di
Giuseppe Bivona
Atterrato
sulla pista polverosa di Marzuq l’eroico
aviatore Italo Balbo dopo aver
attraversato buona parte del deserto
libico domandò, con tono quasi
provocatorio, ai beduini presenti,
quanto tempo impiegavano con i cammelli, partendo da Bengasi . “Più o
meno 28 giorni” risposero tutti d’accordo
i più esperti cammellieri .” Ebbene ,io , ho solo impiegato poco più di
sei ore!” disse compiaciuto il governatore della Libia. “Di grazia” chiesero,ancora di stucco, i carovanieri “ e
degli altri 27 giorni cosa ne fate?!”
Se vi
capita di visitare il mulino restaurato
e reso funzionale da Umberto Russo a Longi sui Nebrodi, non potete sottrarvi
all’emozione che vi assale appena
varcate l’ambio uscio che sfiora la strada , divenuta in quel tratto
appena poco più larga dopo un percorso stretto e tortuoso. Percepite subito una curiosa sensazione
,gradevole, quasi epidermica, come se per la prima volta ci si potesse appropriare del
tempo,invertirne la freccia ,renderlo reversibile, come se una magica moviola
ci riconducesse in una età passata, immersi in uno scenario odoroso, rumoroso,
polveroso così come l’avevamo lasciato cinquant’anni fa ,prima di barattarlo
per qualcosa di cui oggi non riusciamo a definirne vantaggiosamente i contorni. Ora che viviamo in un’epoca in cui la nostra capacità
di fare e realizzare sembra soverchiare e prevalere sulla capacità intellettiva di prevedere e governare,
sentiamo tutti uno strano presagio, un
vago malessere .Circa trent’anni fa
Masanobu Fukuoka scrisse un testo che fu l’introduzione all’agricoltura
naturale :”La rivoluzione del filo di paglia” : Oggi parafrasando il lavoro
dell’agronomo giapponese, l’ingegnere
Russo ha compiuto la sua piccola, privata ,solitaria “rivoluzione “
ma…..con il chicco di grano .
Ebbene
si ! Viviamo in tempi assurdi dove il destino delle cose prodotte
dall’uomo è segnato dalle “scadenze” quasi che la nostra maggiore
preoccupazione sia la” non durata” ,dove qualsiasi bene realizzato ha in se
connaturato, incorporato un preciso termine
(da consumarsi entro e non oltre)che ne determina, paradossalmente, non
il fine , ma la fine! Invece qui, in
questo silenzioso e delizioso angolo dei Nebrodi, Russo combatte solitario ma
deciso la sua battaglia contro ….il Mulino Bianco ,la stravagante invenzione
pubblicitaria che da anni rincoglionisce
grandi e piccini, surrogando le naturali sensazioni gustative con piacevoli
trasposizioni visive ed uditive in una girandola che confonde e sconvolge il
ruolo dei sensi. Cosi basta salire al primo piano dove Russo ha allestito un
piccolo laboratorio per biscotti ed essere piacevolmente investiti dal
‘effluvio di composite fragranze, naturalmente sprigionate dalla sua
produzione dolciaria artigianale. Mentre
assaggiamo le classiche paste secche siciliane al sapore di pistacchio, non possiamo
esimerci da una riflessione: ritroviamo intatta una originale esperienza,
caratterizzata dal principio d’inscindibilità che lega con una attenzione e
cura meticolosa tutte le operazioni
procedurali nella filiera produttiva ,
coniugando felicemente il “prodotto “con il “processo” . Come si
realizza ? Semplicemente esorcizzando la tirannia del tempo con le sole armi della discontinuità,
lentezza ,la paziente attesa, le lunghe pause , ma ancor di più con il “rispetto”
delle cose a cominciare ad esempio dalla
materia prima ,la farina ,attraverso la molitura del grano. Si proprio dal
nostro chicco! Perché dalle condizioni di macinazione adottate che noi ne
determiniamo il grado di danneggiamento dell’amido o meglio dei granuli di
amido. Solo le farine con granuli di amido non eccessivamente danneggiate
rigonfiano e gelatinizzano debolmente durante l’impasto , quelle che poi ci
daranno un pane di giusto volume ,con mollica asciutta ,ben cotta e dal colore
della crosta poco scura . Per produrre una si fatta farina i fratelli Russo
hanno recuperato le grosse macine di un
vecchio mulino ad acqua le cui pietre speciali provenivano dalla Francia e
precisamente dalla zona di La
Fertè-sous -Jouarre ,probabilmente di origine vulcanica
durissime che non comunicano odori e gusti estranei alle farine durante la
lavorazione. Due pietre dal peso di una tonnellata ciascuna, a cui un ruolo non
secondario, è affidato alle “scanalature” disegnate sulle facce interne delle
macine , molto probabilmente del tipo olandese composta da incavi circolare e
solchi paralleli.
La
ruota mobile gira lentamente così da mantenere bassa la temperatura
preservandone della cariosside tutta la
ricchezza organolettica in particolare consentire al germe ed agli oli
essenziali in esso contenuti ,di
amalgamarsi con la restante parte amilacea evitandone la “cottura”e così conservare molte proprietà benefiche
naturalmente presenti nel grano. La farina “tal quale “ finisce nel buratto
dove un cilindro a pareti di tela separa la sola crusca , la parte più esterna
,periferica del chicco. E’ qui che Russo orgogliosamente, vi mostra le tante risultanze di una vasta e attenta
ricerca medica, che assegna alla fibra e
alla suo ricco contenuto in minerali un
ruolo di scavenger(spazzino) decisivo
nella prevenzione e cura di molte malattie
cosi dette del benessere che non a caso,sono aumentati, da quando
abbiamo abbandonato gli Antichi Mulini
a Pietra.
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