martedì 31 maggio 2022

Macco di fave

  

 

IL MACCO DI FAVE

 

  di 

Luigi Parello

 

 

“Lu riccu è riccu pi diri abbonè, lu scarsu è scarsu pi diri chissu nenti è”

 

Il Macco di fave, in dialetto siciliano “u maccu” è una deliziosa crema di fave secche e sgusciate, un piatto tradizionale della cucina contadina. E’ stato da sempre considerato il cibo simbolo delle scorpacciate popolane, dei poveri che non potevano permettersi altro.

Questo piatto, meriterebbe il riconoscimento di prodotto identitario attraverso il percorso dei Borghi GeniusLoci De.Co. previa attenta analisi storica per individuarne in quale località può vantarne l’origine.  Un percorso da condividere con il territorio e per il territorio,  che vuole salvaguardare e valorizzare il locale, rispetto al fenomeno della globalizzazione, la quale tende ad omogeneizzare prodotti e sapori. Nelle arti e non solo, il GeniusLoci rappresenta concettualmente quello spirito percepibile, quasi tangibile, che rende unici certi luoghi ed irripetibili certi momenti, uno spazio, un edificio o un monumento. Non solo: il Genius Loci è anche nelle immagini, nei colori, nei sapori e nei profumi dei paesaggi intorno a noi, che tanto spesso, anche allimprovviso, ci stupiscono ed emozionano. Le persone respirano il genius loci di un luogo, di un ambiente quando ne hanno piena coscienza. Ognuno di noi è attaccato ad un luogo dinfanzia, ad un ricordo, ad un affetto, a un dolce, ad un piatto. Ecco, lobiettivo è recuperare lidentità di un luogo, attraverso le prelibatezze storiche,  culturali, etiche del territorio .

 


IL MACCO DI FAVE NELLA STORIA

Sembra che il Macco fosse un piatto già diffuso ai tempi degli antichi Romani.

Il nome “maccu” deriva infatti dal tardo latino, e vuol dire “schiacciare, ridurre in poltiglia”. Il termine si ricollega a Maccus (dal greco maccuan, che vuol dire “fare il cretino”), personaggio delle farse popolari romane (Fabulae Atellanae), progenitore di Pulcinella. Questa macchietta anticipava, sotto certi punti di vista, il ruolo dei servi sciocchi del Settecento: mangiatori ingordi e sempre insoddisfatti che, contrariamente a coloro che la fame non la pativano, si rimpinzavano di alimenti considerati grossolani.

Già nel 450 a.C. Aristofane, nella sua commedia Le rane, parla di una pietanza a base di fave schiacciate che Eracle mangia per trarre forza e nutrimento prima di intraprendere le sue straordinarie imprese amatorie.

La tradizione del Macco, cibo contadino per eccellenza, perfetto per “riempirsi la pancia” con poco, è testimoniata anche da numerosi proverbi e modi di dire siciliani, come per esempio “cogghiri l’ogghiu supra ‘u maccu” (raccogliere l’olio sul macco), riferito alle persone tirchie, che dosano ogni cosa con troppa parsimonia.

 

LE FAVE, FONTE DI ENERGIA

La coltivazione della fava arrivò in Italia già 5.000 anni fa tramite i viaggi di mercanti e commercianti tra Grecia ed Anatolia.

Questo legume, nel tempo, ha evocato numerosi simbolismi, spesso fra loro contrastanti.

Presso i Greci e i Romani, le fave non godevano di buona fama: si pensava che nei loro semi si nascondessero le anime dei defunti.

Altre credenze, invece, attribuivano alla fava proprietà afrodisiache.

In passato le fave secche erano il nutrimento tipico di molte persone appartenenti a classi non agiate e, per questo, venivano chiamate “la carne dei poveri”, perchè ricchissime di sostanze nutritive benefiche per la nostra alimentazione.

Le fave fanno parte della famiglia delle leguminose e sono ricche di proteine, fibre e sali minerali. Inoltre, essendo composte per l’84% da acqua, aiutano le funzioni depurative dei reni.

La loro coltivazione è molto diffusa nelle regioni del Sud Italia, in Sicilia in particolare, non solo per il consumo alimentare, ma per il ruolo di pianta “miglioratrice”, perfetta per il rinnovo di terreni argillosi e pesanti. La fava è, infatti, spesso utilizzata nella rotazione in precessione ai cereali, in particolare al frumento.

Le fave sono anche protagoniste di vari proverbi siciliani, come quannu i scorci caminanu, u favi sunnu chini , letteralmente “quando le bucce camminano le fave sono piene”, un po’ la trasposizione dialettale del vox pupuli vox Dei latino, espressione utilizzata per avvalorare alcune maldicenze.

Per preparare il Macco di fave occorrono le cosiddette fave cucivule, ovvero delle fave che si sciolgano facilmente in cottura. Fra queste, le più conosciute sono le “Larghe di Leonforte”, Presidio Slow Food dell’entroterra ennese.

 

IL MACCO NELLE FESTE TRADIZIONALI SICILIANE

Ogni anno a Ramacca, in provincia di Catania, il 19 marzo si festeggia San Giuseppe. La celebrazione è molto sentita dalla popolazione, e nelle case vengono allestiti altari con pietanze e cibi in onore del Santo.

La sera del 18 marzo è tradizione visitare gli altari delle famiglie, a cui hanno diritto innanzitutto i tri pirsuni, scelte fra le famiglie meno agiate della città, che rappresentano la Santa Famiglia di Nazareth. Dopo aver assaggiato tutto, i tri pirsuni avranno in dono metà della tavola imbandita.

Nel giorno 19, invece, in centro città viene allestita “la tavolata”, un enorme altare costituito dalle offerte dei cittadini, a cui partecipano nuovamente “i tri pirsuni”.

E’ proprio in questa occasione che viene servita “a pasta co maccu”, pasta fresca servita con una crema di fave e lenticchie.

A Raffadali, invece, in occasione della Festa della Madonna del Rosario, il primo fine settimana di ottobre viene organizzata la “Sagra del Macco”: Raffadali è, infatti, u paisi do maccu, dove questa pietanza ha avuto origine.

 

UN PIATTO, CENTO VARIANTI

Si prepara normalmente con le fave secche sgusciate, che si sciolgono grazie alla cottura prolungata. Esiste tuttavia la variante con le fave verdi, tipica del periodo di San Giuseppe, che ha naturalmente un colore più sgargiante di quello di fave secche ed ha bisogno di un minore tempo di cottura.

In ogni caso, le fave vengono munnati du’ voti, cioè sbucciate due volte: prima tolte dal baccello e poi private della loro pellicina.

Il Macco di fave è in origine una semplice crema di fave con cipollotto, spesso aromatizzata con il finocchietto selvatico che in Sicilia cresce spontaneamente in abbondanza; ma viene spesso arricchito con qualche verdura, come ad esempio le bietole (giritieddi o lassini) e la borragine (vurrani).

In dialetto si dice che la miglior maniera di gustare il Macco sia “ru fili ri pasta cu maccu e ricotta frisca a tignitè” (con due fili di pasta e ricotta in abbondanza).

Negli ultimi anni il Macco ha cambiato status e nella cucina contemporanea non rappresenta più solamente un piatto della cucina povera, quanto una cremosa base da arricchire con tocchetti di pancetta o anelli di calamari saltati in padella.

In Sicilia, è normalmente servito come primo piatto, a volte arricchito da pasta fresca, come nei lolli che’ favi ragusani, mentre la nuova tendenza degli chef è presentarlo in raffinate versioni finger food.

 

Ricetta

500 g di fave secche sgusciate

mezza cipolla

sale

olio extra vergine d’oliva

finocchietto selvatico (facoltativo)

La sera precedente alla preparazione mettere le fave in ammollo in acqua fredda. Il mattino seguente, sciacquare le fave.

Tritare finemente la cipolla.

Soffriggere la cipolla in un filo d’olio, aggiungere le fave, far rosolare un paio di minuti poi coprire d’acqua a filo con le fave.

Chi lo ama, può aggiungere un po’ di finocchietto selvatico.

Far cuocere a fuoco lento per circa 3 ore, con il coperchio, aggiungendo acqua ogni qual volta le fave lo richiedono e mischiando di tanto in tanto. Verso la fine della cottura, aggiustare di sale.

Servire in piatti da minestra accompagnando con crostini.

Completare con un filo d’olio a crudo e, a piacere, un pizzico di pepe nero o peperoncino.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nessun commento:

Posta un commento