martedì 30 dicembre 2014
lunedì 22 dicembre 2014
Buono da mangiare o giusto per nutrirci?
Il cibo deve essere: più buono o più
giusto?
Giuseppe Bivona
“La vucca è n’aneddu chi si futti turri e casteddu” ( La bocca è un muscolo anelli forme in grado di dissipare interi patrimoni compresi torri e castelli)
L’anziana nonnina espresse la sua
opinione con tono sommesso , ma scandendo con precisione le parole
, forse perché voleva che non ci fossero
dubbi! Entrò nell’ampio salone della
sala-soggiorno e fu investita da una
tavolata riccamente imbandita di ogni ben di dio.
Alice udì la provocazione dell’anziana
donna e a primo acchito non ne comprese
il senso logico però storse garbatamente il naso. Figurarsi, Lei … cosi attenta
e meticolosa nell’esaltazione dei sapori , alla ricerca puntigliosa della combinazione
tra gli elementi cibali .. e poi la raffinatezza nell’individuazione del giusto
equilibrio dei componenti, giusta
cottura ….insomma qualcosa che rasenti…. erotismo!
Per farla breve ad Alice
le sensazioni olfattive e gustative sono delle emozioni umane talvolta uniche ed irripetibili, che
sarebbe un sacrilegio non goderseli!
Eppure la “nonnina” passando accanto al
tavolo, riccamente assortito ed appoggiandosi al suo bastone ripeteva come una nenia…” Ormai ogni giorno è
Natale,una festa continua, ma l’abbondanza
annulla il desiderio e senza desiderio
non c’e godimento….Viviamo nell’era che
ha perso il senso dell’limite , possiamo mangiare tutto quello che desideriamo.
Una volta non era cosi, attendevamo bramosi
le feste e come se la vigilia…insomma il
sabato era meglio della domenica!!”
Si, Alice sapeva ed amava cucinare come poche donne sanno fare
,( i più gettonati sono sempre dell’atro genere) la sua cultura agroalimentare era sorretta dalla dote naturale legata
strettamente al suo ..buon naso.!
Perciò non perse tempo: “ Strano, molte
persone anziane si “rifugiano” nel
cibo come la sola ed unica esperienza
che possa sentirle in vita, quasi che con le emozioni del gusto le facessero sentire ancora saldamente attaccati alle cose terrene ,legati al sottile filo
della vita.”
Invece la nostra “nonnina” non si lascia
incantare dalle sirene del gusto . Dai suoi oltre novantanni aveva maturato ,per le tanti stagioni
trascorse una lapidaria certezza: le porte dell’inferno sono
lastricate dal facile ed immediato godimento “
Il dialogo, a tratti informale continua,”Chissà,” pensò
Alice “ma certe persone, anziane e non, oggi sembrano occultare
il piacere del cibo quasi fosse un atto …peccaminoso! Lo avranno ereditato da San
‘Agostino che il solo unico amore l’ho dobbiamo esprimerlo nel desiderio
assoluto con dio e non distrarlo in altre direzioni” .
L’anziana donna non sembrava farsi
intimorire dalle dotte citazioni di Alice , rimase in silenzio qualche istante
e poi continuò:
“Questo nostro mondo è tutto strano paradossale, stravagante…se siamo isodisfatti
, infelici, tristi ed ammalati attiviamo
la “nostra “ economia”,ovvero consumiamo di più, spendiamo senza riflettere per l’acquisto di
prodotti suggeriteci dalla pubblicità , varchiamo senza ritegno
le soglie delle farmacie per rifocillarci degli ultimi ritrovati della farmacopea. Ebbene, per strano che possa sembrare
dobbiamo esser”infelici” per consumare
di più! Sembra che l’istinto di morte ,di freudiana memoria, passi dal desiderio di veleni variamente assortiti
sotto forma di sozzerie alimentari , per
non parlare dell’abuso di alcool e tabacco.”
Oggi
moltissimi cibi ingannano,drogano il cervello , la sede primaria dove vengono
codificati le sensazioni olfattive e gustative , decidiamo sulla bontà di un
alimento sulla base di sensazioni emotive, viscerali, emozionali in un scellerato scambio tra messaggi,
impulsi gusto-olfattive e risposta logica emessa dal cervello dopato .
Ogni giorno la signora Clerici come tanti altri ,in altri canali televisivi,ci bombardano di bizzarre
ricette propinati da cuochi più o meno
famosi tutti intenti ad esaltare,stupire,
emozionare le papille gustatine ed olfattive . Ci sorprendonocon le più
impensabili stramberie al limite
dell’assurdo del buon ..gusto
Ma
Chiediamoci:
E tutto l’apparato digestivo,
enzimatico, assimilativo cosa ne
pensa dei tantissimi alimenti che in
forma e contenuto cosi disparati entrano senza il “loro “ permesso” nel nostro
organismo?
Come si comporta il nostro fegato quando si
vede arrivare dei strani grassi sotto forma isometrica “trans” .
Che
destinazione riserviamo alle tanti
peptoni e polipetdi , che non
riusciranno a trasformarsi in amminoacidi . Per ogni cibo che ingeriamo non siamo soliti fare una attenta analisi Ci limitiamo ad un
superficiale ,estetica valutazione
visiva,olfattiva gustativa.
Viviamo uno strano rapporto asimmetrico col
cibo , : siamo pressoché identici nelle funzioni metaboliche all’uomo del
paleolitico che non aveva “truccato
“ nulla della natura , invece ingeriamo prodotti alimentari che
sono diversi e distanti anni luce dal contesto in cui si è evoluto l’uomo sapiens
La nonnina, ora se ne stava in silenzio per
anni aveva visto e ..sentito stupidaggini in televisione programmi confezioni al solo unico scopo di esaltazione
dei sapori senza avere il minimo
riguardo alla destinazione finale ovvero al mantenimento dello stato di salute
e benessere a tavola nel quotidiano rapporto col cibo. La
sua quasi centenaria esperienza
l’induceva ad una strana conclusione : spesso e volentieri le pietanze più ci appaiono buoni più ci fanno
male!!
“ Ma allora “ disse un po’ spazientita
Alice “ che cosa dobbiamo mangiare?
La nonnina
alzò il viso e le indirizzò uno sguardo benevolo:
“Dobbiamo sederci a tavola imbandita con “
naturalezza” e sobrietà , il pasto
deve avere un singolare connotato : deve
essere “parco” . Ovvero dobbiamo alzarci
da tavola avendo ancora …fame
A tavola come nella vita dobbiamo fare esperienza de” limite” sapersi
controllare ed opporsi alla tracotanza
del tutto e subito del godimento materiale immediato. Non spegnere la domanda di bisogno.
Vedrai , alla fine questo “sacrificio “…..
ne varrà la pena!!”
venerdì 12 dicembre 2014
DOVE ANDIAMO?
di Giuseppe Bivona
Luoghi e non luoghi dove trascorrere le vacanze
Qualche esempio
di” GeniusLoci
È ormai celebre la distinzione fra luoghi e non luoghi proposta oltre
ventanni fa dall'antropologo francese Marc Augé: "Se un luogo può
definirsi come identitario, relazionale, storico, uno spazio che non può
definirsi né identitario, né relazionale, né storico si definirà un
non-luogo".
Sono non luoghi gli spazi relativi al transito e alla circolazione di persone,
merci, denaro, informazioni: le stazioni ferroviarie, gli autogrill, i
sotterranei della metropolitana, le sale d'attesa degli aeroporti, ma anche i
supermercati, le banche, le grandi catene alberghiere e ristorative, i campi
nomadi e profughi nelle periferie delle città.
Laddove i luoghi esprimono una tensione emotiva, una storia e un'identità
precisa,ovvero un genius loci, i non luoghi sono privi di storia,
anonimi, simili gli uni agli altri.
Laddove i luoghi invogliano le persone a stabilire relazioni sociali, i non
luoghi si affollano di individui che non comunicano: la vocazione dei non
luoghi non è infatti quella di "creare identità individuali, relazioni
simboliche e patrimoni comuni, ma piuttosto di facilitare la circolazione (e
quindi il consumo) in un mondo di dimensioni planetarie".
Laddove i luoghi esprimono i loro significati e la loro identità ad abitanti e
visitatori, i non luoghi hanno senso solo per la loro funzione immediata
(ristorazione, trasporto, sosta, ecc.) e, paradossalmente, sembrano per questo
lasciare spazio alla personalità e inventiva di ciascun individuo, mentre
,senza saperlo, dettano le stesse
condizioni a tutti.
I non luoghi però non sono una semplice negazione dei luoghi, qualcosa che
esiste per sottrazione: sempre più spesso, infatti, luoghi e non luoghi si
compenetrano. Da un lato spiagge, montagne, monumenti si trasformano
inevitabilmente, se troppo frequentati e visti, in non luoghi:
nell'affollamento e nella reiterazione perdono unicità e spessore storico,
diventano piatte cartoline. Dall'altro autostazioni, metropolitane, aeroporti
ecc. possono acquisire nel tempo un'identità storica, o diventare luoghi
d'incontro e relazioni umane, con una loro individualità e densità simbolica.
Nella seconda metà del Novecento il turismo ha progressivamente aumentato il
numero di spostamenti di persone nel mondo. Gli statunitensi sono stati i primi
a permettersi il viaggio all'estero; negli anni Sessanta è stata la volta degli
europei, poi dei canadesi, giapponesi, australiani, finché negli anni Ottanta è
esploso il turismo di massa nei paesi ricchi dell'Occidente e Nord del mondo.
Secondo le stime dell'Organizzazione Mondiale del Turismo (OMT), oggi si
muovono fuori dai confini nazionali oltre 900 milioni di persone all'anno, ai
quali vanno aggiunti spostamenti interni quasi 10 volte superiori a quelli
internazionali, per cui le persone che ogni anno viaggiano per turismo
sarebbero circa 8 miliardi.
Gli spostamenti di massa hanno moltiplicato a dismisura i non luoghi del mondo,
perché da un lato hanno trasformato in non luoghi molti di quelli che un tempo
erano luoghi (dal Colosseo alla spiaggia caraibica, dalle Piramidi d'Egitto
alle cascate del Niagara), dall'altro hanno indotto l'industria del turismo a
costruire nuovi non luoghi: villaggi vacanze, complessi alberghieri e residenziali,
campeggi.
Da vent'anni gli operatori del turismo internazionale moltiplicano
sistematicamente l'offerta di non luoghi, e lo fanno per una ragione molto
semplice: i non luoghi dei viaggi e delle vacanze hanno un'attrattiva
particolare, piacciono, sono desiderati dai più. Vediamo perché.
Il non luogo non è mai del tutto nuovo. Lo si è già visto rappresentato in
cartolina, sui cataloghi delle agenzie viaggi, sui media, sui souvenir portati
a casa da amici e parenti che ci sono già stati. Così, vedere con i propri
occhi un monumento celebre, visitare una città d'arte invasa dal turismo è
soprattutto un atto di riconoscimento visivo. La gratificazione viene proprio
da questo: non occorre sforzarsi troppo, non occorre neanche leggere o
ascoltare le spiegazioni della guida turistica, perché riconoscendo dal vero
ciò che abbiamo visto in foto ci sembra di sapere già quanto basta.
Il non luogo ci fa girare il mondo senza metterci mai a confronto con le
diversità che ci sono nel mondo, il che è molto rassicurante: possiamo dirci
gran viaggiatori senza aver mai messo in discussione le nostre abitudini e i
nostri pregiudizi, sempre più forti nella convinzione che "tutto il mondo
è paese".
I villaggi turistici e i grandi alberghi sono tutti simili fra loro, ovunque si
trovino, anche quando gli operatori ne promuovono l'originalità, addirittura
l'unicità, con lo stereotipo del "luogo esclusivo". In questi non
luoghi si parla lo stesso esperanto (un inglese piatto e semplificato), si
fanno le stesse cose (spiaggia, bar, un po' di sport, animazione), si mangiano
gli stessi cibi (la cucina internazionale), si incontrano le stesse maschere
(l'animatore, l'istruttore sportivo, l'addetta al baby club), si guardano gli
stessi paesaggi (riquadri di spiagge fra palme e bungalow, sfondi di natura
immancabilmente "incontaminata" e "rigogliosa", come dicono
i cataloghi). Le varianti locali sono ridotte al minimo: un piatto più o meno
speziato, una musica in sottofondo invece di un'altra, un verde più o meno
brillante.
Gli incontri con le popolazioni locali, con le loro storie e vite, sono
sporadici e filtrati dalle gite organizzate, dalle escursioni fuori dal non
luogo: andata e ritorno in giornata, dietro una guida locale ben ammaestrata a
trattare con i turisti, a dare e dire ciò che vogliono. Non una parola sulle
condizioni politiche, sociali ed economiche del paese in cui ci si trova, su
dittature, persecuzioni, fame, malattie, così frequenti nel Sud del mondo. E
così nei Caraibi si incontrano indigeni sempre "calienti", "poveri
ma dignitosi", con "il ritmo nel sangue", in Oriente le persone
sono sempre "sorridenti", in Africa i neri sempre
"ospitali" e "contenti di vederci".
Il non luogo ci fa sentire più liberi. "Lo spazio del non luogo libera
colui che vi penetra dalle sue determinazioni abituali. Egli è solo ciò che fa
o vive come passeggero, cliente, guidatore". Nel non luogo delle vacanze
non siamo obbligati, se non vogliamo, a giocare i ruoli della vita di tutti i
giorni: non siamo più né medici né commercianti né impiegati, siamo solo
turisti. Il non luogo delle vacanze ci regala dunque un po' del suo anonimato,
allentando la morsa della vita ordinaria, in cui il nostro profilo
professionale, sociale, culturale tiene in scacco la nostra identità personale
ed emotiva.
Questa libertà provvisoria ci piace, ma in fondo non sappiamo che farcene: non
riuscendo a ricomporre ciò che abbiamo lasciato a casa con ciò che abbiamo
portato in vacanza, non sappiamo stabilire relazioni con gli altri che vadano
oltre la nostra comune permanenza nel non luogo.
Il non luogo annulla le differenze fra i suoi visitatori, perché è
opportunamente progettato, con diversi costi di accesso, per accogliere persone
omogenee per censo e classe sociale. Una cosa è certa: nello stesso non luogo
tutti hanno speso esattamente la stessa cifra e dunque tutti sono uguali. Una
bella soddisfazione!.
Ci sono non luoghi economici per turisti che comprano solo viaggi "tutto
compreso"; non luoghi un po' più costosi per chi, pur cercando il tutto
organizzato, non ama identificarsi con la massa e vuole qualcosa di speciale ma
non troppo; non luoghi per coloro che desiderano vacanze veramente
"alternative" o "avventurose", itinerari poco frequentati o
insoliti, e per questo sono disposti a spendere molto più dei precedenti.
In sintesi, il non luogo è particolarmente adatto all'idea di vacanza, intesa
come vuoto, come buco nel pieno della vita ordinaria: vuoto di esperienza,
vuoto di differenze, vuoto di storia, di identità, di relazioni. Non a caso le
persone che tornano da un non luogo di vacanza lamentano tutte che, una volta
riprese le solite cose, i vissuti della vacanza svaporano in poche ore. Per
forza: erano vissuti sotto vuoto.
Eppure milioni di persone, nei paesi ricchi del mondo, lavorano tutto l'anno
per concedersi qualche settimana di questi vuoti, e i non luoghi delle vacanze
sono fra i più ambiti oggetti dei loro desideri e sogni: sono, appunto, vacanze
"da sogno".
Ma si dice anche, ed è altrettanto vero, che i popoli ricchi, gli stessi che
viaggiano per turismo e vacanza, sono incapaci di desiderare davvero qualcosa:
i bambini e gli adolescenti possiedono tutto ancora prima di chiederlo, gli
adulti ingrassano, fagocitando oggetti e simboli senza averli davvero
desiderati.
Ma allora desideriamo troppo o troppo poco? Entrambe le cose, dipende da cosa
intendiamo per desiderio. Il desiderio infatti è bifronte: collettivo e sociale
da un lato, personale e individuale dall'altro.
Si desidera una cosa perché altri le hanno dato una forma desiderabile, o semplicemente
perché altri la desiderano. In quanto socialmente determinati, i desideri
cambiano nel tempo e nello spazio e hanno una natura storica: un vestito
secondo una certa moda piuttosto che un'altra, un cibo francese e non italiano,
un uomo con una posizione sociale elevata invece che uno spiantato.
Ma si desidera anche ciò che appaga il nostro più intimo modo di essere, che è
in armonia con la nostra storia personale. In quanto legati ai bisogni degli
individui, i desideri seguono le diverse inclinazioni personali: un abito
demodé che mi sta così bene, un orologio vecchio che era del nonno, un lavoro
che mi fa guadagnare meno ma mi piace di più, un amore che non risponde alle
aspettative della famiglia ma mi rende felice.
Il punto è che la società di massa, producendo in serie i desideri collettivi,
impedisce a quelli individuali non solo di esprimersi, ma sempre più spesso di
nascere. È come se lo spazio del desiderabile fosse talmente pieno di desideri
confezionati per noi da altri, che non sappiamo più dove mettere i desideri che
sono davvero nostri.
Dunque abbiamo troppi desideri collettivi, troppo pochi desideri personali.
Dunque non sappiamo più desiderare nulla che altri non abbiano pensato per noi.
Dunque i non luoghi fanno al caso nostro: privi di identità e storia, non ci
costringono a confrontarci con la nostra né ci impongono alcuna relazione, né
con loro né con i loro abitanti e visitatori.
D'altra parte concepire un desiderio, coltivarlo, assaporarne la durata,
cercare di realizzarlo in tempi e modi che rispettino la sua e la nostra natura
è molto più faticoso che comprare al volo uno qualunque dei tanti desideri che
la prima vetrina ci propone. E cercare un luogo, invece di un non luogo, è
altrettanto faticoso: significa conoscere e riflettere sulla sua storia, sulla
sua realtà politica, economica, sociale, sulle persone che in quel luogo
incontreremo, su ciò che potranno darci e che noi potremo dare loro. Significa
anche sapere se è davvero il luogo in cui vogliamo andare, se fa al caso nostro.
Significa in altre parole sapere cosa desideriamo, ed è proprio questo che ci
viene più difficile.
Pensiamo a come si decidono i non luoghi delle vacanze: si va in agenzia, si
guardano più o meno frettolosamente le foto di due o tre cataloghi, si compra
il primo pacchetto che si adatta alla nostra disponibilità economica, al
periodo in cui vogliamo partire, a preferenze generiche per il mare piuttosto
che la montagna, per una vacanza "naturalistica" piuttosto che
"culturale", per certe zone del mondo. È quasi per caso che finiamo
in un posto invece di un altro, non certo per scelta ponderata e consapevole,
né tanto meno perché lo abbiamo desiderato.
Così alla fine, una volta tornati dal non luogo di vacanza, racconteremo che ci
siamo riposati, divertiti, rilassati, magari pure che abbiamo avuto una storia
d'amore con l'animatore o l'animatrice, con il vicino di ombrellone.
Difficilmente però racconteremo che siamo stati felici. No, la felicità è
troppo, la felicità occorre davvero desiderarla, e il nostro non luogo non
l'abbiamo davvero desiderato.
D'altra parte, la felicità è quella cosa che il greco antico chiamava eudaimonía,
con una parola molto densa che contiene dai mon, cioè il demone, il dio
personale di cui parlava Socrate, ma anche l'anima, il soffio vitale, ciò che
permette al corpo di stare in vita. Per trovare la felicità occorre prima
desiderarla, e per desiderarla occorre dunque ascoltare e seguire il proprio
demone interiore. Ma la voce del dio personale, come quella del genio del luogo,
si perde nel frastuono dell'olimpo di massa.
sabato 6 dicembre 2014
Un chicco di sole
(seconda parte)
Giuseppe Bivona
Una farina che si ricava da piante di frumento che hanno perso la loro connessione col sole e che è maltrattata dalle tecnologie di molitura non può essere che di scadente qualità .Non ha in se le forze per consentire una buona panificazione. Per questo le farine sono ormai addizionate di additivi vari . L’aggiunta di additivi è un artificio per consentire la panificazione che senza di loro non potrebbe avvenire
Oggi, il grano”moderno” è l’esempio più eloquente della stupidità umana come espressione dell’anomalo rapporto che l’uomo ha istaurato con la natura . L’uomo non si sente più parte della Natura , se ne è separato e tenta di dominarla, di sfruttarla, senza preoccuparsi delle condizioni disastrose in cui sta lasciando la terra alle future generazioni.
L’uomo contemporaneo vive una profonda contraddizione, al limite della inconciliabilità, una sorta di “asimmetria” esistenziale: da un lato le sue capacità razionali gli consentono di manipolare gli alimenti in modo radicale e profondo. Attraverso la “tecnica” soddisfa ogni suo desiderio, appaga i gusti, esalta i sapori, rende disponibile nel tempo e nello spazio gli alimenti, insomma rende possibile l’impossibile.
Tuttavia, per l’altro verso, questi alimenti, quando li ingeriamo, debbono fare i conti con il nostro sistema enzimatico, metabolico, digestivo, assimilativo che, per fortuna o sfortuna …è rimasto tale e quale madre natura ci ha consegnato raggiunto l’apice della catena evolutiva.
Eppure le nostre difese immunitarie non perdono occasione per lanciarci dei messaggi chiari ed inequivocabili: le intolleranze o le reazioni allergiche debbono essere percepite come un deciso monito a cambiare la nostra “dieta” o meglio lo stile di vita. Forse a rimuovere il nostro atteggiamento nei riguardi della terra, una esortazione ad interrompere il processo di devastante follia , di collettiva ubriacatura..
Il grano è un frutto particolare che la natura ci ha donato e che per secoli ne abbiamo rispettato e curato la sua identità in un rapporto simbiotico: io diffondo e difendo i tuoi “ geni “ e tu mi garantisci l’alimentazione in particolare nei mesi invernali: un patto tra “esseri” seri e responsabili.
Così, per diversi millenni, i nostri contadini selezionarono le sementi , ebbero cura amorevole del chicco di grano, come uno scrigno depositario dell’energia solare. Pensate, dopo la mietitura i covoni restavano nell’aia per diversi giorni , perché si essiccasse e fosse consentito al silicio di migrare dallo stelo e dalle foglie alle preziose cariossidi.
Poi fummo travolti dalla follia, la tecnica pervade la nostra vita , colonizza le nostre menti, annulla ogni pensiero alternativo, siamo omologati sull’altare dell’efficienza, dell’economicità , dell’efficacia. Passiamo dai beni alle merci, dal valore d’uso al valore di scambio!
L’industria molitoria ed agroalimentare ci chiede un prodotto particolare: che non si “deteriori “ il cui shelf life sia il più lungo possibile perciò non trova di meglio che le farine doppio zero, inalterabili per una conservazione illimitata nel tempo . Ma chiede di più: vuole un contenuto glutinino il doppio di quello posseduto dai grani tradizionali .
Cosi accade che le semplici tecniche di incrocio non soddisfino le richieste della moderna attività molitoria ed agroalimentare, bisogna abbandonare la coltivazione dei vecchi obsoleti grani “poveri” incapaci di rispondere alle nuove emozioni dettate dal gusto e dai variegati sapori , abbisogna percorrere le nuove vie tracciate dalle profonde modifiche incise sul DNA attraverso le radiazioni nucleari tipo gamma
L’insensatezza umana raggiunge il suo epilogo: i nuovi grani consentono di mettere in mostra torte farcite dal volume incredibile, di lievitare finché lo spazio lo possa consentire, senza limite, senza misura…
Disponiamo di prodotti alimentari morbidi, cedevoli, flessibili , gommosi e impalpabili, buoni a rispondere positivamente ai dettami inventati dai precetti pubblicitari. Le nostre sensazioni gustative ed olfattive sono colonizzate, rese prigioniere, asservite alle papille, elaborate da un cervello drogato, percepite come piacevoli sensazioni emozionionali, ma! …
La struttura organica e la successione metabolica non rispondono alle emozioni gustative ed olfattive, il cibo introdotto viene sottoposto ai processi digestivi ed assimilativi secondo dettami precisi ed inalterati. Deve conformarsi agli imperativi per cui è stato “progettato”. L’esempio più eloquente sono le ”margarine” la cui struttura chimica assume la conformazione “trans” per cui non viene riconosciuta dalla ghiandola epatica e così passa indenne nel sangue con tutto il disastro che è capace di arrecare. Il glutine, come la caseina, è una calamità della nostra presenza alimentare. Per Colin Campell sono due disastri che sconvolgono il nostro sistema villico – assimilativo- intestinalee….immunitario. I grani moderni sono stati “inventati “ per rispondere alle necessità dell’industria dolciaria e pastaria. Disporre di una percentuale di glutine che ne rasenta il doppio delle varietà tradizionali permette di commercializzare paste che possono essere reclamizzate resistenti alla cottura, lasciare l’acqua di cottura quasi limpida, sentirle sempre al dente. Ma nessuno vi ha detto che questo glutine , la sua quantità, il suo rapporto interno ( gliadine e gluteline), reso possibile dalle concimazioni con nitrati, è la frazione tossica per i celiaci!
sabato 29 novembre 2014
Un chicco di sole
(Prima parte)
Giuseppe Bivona
Creso, Re della Lidia è l’antesignano dell’uomo materialista. Riteneva,infatti che la felicità potesse dipendere unicamente dalla disponibilità di denaro e dalla gestione del potere.Ma la sua arroganza fu punita crudelmente perché dovette sub il’onta della sconfitta da parte dei persiani guidati da Ciro e implorare la grazia mentre già il rogo bruciava. Dando il nome Creso alla varietà di grano , ottenuta con un metodo cosi violento,i ricercatori hanno voluto affermare il diritto di manipolare la natura a loro piacimento come si tramanda sostenesse il mitico re che portava questo nome. Ma non va dimenticato che a quel Re il fato riservò un destino crudele
Il seminatore aveva
finito il suo lavoro, ora toccava
all’erpice completare il lavoro
di interramento. Il chicco rimase solo ,nella fredda ed umida terra ,ebbe paura
, era tutto buio e al calar della
sera l’umidità si era disciolto in una
pioggerella fitta,fitta. Come tutti gli esseri viventi dotati di memoria quando sono assaliti
dall’angoscia non rimane loro ,altra via ,che rifugiarsi nei ricordi
In un tempo lontano senza età
la sua vita era affidata al caso , le spighe si aprivano senza alcuna difficoltà , pronti a
disperdersi nell’ambiente circostante. Gli uccelli più di tutti ,i granivori
,ne colsero le originali virtù.. Tutto sembrava scorrere pacificamente , finché
nel paleolitico una donna e poi sua
figlia , ebbero la felice intuizione di raccogliere separatamente le sole spighe
che non si aprivano o che manifestavano una accentuata difficoltà a disperdere
i semi. Demetra e sua figlia Kore sfidavano per la prima volta la natura: nasce l’agricoltura.
Ora era l’uomo che si
prendeva cura del grano.Il grano si affidò
alle benevoli attenzioni dei nuovi soggetti che si facevano chiamare
agricoltori
Prese avvio un singolare rapporto simbiotico, una singolare
danza tra natura e cultura(coltura) in
cui le ragioni dell’uomo spesso si infrangevano sulle dure leggi di “necessità”dettate dalla natura.
Cosi il grano per millenni non tradì la sua natura, mantenne
inalterata questa sua speciale relazione con il sole: il colore giallo oro
delle piante al tempo della maturazione , il colore giallo bruciato del suo
polline , il fusto eretto, le sue foglie strette e sapientemente angolate erano
state programmate per captare quanto più fosse possibile i raggi del sole
E’ che dire del suo elevato contenuto di silice? Noi oggi questo elemento lo scopriamo come ottimo
conduttore di luce ( fibre ottiche)
Il chicco nella tarda
primavera si riempie cosi del prezioso amido,un vero concentrato di luce .E’ la
forma di carbonio organico che per la sua purezza trova nel mondo minerale il
suo corrispettivo nel ….diamante.
L’amido nella sua formulazione naturale è dotato d’elevata
digeribilità : nel nostro corpo brucia senza lasciare alcuna scoria e proprio
come i diamanti non lasciano ceneri ma
solo acqua e anidrite carbonica
La purezza dei carboidrati
spiega perché il glucosio,lo zucchero che proviene in larga parte dalla digestione dell’amido sia il nostro
unico e vero carburante. E’ l’alimento per eccellenza del nostro cervello.
Ebbene si! Per dare pensieri limpidi e
coerenti la mente ha bisogno di nutrimento che porti viva luce che ci “illumini”!
Al grano l’azoto non gli
necessita più di tanto ,anzi per la sua
natura solare non vuole essere forzato con dosi eccessive di questo elemento . E poi in natura ci sono altre famiglie vegetali ,come
le leguminose ,che sopperiscono alla bisogna!
Tuttavia nei primi anni
del novecento l’uomo abbandonò quel
patto che durava da millenni: l’ unica forma di miglioramento genetico che si era sempre praticata consisteva nella pratica della selezione massale che l’agricoltore operavanel suo campo (
ammannare), scegliendo le spighe che
contenevano i chicchi che avevano i
migliori requisiti in termini agronomici e di produttività.
Accadde cosi che nel suo lavoro sul frumento,Strampelli
introdusse invece la tecnica dell’incrocio
tra varietà e specie diverse al fine di ottenere nuove varietà che soddisfacessero i criteri di produttività
in termini di incrementi quantitativi in risposta alle concimazioni con nitrati.
Dopo gli incroci di
Strampelli è arrivata l’epoca della
mutagenesi, con agenti diversi,prima quelli chimici poi i addirittura le radiazioni nucleari.
Cosi verso la metà degli anni 70 alcuni genetisti italiani
arrivarono a produrre la varietà di grano duro Creso
mediante trattamenti con radiazione gamma.
Quale triste destino è stato riservato ad una pianta cosi nobile
e solare!
Lo scopo
dell’irradiamento era quello di indurre mutazioni nel genoma del
frumento .
E’ cosi è stato ,perché tra i semi prodotti dalle piante
irradiate ce n’erano alcuni che
presentavano nuovi caratteri per effetto della mutazione. Dal Creso ,incrociato
con altre varietà è venuta fuori buona
parte delle varietà che attualmente coltiviamo( Simeto, Colosseo ecc)
Ma perché abbiamo fatto tutto questo? Cosa hanno di più e di
diverso questi nuovi grani rispetto a quelli antichi? I prodotti derivati dai
nuovi grani possono influenzare negativamente la nostra salute?( continua)
martedì 16 settembre 2014
DOP, IGP, STG, straordinari strumenti di tutela delle produzioni agroalimentari tipiche riconosciute
Per prodotti agroalimentari tipici si intendono i prodotti con indicazione geografica DOP e IGP, l’STG, e i prodotti agroalimentari tradizionali; essi vengono classificati, dal punto di vista tecnico, rispettivamente in “certificati” e “non certificati” in quanto sono caratterizzati da distinti percorsi di riconoscimento e da livelli di impegno da parte dei produttori e di tutela giuridica del prodotto nettamente diversi.
Nei
prodotti a denominazione d’origine DOP e indicazione geografica IGP viene
riconosciuto, sulla base di
un regolamento dell’Unione Europea, l’esistenza di un legame tra il prodotto e
la zona geografica di produzione,
comprensiva di fattori geografi co ambientali, storici e umani.
Nel
caso delle DOP tali fattori peculiari incidono fortemente sulle caratteristiche
chimico-fisiche e organolettiche del prodotto e pertanto, per garantire tali
caratteristiche, il prodotto non può essere ottenuto al di fuori di tale zona.
Nel caso dei prodotti IGP invece i fattori storici, ambientali e umani della
zona incidono su almeno una delle caratteristiche del prodotto, compresa la
rinomanza; per l’IGP pertanto alcune fasi del processo che non incidono sulle
peculiarità del prodotto, come ad esempio il condizionamento di un ortaggio o
la lavorazione e l’imballaggio del riso, possono anche essere effettuate al di
fuori della zona definita.
Il
legame del prodotto con la zona geografica di origine deve essere dimostrato
dai produttori attraverso un’approfondita documentazione che viene valutata
dalla Regione e dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali
e, successivamente, dalla Commissione europea. Ottenuto il riconoscimento con
la registrazione della DOP o IGP, il prodotto viene periodicamente verificato
da appositi organismi di controllo e certificazione, al fine di garantire ai
consumatori il rispetto della disciplina di produzione e delle caratteristiche
specifiche.
La
registrazione di una DOP o IGP da parte dell’Unione Europea, significa quindi
che quel prodotto può essere ottenuto totalmente (per la DOP) o parzialmente
(per l’IGP) in quella determinata zona che influenza le peculiarità del prodotto;
tale riconoscimento pertanto crea giuridicamente un vantaggio competitivo
riservato solo ai produttori che operano all’interno di quella zona nonché una
tutela legale al prodotto e quindi al produttore, nei confronti di chiunque in
Italia, in Europa o nel mondo, cerchi d’imitare tale bene o usurparne il nome
protetto. Il riconoscimento della DOP o IGP permette quindi al consumatore di
identificare con certezza un prodotto di riconosciute peculiarità, avente
origine in un particolare territorio, seguendo ferree regole di produzione e di
controllo che determinano e garantiscono le peculiarità, rispetto ai prodotti
indifferenziati e globalizzati di provenienza incerta.
Una
“Specialità tradizionale garantita” o STG, che viene riconosciuta dopo un
percorso simile a quello necessario per registrare una DOP / IGP, viene
tutelata dall’Unione Europea in ragione delle sue peculiarità legate non alla
zona di origine ma al metodo tradizionale di produzione o alla ricetta
riconosciuta. Questo è il caso della mozzarella STG o della pizza napoletana
STG; tali prodotti con l’attestazione STG possono essere ottenuti in tutto il
mondo ma solo se viene applicato il disciplinare di produzione approvato
dall’Unione europea, che fissa il metodo tradizionale a garanzia delle
peculiarità del prodotto. Anche per le STG vengono periodicamente effettuate le
verifiche da parte di appositi organismi di controllo e certificazione
accreditati a livello internazionale, al fi ne di garantire ai consumatori, in
tutto il mondo, il rispetto della disciplina e delle caratteristiche
tradizionali. I prodotti agroalimentari tradizionali sono quelli che, per la
loro rinomanza e la tradizionalità del metodo di produzione, vengono inseriti
dal 2000 nell’Elenco nazionale del prodotti agroalimentari tradizionali,
istituito dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali.
L’inserimento nell’elenco di “nuovi” prodotti tradizionali è semplice: ogni
anno, entro la metà marzo, i produttori del settore agro-alimentare possono
presentare al Ministero, per il tramite della propria Regione, una breve scheda
nella quale descrivono le principali informazioni sul prodotto, le
caratteristiche, la tradizionalità del metodo di produzione o della ricetta.
Tali prodotti, dopo una valutazione della scheda prima da parte della Regione e
poi del Ministero, vengono inseriti nell’elenco nazionale mediante la
pubblicazione di un Decreto ministeriale che aggiorna l’Elenco nazionale dei
prodotti agroalimentari tradizionali. L’approvazione dell’elenco non rappresenta
un vero e proprio riconoscimento o tutela giuridica per i produttori, come
viceversa avviene nel caso delle indicazioni geografi che DOP e IGP, ma può
essere considerato uno strumento informativo per il consumatore e di marketing
in quanto i produttori possono inserire sugli imballaggi e nel materiale
promozionale la frase “Prodotto inserito nell’Elenco nazionale dei prodotti
agroalimentari tradizionali”. L’inserimento di un prodotto, oltre a costituire
una ormai famosa vetrina per l’ampia gamma di peculiarità agro-alimentari
regionali e italiane, può rappresentare un primo passo per iniziare il percorso
di registrazione DOP o IGP, qualora il prodotto diventato rinomato, necessiti
di una maggior tutela giuridica internazionale.
venerdì 12 settembre 2014
giovedì 11 settembre 2014
Dieta mediterranea, a Monreale il convegno "AlimentiAmo la vita"
Si svolgerà sabato 13 e domenica 14 settembre 2014, con inizio alle ore 11.00, a Monreale, presso l’eremo di Poggio San Francesco “AlimentiAMO LA VITA” una kermesse sulla dieta del mediterraneo organizzata dall’Associazione “Mons Realis” in collaborazione con I.Di.Med.
Scopo dell’evento sarà rappresentare le specificità dello stile di vita riconosciuto patrimonio dell’UNESCO evidenziandone gli aspetti identitari, salutistici e culturali. Il programma dell’evento, notevolmente articolato, prevede una parte convegnistica che vedrà, fra gli altri, la partecipazione di Lucia Borsellino, Assessore regionale per la salute, di Ferdinando Toia, Direttore Centro Maria Immacolata, di Piero Capizzi, Sindaco di Monreale, di Paolo Calabrese dell’Assessorato Beni Culturali e Identità Territoriale, di Sami Ben Abdeladi, della Presidenza Regione Sicilia, di Marcello Messeri, presidente del GAL Terre Normanne, di Rocco Di Lorenzo, Unione delle Associazioni no profit, di Bartolo Fazio, Consigliere delegato di I.Di.Med, di Angelo Granà, Presidente dell’Associazione “Mons Realis”, di Magda Culotta, Deputato nazionale e Sindaco di Pollina, di Salvatore Martorana, Presidente del Comitato Anci SiciliaxExpo 2015, di Aurelio Angelini, Presidente del Comitato Scientifico dei Comuni Unesco Sicilia, di Nino Sutera della LURSS – Libera Università Rurale dei Saperi e dei Sapori e di Maurizio Artusi di CucinArtusi.
L’importante iniziativa, mirata ad aggregare le eccellenze enogastronomiche del nostro territorio salvaguardandone la dimensione culturale e la biodiversità, prevede, inoltre l’allestimento della “Fiera della salute”, nella quale una trentina di aziende e associazioni del settore agroalimentare, provenienti da tutta la Sicilia, esporranno i propri prodotti offrendone una degustazione nella pausa pranzo. Sarà possibile, quindi, conoscere, scoprire, degustare, acquistare e nutrirsi dei prodotti della nostra amata terra di Sicilia, le cui proprietà organolettiche saranno ampiamente descritte nel corso del convengo
Scopo dell’evento sarà rappresentare le specificità dello stile di vita riconosciuto patrimonio dell’UNESCO evidenziandone gli aspetti identitari, salutistici e culturali. Il programma dell’evento, notevolmente articolato, prevede una parte convegnistica che vedrà, fra gli altri, la partecipazione di Lucia Borsellino, Assessore regionale per la salute, di Ferdinando Toia, Direttore Centro Maria Immacolata, di Piero Capizzi, Sindaco di Monreale, di Paolo Calabrese dell’Assessorato Beni Culturali e Identità Territoriale, di Sami Ben Abdeladi, della Presidenza Regione Sicilia, di Marcello Messeri, presidente del GAL Terre Normanne, di Rocco Di Lorenzo, Unione delle Associazioni no profit, di Bartolo Fazio, Consigliere delegato di I.Di.Med, di Angelo Granà, Presidente dell’Associazione “Mons Realis”, di Magda Culotta, Deputato nazionale e Sindaco di Pollina, di Salvatore Martorana, Presidente del Comitato Anci SiciliaxExpo 2015, di Aurelio Angelini, Presidente del Comitato Scientifico dei Comuni Unesco Sicilia, di Nino Sutera della LURSS – Libera Università Rurale dei Saperi e dei Sapori e di Maurizio Artusi di CucinArtusi.
L’importante iniziativa, mirata ad aggregare le eccellenze enogastronomiche del nostro territorio salvaguardandone la dimensione culturale e la biodiversità, prevede, inoltre l’allestimento della “Fiera della salute”, nella quale una trentina di aziende e associazioni del settore agroalimentare, provenienti da tutta la Sicilia, esporranno i propri prodotti offrendone una degustazione nella pausa pranzo. Sarà possibile, quindi, conoscere, scoprire, degustare, acquistare e nutrirsi dei prodotti della nostra amata terra di Sicilia, le cui proprietà organolettiche saranno ampiamente descritte nel corso del convengo
mercoledì 3 settembre 2014
Il futuro dell’agricoltura è nel ritorno alle radici
Negli ultimi decenni
il sistema alimentare degli Stati Uniti e della maggior parte delle altre
nazioni si è globalizzato. Il cibo viene scambiato in quantità enormi: non solo
il cibo di lusso (come caffè e cacao), ma anche le derrate alimentari di base
come grano, mais, patate e riso.
La globalizzazione del sistema alimentare ha
portato dei vantaggi: la popolazione dei paesi ricchi ha ora accesso ad
un’ampia varietà di cibi in ogni momento, inclusi frutta e verdura fuori
stagione (come le mele in maggio o gli asparagi in gennaio) ed alimenti che non
possono essere prodotti localmente (come l’avocado in Alaska). Trasporti a
lungo raggio rendono possibile la distribuzione del cibo da aree in cui abbonda
a luoghi in cui è scarso. Mentre nei secoli passati il fallimento regionale di
una coltivazione poteva portare ad una carestia, ora i sui effetti possono
essere neutralizzati tramite l’importazione, relativamente poco costosa, di
cibo dall’estero. Tuttavia, la globalizzazione del sistema alimentare crea
anche una vulnerabilità sistemica. Al crescere del prezzo del carburante,
aumentano i costi dei prodotti d’importazione. Se la disponibilità di
carburanti fosse drasticamente ridotta da qualche evento economico o
geopolitico transitorio, l’intero sistema potrebbe collassare. Un sistema
globalizzato è inoltre più soggetto a contaminazioni accidentali, come visto
recentemente con il caso della melamina, una sostanza tossica finita nel cibo
in Cina. Il miglior modo per rendere il nostro sistema alimentare più
resiliente contro questi rischi è chiaro: decentralizzarlo e rilocalizzarlo.
La rilocalizzazione
avverrà inevitabilmente, prima o poi, come effetto del calo della produzione
del petrolio, dato che non esistono sorgenti di energia alternative in vista
che possano essere introdotte in tempi brevi per prendere il posto dei derivati
petroliferi. Pertanto se vogliamo fare in modo che il processo di Transizione
si sviluppi in modo positivo, piuttosto che catastrofico, bisogna che sia
pianificato e coordinato. Questo richiederà uno sforzo appositamente mirato a
costruire infrastrutture dedicate all’economia alimentare regionale, adatte a
sostenere un’agricoltura diversificata ed a ridurre il quantitativo di
combustibile fossile che è alla base della dieta Nordamericana.
Rilocalizzare
significa produrre localmente una frazione maggiore del fabbisogno alimentare
di base. Nessuno dice che dovremmo eliminare completamente il commercio
alimentare: questo danneggerebbe sia gli agricoltori che i consumatori.
Piuttosto, è necessario fissare delle priorità alla produzione inmodo tale che
le comunità possano fare maggiore affidamento su fonti locali per gli alimenti
di base, mentre le importazioni a lungo raggio dovrebbero essere riservate ai
cibi di lusso. Le derrate alimentari basilari legate alla tradizioni locali,
generalmente di basso valore e di conservabili a lungo, dovrebbero venire
coltivate in tutte le regioni per motivi di sicurezza alimentare. Una simile
decentralizzazione del sistema alimentare produrrà maggiore resilienza sociale,
capace di contrastare le fluttuazioni del prezzo del combustibile. Saranno
anche minimizzati, ove appaiano, i problemi relativi alla contaminazione del
cibo. Nel contempo, rivitalizzare la produzione locale di alimenti aiuterà a
rinnovare l’economia del territorio. I consumatori potranno godere di cibo di
qualità migliore, più fresco e di stagione. Sarà ridotto l’impatto dei
trasporti sul clima. Ogni nazione e regione dovranno escogitare la propria
strategia di rilocalizzazione del sistema alimentare basandosi su un’ampia
valutazione iniziale di debolezze e punti di forza. I punti deboli dovrebbero
essere identificati tramite l’analisi delle numerosissime modalità di
dipendenza dell’approvvigionamento locale di alimenti dalla disponibilità e dal
costo del combustibile fossile, attraverso tutte le fasi del sistema di
produzione agroalimentare e della filiera distributiva. Le opportunità saranno
diverse a seconda delle comunità e delle regioni agricole, benché esistano
molte azioni che i governi possono intraprendere quasi ovunque:
• Incoraggiare la produzione
ed il consumo del cibo locale offrendo supporto alle strutture a questo scopo
necessarie come i mercati contadini (farmers’ market).
• Inserire
all’interno del sistema di gestione dei rifiuti installazioni per la raccolta
dei residui di cibo da convertire in compost, biogas e mangime animale, da
fornire a contadini e allevatori locali.
• Richiedere che una
percentuale minima degli acquisti di cibo per scuole, ospedali, basi militari e
carceri sia approvvigionata entro un raggio di 100km.
• Creare una
normativa sulla sicurezza alimentare in base alla scala di produzione e
distribuzione, in modo che un piccolo produttore che vende i suoi prodotti
direttamente non sia soggetto alle stesse onerose regole di una multinazionale.
Gli agricoltori
stessi devono ripensare le loro strategie: la maggior parte delle aziende
orientate all’esportazione dovrà spostare la produzione verso alimenti di base
per il consumo locale e regionale, uno sforzo che richiederà sia una analisi
dei mercati locali che la scelta di varietà adatte per questi mercati; il
movimento Community Supported Agriculture (Supporto all’Agricoltura di
Comunità-CSA) fornisce un modello di organizzazione aziendale che si è
dimostrato vincente in diverse aree. I piccoli produttori che affrontano significativi
esborsi di capitali durante questa transizione possono costituire cooperative
informali per l’acquisto di macchinari ad esempio trebbiatrici per i cereali,
mulini o presse per la lavorazione dei semi oleosi o microturbine idrauliche
per produrre elettricità. La scelta di rilocalizzare il sistema alimentare sarà
più difficile per alcune nazioni e regioni rispetto ad altre. Dovrebbero essere
incoraggiate la creazione di orti urbani e anche di piccoli allevamenti (di
polli, anatre, oche e conigli) all’interno delle città, ma anche così sarà
necessario approvvigionare la maggior parte del cibo dalla campagna
circostante, trasportandolo alle comunità urbane e periurbane senza utilizzare
combustibile fossile. In questo senso la rilocalizzazione dovrebbe essere vista
come un processo e uno sforzo generale e non come un obiettivo assoluto da
raggiungere.
*Estratto da “La
Transizione Agroalimentare”
sabato 23 agosto 2014
LA SICILIA ISTITUISCE I MARCHI DI QUALITA'
"QS SICILIA"
Due strumenti
complementari che mirano a dare certezza al consumatore circa la
provenienza, la tracciabilità e la sicurezza alimentare dei prodotti
provenienti dalla nostra Regione ma anche a proteggere i prodotti siciliani da
alterazioni, sofisticazioni e potenziali truffe.
Coerenti inoltre alle prescrizioni di cui agli orientamenti comunitari per gli aiuti di Stato nel settore agricolo e forestale 2007-2013, (2006/C 319/01)potranno beneficiare di interventi finanziari dall’U.E.
Dopo un
percorso lungo e laborioso QS Sicilia rappresenta, una novità assoluta. E’ un marchio
riconosciuto a livello europeo, “Qualità
Sicura Sicilia”. Fino ad oggi i prodotti DOC,DOP, IGT e tutti gli altri prodotti
siciliani di qualità avevano dei riferimenti di ambito territoriale limitato.
Attraverso il QS Sicilia il consumatore potrà conoscere con esattezza la
provenienza del prodotto ed avere certezza che è stato realizzato con
procedimenti controllati e rispondenti a precisi disciplinari adottati dalla
Regione Siciliana e controllati da enti certificatori. Il marchio QS Sicilia è
un marchio collettivo di proprietà esclusiva della Regione Siciliana e potrà
essere attribuito gratuitamente a singoli produttori ed a soggetti collettivi
che ne facciano richiesta e che si attengano ai disciplinari definiti dalla
Regione per le singole categorie di prodotti. Il QS Sicilia sarà attribuito
automaticamente ai prodotti già certificati (DOC,DOP,IGP, etc) e ai prodotti
del sistema integrato mentre verrà verificato caso per caso per le altre
tipologie di prodotto.
L’obiettivo è quello di tutelare i prodotti agricoli e
alimentari con un elevato standard qualitativo controllato, attuare azioni di
informazione ai consumatori sulla provenienza e sulla qualità dei prodotti
agroalimentari certificati e promuovere e sostenere il marketing di questi
prodotti.
Il marchio, di proprietà della Regione Siciliana, può
essere concesso in uso a tutti gli operatori dell’Unione Europea – iscritti nel
registro delle imprese delle Camere di commercio o presso organismi analoghi di
altri stati membri dell’Ue – che ne facciano richiesta all’assessorato regionale
dell’Agricoltura, dello sviluppo rurale e della pesca mediterranea.
Le categorie per le quali si potranno utilizzare il
marchio sono:
-
farine e preparati fatti di cereali, pane, pasticceria e confetteria, gelati,
zucchero, miele, sciroppo di melassa, lievito,
aceto, salse (condimenti), spezie;
-
granaglie e prodotti agricoli, orticoli e forestali non compresi in altre
classi, animali vivi, frutta e ortaggi freschi, sementi, piante e fiori
naturali, alimenti per gli animali, malto;
-
bevande alcoliche (escluse le birre)
-
servizi di ristorazione (alimentazione);
In particolare, si potrà usare il marchio “Qualità
Sicura Sicilia” per i prodotti agricoli e alimentari regolati da sistemi di
qualità riconosciuti dell’Ue (Dop, Igp, Stg, Bio) e per il vino e le bevande
spiritose; per i prodotti agricoli e alimentari certificati sulla base dello
standard definito dalle norme tecniche di produzione integrata; per i prodotti
agricolo-zootecnici e alimentari ottenuti aderendo a specifiche norme di
produzione che mirano al conseguimento di un elevato livello qualitativo del
processo produttivo; per i servizi di ristorazione per la somministrazione di
questi prodotti.
In ogni caso, i prodotti devono risultare liberi da Ogm, devono rispettare le norme su sicurezza e igiene ed essere normati da un disciplinare di produzione, da un regolamento, da un ente certificatore esterno e da una commissione di esperti in materia.
domenica 13 luglio 2014
Il fabbricante di pioggia
Giuseppe Bivona
Ormai erano quasi due anni che non pioveva. I pozzi erano
asciutti , gli animali cominciavano a morire ,le coltivazioni erano ridotte e
la fame tormentava gli abitanti del piccolo villaggio cinese. Il più anziano propose
di organizzare una spedizione per
trovare un rinomato fabbricante di pioggia. Costui viveva nell’angolo
più lontano, molto lontano del paese: “Per forza, non ci si può fidare di un
profeta che vive nella nostra regione; deve venire da molto lontano”.
Cosi dopo una settimana arrivò un omino avanti negli anni con
barba e capelli bianchi. Trovò il villaggio in uno stato miserabile. Il
bestiame stava morendo, la vegetazione era quasi tutta secca, la popolazione
era afflitta. La gente si affollò attorno a lui ed era molto curiosa circa ciò
che avrebbe fatto.
Disse l’omino: “Bene, datemi solo una piccola capanna e
lasciatemi solo per qualche giorno”. Cosi si chiuse nella piccola capanna con solo un po’ di acqua ed un po’ di frutta. La
gente , curiosa si avvicinava alla capanna per sapere cosa stesse facendo il
vecchio. Trascorse, il primo giorno, il secondo… Il terzo giorno iniziò a
piovere a dirotto ed egli usci. Nel
villaggio fu festa grande ,gli abitanti
esultavano dalla gioia. Ma subito gli chiesero: “Ma che cos’ hai fatto?”
“Oh,” disse, “è molto semplice. Non ho fatto nulla.”
“Ma guarda,” dissero, “sta piovendo ora. Di certo qualcosa è successo!”
Egli provò a spiegare: “Vengo da una zona che è in Tao, in
equilibrio. Abbiamo la pioggia ed il sole. Tutto è in armonia con la natura.
Niente è in disordine. Vengo nella vostra zona e scopro che è caotica. Il ritmo
della vita è disturbato, cosi quando vi entro dentro, divento disturbato anch’
io. Tutto mi confonde ed affligge , mi
ritrovo immediatamente in disordine. Allora cosa posso fare? Voglio una piccola
capanna per stare con me stesso, per meditare, per riallinearmi. E poi, quando
sono in grado di mettermi in ordine, tutto intorno a me è collocato in modo
giusto. Ora siamo in Tao e dal momento che si era persa la pioggia, ora
piove”.
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