliere esteriormente il potere alla classe mafiosa, ma a sua volta ha esercitato brutalmente tutte le coercizioni extraeconomiche che accompagnano il dominio di classe e lo sfruttamento. Lo stato fascista offrì alla classe dominante siciliana, che aveva già aderito in massa al fascismo un’alternativa capace di sostituire e superare negli effetti i metodi mafiosi, come a esempio la repressione del movimento contadino organizzato.

La evidente disastrosa situazione economica del Mezzogiorno, che Mussolini asseriva che sarebbe stata risolta, sostenendo che era perfettamente informato di tutti i problemi dell’isola, e avrebbe mutato la sua povertà in ricchezza; nessuno di questi e altri consimili impegni furono mantenuti, come arrestare i vertici dell’organizzazione mafiosa.

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