venerdì 16 marzo 2012

Il dono nella società contadina

Giuseppe Bivona

Quel beneficio che si realizza nell’azione di donare
 è già contraccambiato se viene accolto con benevolenza;
l’altro beneficio, quello che consiste nell’aspetto materiale, noi non lo abbiamo ancora ricambiato, ma vogliamo ricambiarlo. All’intenzione rispondiamo con l’intenzione, ma siamo ancora debitori di un oggetto in cambio di un altro oggetto. Per questo diciamo che la riconoscenza consiste nel ricevere con buona disposizione d’animo. Tuttavia prescriviamo  anche di ricambiare il dono ricevuto con uno simile (Seneca)

Se il mercato è il luogo dove s’incontrano domanda ed offerta ,ovvero dove si scambiano  i beni divenuti nel frattempo merci, il dono è una modalità  ,l’occasione di incontro con l’altro,il prossimo ,il vicino,con la vita. Nelle società rurali lo scambio di doni era una consuetudine parecchio praticata  che ristabiliva e consolidava una forte intimità umana. Era un elemento essenziale nel fitto intreccio di relazioni  che consentiva alle persone, di avvicinare il donatore col ricevente , vedersi in volto, magari di penetrare lo sguardo anche intimamente . L’economia classica mercantile di oggi  è incentrata sui rapporti di forza ,da un lato la domanda ,dall’altra l’offerta, sempre in perenne ricerca di un equilibrio ,ossia la definitiva formazione del giusto  prezzo . Conclusosi l’affare  il legame si scioglie.  Ognuno dei contraenti prosegue per la propria strada.Tutto si svolge all’insegna della massima razionalità
Ma cosa accade invece quando un contadino fa dono,per esempio, di un cesto di frutta al suo vicino il quale ne è momentaneamente sprovvisto?  Innesca una serie di relazioni,aspettative,interdipendenze  che rinsaldano i vincoli. Ora il dono non è caratterizzato dalla razionalità  cosi come lo abbiamo descritto   nel contesto mercantile, perciò il ricevente , si sentirà ,certo in obbligo di restituire il favore , ma proprio perché scambiano beni e non merci, il rapporto è in perenne “disequilibrio”. E’ uno scambio paradossalmente “asimmetrico” che innesca “aspettative” diverse da parte del donatore rispetto al ricevente. Quest’ultimo si sente in obbligo morale e la sua preoccupazione sarà di contraccambiare la donazione. Questa perenne “oscillazione”  crea dei vincoli di reciprocità  che si estendono e si ampliano oltre la portata economica dello scambio.
Ora se immaginiamo che tali relazioni si istaurano ad ogni scambio  tra tutti i componenti  di una comunità , ne risulta  che la collettività  sarà pervasa  da un altissimo livello di coesione e di connessione sociale. Non a caso abbiamo chiamato  la società contadina “comunità” per la profonda e marcata differenza con la “società” industriale e urbana. La prima basata sulla collaborazione,la reciprocità e la coesione . La seconda ,da competizione, concorrenza , ipertrofia individualistica, dominata dagli interessi. Ma ritorniamo al dono.
Un esempio eloquente di dono nel mondo contadino era lo scambio di sementi,o di innesti di fruttiferi. Di solito la selezione era affidata all’anziano che prima di iniziare la raccolta delle produzioni orticole, si aggirava tra i filari selezionando i frutti migliori, per resistenza alle malattie, alla siccità, maggiore pezzatura migliore colorazione , gusto più spiccato. I contadini erano orgogliosi delle selezioni che avevano operato, ed era con sommo piacere  poterla donare a quanti,  parenti e amici,  gliene facevano richiesta .L’atto di donare la semente o un innesto di fruttifero di particolare pregio ,coinvolgeva il contadino perché quella semente era una parte di se stesso,per le tante cure che aveva profuso, delle attenzioni che aveva speso e delle  intelligenti osservazioni . Sapeva che i geni della progenie dei suoi frutti  si sarebbero  espressi in altri contesti e questo legava affettivamente sempre più il contadino con la sua coltura.  Ma la sua soddisfazione raggiungeva il massimo quando gli venivano mostrati i frutti che provenivano dalla sua semente . Non c’erano soldi, né compensi che potevano eguagliare tanta felicità. Cosi  valeva per tutti gli altri beni  oggetto di donazione, dove “interiorizzavano”  l’amore profondo con cui èrano fatti , lavorati  con le proprie mani ,con  prodotti di base di sua proprietà,  con cura e meticolosità .
Le società rurali non erano  certo  realtà idilliache, pacificate e sempre gioiose ,erano spesso pervase da conflitti e tensioni a causa dei rapporti di proprietà e delle condizioni  di miseria in cui erano costretti a vivere. Ma il prevalere della “comunità” sulla società , della solidarietà sull’egoismo, dell’economia del dono  su quella di mercato ,  della sobrietà sullo spreco, ci pone oggi,  in una realtà sempre più difficile da leggere, ad una attenta riflessione e riconsiderazione
Perciò l’economia del dono può essere il nuovo paradigma per la definizione e ricostruzione del “bene comune”.

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