sabato 8 novembre 2025

La sinistra e ...Peppe Urpi

 Peppino Bivona


Belice di Mare  Luglio 2024


             Nei pomeriggi estivi, caldi e assolati, i “soci”  della Biblioteca comunale “Santi Bivona”, la cui apertura era esposta a mezzogiorno, erano soliti fruire dell’ombra  dell'altro lato della strada, dove aveva sede il Circolo Universitario e di ….Cultura.

 Di tanto in tanto veniva a sedersi l’ing. Bilello ,  vecchio dirigente  della locale sezione del partito  comunista e nel dopoguerra sindaco di Menfi. Negli ultimi anni si era ritirato a vita privata dedicandosi alla pollicoltura, ovvero all’allevamento dei polli nella sua tenuta di “Pupo Rosso”.

Fu così che un tardo pomeriggio estivo, non ricordo bene, se    nell’anno 73 o 74 ,l’ing. Bilello con la sedia della biblioteca venne a sedersi nell’ampio marciapiede prospicente la sede del circolo Universitario, accanto a noi giovani . Questo vecchio dirigente comunista era stimato dalla base e riconosciuto da tutti oltre che per la sua onestà e correttezza, per la sua vasta e profonda cultura. Noi giovinastri sessantottini rispettavamo questa figura storica, ma non più di tanto:  a nostro parere il PCI aveva “tradito” la sua vocazione rivoluzionaria , si era imborghesito , divenuto un partito riformista.

Proprio in quegli anni usciva per l’Einaudi un saggio di Sidney Tarrow,”Partito Comunista e contadini nel Mezzoggiorno”,la cui tesi di fondo era abbastanza chiara: se  in Cina ,in Iugoslavia o nell’Andalusia spagnola i contadini costituirono la forza dirompente  tale da sovvertirne l’ordine costituito, perché nel sud dell’Italia questa imponente forza sociale e politica costituita da braccianti e mezzadri e contadini poveri,   giunti ad occupare i feudi, non  fu guidata verso la rivoluzione socialista? Perché non si realizzò la storica saldatura auspicata da Gramsci, tra operai del Nord e contadini del Sud?

L’ing. Bilello pur non frequentando la sezione del partito, sapeva che alcuni giovani manifestavano insofferenza per l’autorità dei “padri”, sia quelli genitoriali che quelli simbolici: erano critici verso la scuola, la chiesa, la famiglia, le istituzioni e non si salvava neanche il partito. Perciò quando gli esposi la tesi del sociologo americano, sembrava preparato a questa domanda, tanto più che nel dopoguerra aveva diretto per qualche anno la “Federterra “regionale. Bilello fece un profondo respiro , si avvicinò la sedia perché la sua voce per sua natura flebile potesse arrivarmi bene alle orecchie. “Pippinè capisco la vostra insofferenza giovanile, anch’io sono stato giovane ,ma spesso dimenticate che il nostro partito con la svolta di Salerno , aveva abbandonato la strategia leninista della presa del potere e si pose come interlocutore paritetico nei confronti delle democrazie occidentali, accettandone la dialettica parlamentare”. Il vecchio saggio Bilello aveva ragione, ( eppure questa semplice verità non era stata compresa   dai gruppi estraparlamentari  che negli anni successivi divennero “Brigate Rosse , Prima Linea e tanti  giovani disperati, sommersi da un equivoco di fondo  che caratterizzò   la doppia  “identità” del Partito Comunista). Ma torniamo a noi.

Ciò nondimeno l’occupazione delle terre, l’esproprio dei feudi non erano di per sè atti “ sovversivi” tali da stravolgere gli assetti sociali ed istituzionali!? Pensa che non siamo riusciti ad applicare la stessa legge di Riforma Agraria ,votata dall’ARS il 22 novembre del 1950, in particolare nei titoli”I”e “II” che proponeva un limite alla proprietà e taluni obblighi  come le trasformazioni fondiarie ,la buona coltivazione, l’imponibile di manodopera!”

 Mi resi conto che avevo  di fronte un testimone importante che poteva comunque raccontarci un tratto della nostra storia menfitana inerente la Riforma Agraria e in particolare l’occupazione delle terre e il ruolo svolto da un indiscusso protagonista di quegli anni, ovvero Giuseppe Volpe ,“Peppi Urpi”. L’ing.Bilello si assestò sulla sedia, fece una piccola smorfia di disappunto, quasi a dirmi che l’argomento non era uno dei suoi preferiti. Ora dopo tanti anni non ricordo bene i particolari ma in sintesi la versione  dei fatti secondo Bilello era questa.

 Noi non abbiamo avuto una vera Riforma Agraria, se si eccettuano l’esproprio del feudo Fiore e qualche sporadica assegnazione di lotti, del tutto irrilevanti. L’esproprio del feudo Fiore fu un “capolavoro “ di “Peppi Urpi” anche se bisogna dire che contribuirono al successo talune vicende politiche che caratterizzarono opposte fazioni negli anni successivi il primo dopoguerra negli anni 1918-22.

 Le vicende successive al dopoguerra, dal 48 in poi sono complessi, turbolenti e di non facile lettura. Intanto il partito fu colto di sorpresa dalla partecipazione massiccia  e la mobilitazione da parte dei lavoratori della terra.Si era rotto di colpolo storico “sonno” di gattopardiana memoria.

 Dopo gli eccidi di Melissa in Calabria , la parola d’ordine era occupare le terre incolte o mal coltivate. Si riaprì di colpo l’annoso problema delle terre nel  nostro Mezzogiorno, riaffioravano ancora i ricordi di usurpazioni  di beni demaniali , di proprietà della “mano morta” e di proprietari con precario o nullo titolo di proprietà( per tutti leggasi “Il Consiglio d’Egitto” di Leonardo Sciascia) . Ma lo scenario non era completo: gli “agrari” non avrebbero ceduto facilmente i terreni, tantè che non esitano a ricorrere alla mafia , assoldano bande come quella di Giuliano,mobilitano i loro pastori e i gabelloti. Ma fanno di più: assoldano studi legali più in vista come,Virga, Orlando Cascio Ferro, Scaduto , attuano un fronte detto ,”l’offensiva della carta bollata”    Insomma mandano a dire chiaro e tondo che venderanno cara la pelle! I risultati di quegli anni sono sotto gli occhi di tutti: l’eccidio di Portella della Ginestra e decine di sindacalisti uccisi, tra cui il nostro vicino saccense Accursio Miraglia.

In questo contesto a Menfi si radicalizzano due posizioni nettamente distinte: La prima del Partito Comunista che occupando le terre chiede l’esproprio e l’assegnazione ai contadini poveri, mezzadri, braccianti. L’altra di”Peppi Urpi” che apre un varco di mediazione nel fronte degli “agrari” i quali sono disposti a vendere le loro proprietà e attraverso mutui ventennali( formazione della  piccola proprietà contadina). In un contesto così” fluido” e ingarbugliato, per la sinistra Peppi Urpi” appariva un” traditore” perché  traduceva il grande movimento per la riforma agraria in una  accomodante vendita da parte de grossi proprietari che venivano ristorati e rifocillati  dal denaro pubblico e da quello privato. La faccenda non è di poco conto perché nella transazione con i proprietari    la assegnazioni di lotti o di quote richiedeva un minimo di anticipo che i contadini poveri non disponevano, mentre i piccoli e medi  proprietari disponevano di risparmi tali da consentire loro di aggiudicarsi diversi lotti. Ai proprietari terrieri non fu strappato neanche un palmo di terra, essi vendettero a prezzo pieno di mercato. Insomma la tesi di Biello è che i proprietari fecero un affare. Di fronte al rischio concreto di una possibile confisca dei loro beni, ne uscirono con le tasche piene. Un esempio interessante è la vicenda del feudo di Belice dei Pignatelli. Un resoconto lo troviamo nel saggio di Vincenzo Lotà” Uomini senza Cappotto” ,  dove l’autore raccoglie la testimonianza della buonanima di Baldassare Li Petri. Qui mentre la Commissione provinciale verificava lo stato di incolto e mal coltivato del feudo per l’esproprio, “Peppi Urpi”concorda con l’amministrazione del feudo la divisione in lotti e la successiva vendita in violazione della legge e in affido a cooperative. Le ragioni addotte sono risibile : l’esproprio avrebbe dato la possibilità ai contadini di Castelvetrano di reclamarne il diritto, per il semplice motivo che il feudo ricadeva nel loro territorio. Non a caso lo stesso “Peppi Urpi” nella sua intervista a Danilo Dolci  nel libro “Spreco”, confessa che i proprietari terrieri nei suoi confronti manifestavano  benevolenza e stima se non ammirazione!.

Queste vicende furono occasione  di una amara riflessione sulla strategia del partito comunista nel sud e in particolare in Sicilia La posizione di Bilello si scontra con quella di Li Causi ,capisce che il movimento contadino è espressione di una variegata manifestazione di interessi disparati , spesso difficile contemplarli in un'unica strategia onnicomprensiva . Ci siamo infilati in un “cul di sacco”: esiste una palese contraddizione tra le scelte strategiche del partito a livello nazionale e le spinte radicali offerte dall’occupazione delle terre.Non si capiva bene se “ le cavalcate” verso i feudi  avessero un valore folkoristico tale solo per mostrare i muscoli, o di vera dirompenza sociale e politica. Qui  il vecchio dirigente comunista fa una riflessione teorica marxiana di elevato spessore culturale, e indirettamente risponde a Tarrow:”Ricordati” Pippinè “che le classi proletari , gli operai, e a maggior ragione le masse contadine , hanno “bisogno” della mediazione della borghesia! I salti nella storia non sono ammessi!”

Comprendo alla fine della chiacchierata che al vecchio dirigente comunista  gli costa molto ammetterlo, ma la strategia scelta da “Peppi Urpi” in fin dei conti, risultò vincente,  perché era di buon senso: questo vecchio contadino aveva realizzato una rivoluzione pacifica , alla fine tutti potevano, volendo ,disporre anche di un fazzoletto di terra ,  e  chi credeva nella terra, non si lasciò sfuggire l’occasione, era sufficiente  a fungere da “lievito” che, con le successive opere di bonifica e l’irrigazione, nel breve tempo di una due generazione, ha consentito a gran parte dei vecchi contadini di risvegliarsi imprenditori e comunque tali da cambiare scenario nelle campagne menfitane.

     

Nessun commento:

Posta un commento