di Giuseppe Bivona
Gioacchino
Rossini, racconta un aneddoto ,passeggiando per le vie di Parigi era solito
esternare ossequiosi inchini verso tutti gli spagnoli che incontrava, senza
alcuna distinzione di età ,ceto o di
sesso. Finchè, un giorno qualcuno della sua stessa compagnia gli chiese
spiegazione di tanta esagerata riverenza.”Quagliù”rispose serio il maestro
–“Noi italiani dobbiamo essere grati a sti spagnuoli, perché senza di loro ,nui
….. saremmo i più fessi del mondo”.
Ebbene,strano che possa sembrare non mancano
nostrani tentativi ,in soverchie occasioni, perché ci cimentassimo nello strappare questo primato
agli spagnoli. Così può accadere che qualche stimato professionista,in questi
anni lautamente compensato per le sue frequenti “incursioni” nella nostra
isola,facendo leva sulle “affinità elettive” di noi siciliani ,per via della
lunga ed incisiva dominazione plurisecolare spagnola, ci propone come un
ottimo esempio da emulare ,il modello olivicolo
spagnolo. Anzi ,come se non bastasse ,suggerisce l’ultima
variante aggiornata di più spinta innovazione,basata su sistemi d’impianto
superintensivi(1200-1500 piante ad ettaro), scegliendo una collaudata varietà, l’arbequina,
che ha il pregio di prestarsi bene alla meccanizzazione integrale della
raccolta. Già in altre occasioni , abbiamo espresso non poche titubanze sulla
convenienza circa la trasferibilità di modelli colturali pensati e maturati
altrove, sfuggendo alle lusinghe di quanti osannavano sensazionali risultati
produttivi. Sembra quanto meno opportuno ribadire alcuni principi fondamentali
della nostra politica olivicola che la nostra regione si è posta come obbietti
attraverso l’attuazione di specifici programmi. Con ciò senza voler mortificare
la libertà d’impresa o di quanti intendono ,attraverso nuovi modelli colturali
,”modellare “le produzioni olivicoli più rispondenti alle”esigenze”del mercato .Per
esporre le nostre ragioni di contrarietà all’esperienza olivicola spagnola ,da
esportare come tale in Sicilia,ci avvarremo della formula papale:”Non
Possumus”, vista la sacralità del “oggetto”ci sarà di certo perdonato l’ardire.
- -Perchè la nostra olivicoltura ha
caratteri suoi propri,sia sotto l’aspetto dell’assetto poderale che per la sua
distribuzione orografica .Perciò difficilmente può soddisfare quei requisiti
minimi che rendono conveniente e attuabile il trasferimento di taluni modelli pre-confezionati.
-Perché in un contesto di mercato
sempre più globalizzato,dominato da produzioni quasi sempre anonimi,omogeneizzate
e banalizzate ,la diversità varietale inserita in un’ampia variabilità
ambientale,sapientemente comunicate e coniugate
con il resto delle risorse territoriali
,costituiscono un elemento strategico dell’offerta,un punto di forza per
produzioni d’eccellenza.
-Perché in questi ultimi anni è
maturata sempre più la consapevolezza che la gestione delle risorse di un
territorio passano per la capacità di saper armonizzare la funzione produttiva
con quella fruitiva Così come la “gradevolezza” di un luogo non
può che esprimersi attraverso l’unicità (unicum) fra le diverse componenti : le
bellezze naturali,testimonianze archeologiche,sequenze architettoniche,l’impronta
del paesaggio agrario ecc. Ebbene provate ad immaginare ,percorrendo l’itinerario
che da Se gesta attraversa Selinunte,passa per Sciacca fino ad Agrigento,una
campagna priva della coreografia di vecchi alberi di ulivo con le sue tipiche
forme di allevamento,con i fusti smisurati e contorti un barocco vegetale !Perchè
la diversità varietale non è solo espressione di ricchezza genetica,ma diviene
l’occasione culturale di saperi e sapori che caratterizza la cultura alimentare
e gastronomica .Oggi i tanti differenti oli siciliani si contraddistinguono anche per la collocazione in “cultivar –area
di produzione “ vedi l’:olio di Biancolilla di Caltabellotta, l’olio di
Cerasuola di Sciacca,l’olio di Nocellara di Castelvetrano ecc. divenuti ormai
consolidati punti di riferimento per parecchi consumatori. Perché questi
vecchi,malridotti, irrazionali ,sparsi alberi assolvono con la semplice
esistenza ad una produzione ….etica: fissano ,accumulano ,imprigionano nelle
loro contorte strutture lignee,buona parte dell’anidride carbonica che con le
nostre attività ,talvolta, soventi scellerate ,immettiamo sempre più nell’atmosfera
.Perchè in questi ultimi anni
abbiamo compreso che la crisi che investe non poche produzioni agricole è
spesso imputabile ad interventi di tecniche di produzione esasperate ed
esagerate che finiscono con l’esporre le aziende ad elevati investimenti
finanziari .Succede così che in condizioni congiunturali ,di sovrapproduzione e in assenza di una
corrispettiva e sostenuta domanda
finiscono per essere esposti a concreto rischio di fallimento.
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