Se raffrontato con i grandi discorsi di fine anno, non è certamente tra i più apprezzabili
Non c' è stata traccia dei temi scottanti, dell'autonomia differenziata, leggasi secessione, ne delle politiche agricole, industriali, ne artigianali, ne sanitarie, ne di lotta alla mafia, nulla di nulla . Perchè?
Riceviamo e pubblichiamo .
– Illustrissimo presidente Mattarella, come tutti gli anni ho ascoltato con molta attenzione il suo messaggio di fine anno. Come sempre ho apprezzato il suo modo corretto e pacato di affrontare gli argomenti di attualità, ho ammirato la forza con cui ha condannando gli eventi che, come esseri umani e come cittadini, ci turbano e ho stimato il suo elogio a chi fa del suo meglio per risolvere tali problemi per dare origine ad una maggiore equità sociale e a un progresso di tutta la politica mondiale.
Nonostante questo, ho deciso di rivolgermi direttamente a lei perché durante il discorso non ho ascoltato alcuna menzione rispetto ai problemi che affliggono gli agricoltori, spina dorsale del tessuto sociale ed economico della nostra nazione.
Il fatto che sia i problemi cronici che quelli acuti che affliggono il settore primario continuino a essere sottovalutati e ignorati, anche da chi come lei dovrebbe avere la visione d’insieme dello stato di salute del nostro paese, non fa altro che confermare che la nostra categoria giorno per giorno, stagione per stagione viene dimenticata.
Non mi sento di biasimarla, né tantomeno mi sorprendo, ormai siamo abituati a questa disattenzione nei nostri confronti, ci abbiamo fatto gli anticorpi. In una società i cui valori si stanno limitando sempre di più all’apparire, dove si è alla ricerca della ricchezza facile e senza sforzo, dove il lavoro è sottovalutato, dove la natura è disprezzata e offesa in funzione di una crescita spasmodica della produzione, dove tutto sembra ormai essere diventato artificiale ad iniziare dall’intelligenza, caratteristica prettamente umana ma ormai quasi interamente demandata alle macchine, noi agricoltori, portatori di valori antichi, iniziamo a non trovare più spazio, nemmeno nelle parole di un discorso.
A questo disinteresse purtroppo ci siamo abituati, ma non si preoccupi non ci abbattiamo, siamo altresì abituati a risolverci i nostri problemi da soli e ad essere protagonisti delle nostre scelte, ma una sola parola spesa nei nostri confronti ci avrebbe sicuramente confortato.
Mi permetto e mi preme anche ricordarle che gli agricoltori italiani possono ancora fare la differenza nella corretta gestione del territorio, nelle produzioni alimentari che ormai sembrano essere ad esclusivo appannaggio dell’industria e nel tramandare quei valori di civiltà ancora utili e necessari per correggere tutte quelle aberrazioni sociali che tanto ci preoccupano. Siamo e saremo sempre noi con i nostri prodotti, con i nostri luoghi, con le nostre tradizioni a rappresentare l’eccellenza italiana nel mondo e per questo le dico che è arrivato il momento di ripristinare quelle condizioni necessarie per creare il clima di fiducia necessario ad affrontare sia l’anno appena iniziato che quelli a venire.
La crisi del settore primario, ormai in corso da cinque anni, sta portando alla morte moltissime aziende agricole sia in Italia che in Europa. Le grandi manifestazioni di agricoltori, che nell’inverno scorso si sono diffuse su tutto il nostro continente, sono il sintomo di questo disagio e quando si arriverà al punto che quelle aziende, le quali oggi rappresentano un grande valore non solo economico ma soprattutto di civiltà, saremo tutti sempre di più ostaggi di quei grandi speculatori che da tempo si manifestano nella nostra esistenza e le cui finalità esclusive di sfruttamento poco si confanno ai valori e agli interessi collettivi di una nazione civile.
Illustrissimo signor presidente della Repubblica, confidando nel suo buon senso di capo dello Stato e di padre di famiglia, la invito a ricordarsi di noi agricoltori e a sostenerci e spero che possa riconoscere in noi quei valori concreti di cui tanto ha necessità il futuro che ci attende.
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