Giuseppe Bivona
“Avanti a chi tocca” disse con la solita decisa cortesia il signor Rizzo, “ armato “ della
sua sassola, impugnata saldamente come
se fosse un soldato romano, ostentante
la sua gladio.
La signora anziana che con fatica era rimasta in
piedi, aspettando il turno, strattonò il marito assorto ad osservare il contenuto dei sacchi
esposti, aperti per mostrare le granaglie: mais intero e spezzettato, orzo,
avena, crusca, fave ecc.. –
“ Cicciu a niatri tocca!” -. Lu zu’ Ciccio
ubbidiente da una vita, alla voce della moglie
scattò sull’attenti come si
conviene ad una recluta militare, prese
il sacco e lo porse aperto per riempirlo di granaglie.
Il signor
Rizzo aveva iniziato a versare le prime palate al che lu zu’ Cicciu chiuse la bocca del sacco e con aria trasognata chiese: - “ Possibile ,
che queste mie galline, siano cosi stupide! Pensate,lasciano il grano, il mais ma pure il mangime, per
rincorrere un filo d’erba, una” liffia” di cipolla, per non parlare delle
foglie di lattughe, quelle di risulta, che mia moglie scarta in cucina! Non ci
crederete, ma alcune di loro, saltano la
recinzione, rischiano di farsi mangiare
dai cani … per pochi, inutili fili d’erba !“
Nella “putia” del signor Rizzo scese un silenzio
imbarazzante, finché il provvidenziale spirito gioviale del proprietario ruppe
il generale disagio: - “ Ma zu’ Cicciu….. lo dice pure la canzone che ” la gallina non è un animale
intelligente!”
No! Caro
zu’ Ciccio, le galline non sono stupide,
gli imbecilli siamo noi, ignoranti e presuntuosi, che abbiamo perso il senno, il ben
dell’intelletto, la capacità di osservare, riflettere, fare tesoro
dell’esperienza quotidiana! Non traiamo
più dalla natura nessun insegnamento
Nel lungo processo di addomesticamento, in questi
ultimi decenni ha prevalso l’esigenza “ aziendale”, il modello organizzativo,
la praticità, l’economicità, l’efficienza. Interventi che,
attraverso la semplificazione della razione alimentare, tradotti con
somma banalizzazione in unità foraggere, pensavamo di ridurre la “macchina”
animale ad uno strumento atto a trasformare gli alimenti vegetali in carne,
uova e latte. Siamo riusciti ad
abbassare, fino all’inverosimile “l’indice di conversione” ovvero la quantità
di mangime necessario per essere trasformato in prodotti zootecnici.
Il
“miracolo” della moderna avicoltura ha due santuari: il miglioramento genetico,
ovvero la capacità di rendere più efficiente la “macchina” e l’industria
mangimistica, ovvero la ricerca di un “ carburante” altamente energetico.
Così, le galline
“moderne” non sanno più cosa vuol dire razzolare, beccare i teneri fili
d’erba, cibarsi di larve scovate nell’aia alla ricerca di germogli o insetti e
poi la più infame delle torture…. non conoscono il gallo! E…. cosa ne è rimasto
dell’istinto “materno” della chioccia padovana? Così minuta ed agile, capace di
affrontare animali più grossi di lei per difendere la covata!
Ora tutto è
proteso alla massima razionalità: raggiungere il massimo risultato col il
minimo dispendio di risorse. Per abbassare i costi sono stati escogitate
tecniche di allevamento da lager nazista. Capannoni con 5000 e talvolta
10.000 capi col sistema “ tutto pieno,
tutto vuoto”.
La vigilanza è affidata a uno o due operai che si limitano a somministrare acqua, mangime e antibiotici
o sulfamidici. Trascorsi un paio di mesi, il capannone è svuotato, ripulito,
disinfettato pronto per ospitare altri pulcini.
Che strano destino quello dei polli, nascono senza
un atto d’amore, la gestazione è affidata ad una macchina che simula il calore,
l’umidità e..il giro dell’uovo. Appena nati vengono “sessati”, un “criminale”
giapponese trovò il modo di riconoscere il sesso nei pulcini di un giorno. Ora
immaginate la fine che faranno i maschietti la cui razza è destinata a produrre
uova!
Il pulcino non ha infanzia è destinato,
con alchimie varie, a divenire
subito adulto ovvero un brolier, per avere un incremento di un kilogrammo di
carne, bastano appena Kg 1,5 di mangime e raggiunge il suo peso vivo di circa
Kg 2,300 in
35 giorni. Miracolo o follia?
Le loro carni sono immangiabili, nessun
ristoratore che si rispetti ha la spudoratezza di servirle al tavolo dei suoi
clienti. Non “tengono” la cottura se si supera di poco il punto giusto, per cui
le loro carni si sbriciolano e, se restano cotte, sanno di pesce marcio. Sono
destinati alle mense delle fabbriche o, peggio ancora, alle mense scolastiche
e, comunque, alle famiglia con basso reddito.
Tutta la ricerca e la pratica applicazione che ne
è derivata nel settore zootecnico, è stata indirizzata unicamente per produrre
profitto agli investitori di mangimi e zoo farmaci e cibo spazzatura per i
consumatori. La follia produttivistica non ha più limiti, la ricerca “forza”i confini biologici delle specie, proponendo
polli senza piume per ridurre i tempi dello piumaggio o la produzione di tre
uova al giorno per le ovaiole.
In un mondo globalizzato nessuno può impedire alla
“tecnica” di fare quello che può fare, non ci sono limiti etici che possono
imbrigliare la ricerca e lo sviluppo della “tecnica”.
Tuttavia una cosa possiamo pretendere: che le
“nuove” produzioni non siano chiamate o confuse con le produzioni
tradizionalmente coltivate ed allevate. Quando si “ denatura “ un processo è
ovvio che si “altera “ il prodotto in tutti i suoi aspetti
merceologici: dal colore alla consistenza, al gusto, al valore nutritivo e alla
funzione nutraceutica.
L’esempio più eloquente lo traiamo dall’uovo. Cosa ci ”azzecca”
l’uovo “industriale” di allevamento intensivo, con un uovo di gallina che cresce libera di
razzolare in un prato,che il giorno non è confuso con la notte e che prima di deporre l’uovo si è felicemente
accoppiata con il suo gallo!
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