Giuseppe
Bivona
Quel beneficio che si realizza
nell’azione di donare
è già contraccambiato se viene accolto con benevolenza;
è già contraccambiato se viene accolto con benevolenza;
l’altro beneficio, quello che consiste
nell’aspetto materiale, noi non lo abbiamo ancora ricambiato, ma vogliamo
ricambiarlo. All’intenzione rispondiamo con l’intenzione, ma siamo ancora
debitori di un oggetto in cambio di un altro oggetto. Per questo diciamo che la
riconoscenza consiste nel ricevere con buona disposizione d’animo. Tuttavia
prescriviamo anche di ricambiare il dono
ricevuto con uno simile (Seneca)
Se
il mercato è il luogo dove s’incontrano domanda ed offerta ,ovvero dove si
scambiano i beni divenuti nel frattempo
merci, il dono è una modalità
,l’occasione di incontro con l’altro,il prossimo ,il vicino,con la vita.
Nelle società rurali lo scambio di doni era una consuetudine parecchio
praticata che ristabiliva e consolidava
una forte intimità umana. Era un elemento essenziale nel fitto intreccio di
relazioni che consentiva alle persone,
di avvicinare il donatore col ricevente , vedersi in volto, magari di penetrare
lo sguardo anche intimamente . L’economia classica mercantile di oggi è incentrata sui rapporti di forza ,da un
lato la domanda ,dall’altra l’offerta, sempre in perenne ricerca di un
equilibrio ,ossia la definitiva formazione del giusto prezzo . Conclusosi l’affare il legame si scioglie. Ognuno dei contraenti prosegue per la propria
strada.Tutto si svolge all’insegna della massima razionalità
Ma
cosa accade invece quando un contadino fa dono,per esempio, di un cesto di
frutta al suo vicino il quale ne è momentaneamente sprovvisto? Innesca una serie di
relazioni,aspettative,interdipendenze
che rinsaldano i vincoli. Ora il dono non è caratterizzato dalla
razionalità cosi come lo abbiamo
descritto nel contesto mercantile,
perciò il ricevente , si sentirà ,certo in obbligo di restituire il favore , ma
proprio perché scambiano beni e non merci, il rapporto è in perenne
“disequilibrio”. E’ uno scambio paradossalmente “asimmetrico” che innesca
“aspettative” diverse da parte del donatore rispetto al ricevente. Quest’ultimo
si sente in obbligo morale e la sua preoccupazione sarà di contraccambiare la
donazione. Questa perenne “oscillazione”
crea dei vincoli di reciprocità
che si estendono e si ampliano oltre la portata economica dello scambio.
Ora
se immaginiamo che tali relazioni si istaurano ad ogni scambio tra tutti i componenti di una comunità , ne risulta che la collettività sarà pervasa
da un altissimo livello di coesione e di connessione sociale. Non a caso
abbiamo chiamato la società contadina
“comunità” per la profonda e marcata differenza con la “società” industriale e
urbana. La prima basata sulla collaborazione,la reciprocità e la coesione . La
seconda ,da competizione, concorrenza , ipertrofia individualistica, dominata
dagli interessi. Ma ritorniamo al dono.
Un
esempio eloquente di dono nel mondo contadino era lo scambio di sementi,o di
innesti di fruttiferi. Di solito la selezione era affidata all’anziano che
prima di iniziare la raccolta delle produzioni orticole, si aggirava tra i
filari selezionando i frutti migliori, per resistenza alle malattie, alla
siccità, maggiore pezzatura migliore colorazione , gusto più spiccato. I
contadini erano orgogliosi delle selezioni che avevano operato, ed era con
sommo piacere poterla donare a
quanti, parenti e amici, gliene facevano richiesta .L’atto di donare
la semente o un innesto di fruttifero di particolare pregio ,coinvolgeva il
contadino perché quella semente era una parte di se stesso,per le tante cure
che aveva profuso, delle attenzioni che aveva speso e delle intelligenti osservazioni . Sapeva che i geni
della progenie dei suoi frutti si
sarebbero espressi in altri contesti e
questo legava affettivamente sempre più il contadino con la sua coltura. Ma la sua soddisfazione raggiungeva il
massimo quando gli venivano mostrati i frutti che provenivano dalla sua semente
. Non c’erano soldi, né compensi che potevano eguagliare tanta felicità.
Cosi valeva per tutti gli altri
beni oggetto di donazione, dove
“interiorizzavano” l’amore profondo con
cui èrano fatti , lavorati con le
proprie mani ,con prodotti di base di
sua proprietà, con cura e meticolosità .
Le
società rurali non erano certo realtà idilliache, pacificate e sempre
gioiose ,erano spesso pervase da conflitti e tensioni a causa dei rapporti di
proprietà e delle condizioni di miseria
in cui erano costretti a vivere. Ma il prevalere della “comunità” sulla società
, della solidarietà sull’egoismo, dell’economia del dono su quella di mercato , della sobrietà sullo spreco, ci pone
oggi, in una realtà sempre più difficile
da leggere, ad una attenta riflessione e riconsiderazione
Perciò
l’economia del dono può essere il nuovo paradigma per la definizione e
ricostruzione del “bene comune”.
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