domenica 15 ottobre 2017

Chi ha rubato i semi ai contadini?

Peppino Bivona




Dobbiamo riportare i contadini a coltivare le varietà per la biodiversità, per loro stessi, per la sicurezza alimentare, per il futuro." - Vandana Shiva 





Non abbiamo il diritto di consumare felicità senza 
produrne, proprio come non abbiamo il diritto di 
consumare ricchezza senza guadagnare.
                                                                                   George Bernard Shaw


                   Un tempo quando nelle menti albergava la ragione e il buon senso, i contadini possedevano e utilizzavano i loro semi, li selezionavano, li conservavano, li tramandavano, li scambiavano, erano insomma un patrimonio genetico vegetale delle comunità. Selezionare i semi era un lavoro affidato quasi sempre ai più anziani, i soli che avendo negli anni accumulato più “saperi” sceglievano sulla base del fenotipo i caratteri meritevoli di essere tramandati.

 Lo scenario era familiare: l’anziano contadino, precedeva di poco il resto della famiglia che si apprestava a raccogliere i pomodori “seccagni”, nel suo paniere c’era solo posto per i pomodori “migliori” ,i frutti più colorati, sani ,resistenti ,gustosi, produttivi.  Anno dopo anno venivano scelte i semi dai frutti  che meglio rispondevano alle esigenze del luogo .Erano  mediatori  , attenti e scrupolosi ,consapevoli  della necessità di non arrestare mai questo lungo e complesso processo di adattamento, sempre  in armonia  con il cambiamento climatico, con le condizioni  pedologiche  del luogo .
 Per strano che possa sembrare, le parole “tramandare “e “mutare” ci danno un segno tangibile del mutamento e della tradizione. Il cambiamento che non conosce la continuità genera innovazioni senza radici, senza contesto, senza dare tempo alla comunità di accoglierlo come un bene atteso, di apprenderne il corretto uso, e farne un bene comune.
 Di fatto, invece, le innovazioni isolate e distanti, generano una sorta di eresia dalle conoscenza. Non conosce la vita e  il rispetto per essa
 Ma che senso avrebbe la tradizione senza il lento, inesorabile, cambiamento?
 Avremmo espresso una rigida ripetizione, una monotona “clonazione”, buona per i musei o per alimentare nostalgie.

 No, la rigidità nega la vita, ne diventa inutile parodia, facendosi caricatura del passato.

La Tradizione non è conservatorismo né fascinazione del passato storico, niente è più lontano dalla tradizione di un museo folcloristico.” La verità è che la tradizione non consiste    in un semplice trasmissione del sapere: è invece la trasmissione di un saper vivere. Il tradizionalismo si contrappone alla tradizione perché uccide l’organismo vivente, per diventare un adepto del fossile “ 
 Il percorso che accompagna la vita delle varietà vegetali, parte dalla selezione, lungo un itinerario attraverso un   continuo adattamento. Ci ricorda che la natura non esprime solo e solamente varietà agricole, cosi come noi le conosciamo, ma che esistono le specie, le loro forme spontanee, , gli ecotipi , declinate  sulla  base delle condizioni climatiche,  agronomiche. Le varietà nella loro stretta accezione prendono “forma” da una precisa e definita attività umana, se volete “comunitaria “, come potrebbe accadere ad un “manufatto “ .
Le varietà, a differenza degli ecotipi non sono il prodotto di un incontro occasionale, nel tempo, ma ben di più , ovvero  sono il prodotto  dell’incontro della “ necessità “ con la cultura “ . Perciò sono varietà locali caratterizzate in modo originale e dinamico, sia nella loro modalità epigenetica, quale capacità di esprimere una incessante capacita di ridefinizione del codice costitutivo, sia degli aspetti fenotipici quali estensori di forma e di comportamento 
Cosi alla massima espressione genetica e diversità varietale   operata dalle comunità rurali e contadine, assistiamo oggi alla massima restrizione genetica e fenotipica dell’agricoltura industriale, semplificata e banalizzata fino all’estrema mortificazione della diversità che sfocia nella pratica monoculturale e monovarietale.
 La monocoltura non appartiene al mondo contadino essa è figlia dell’agricoltura intensiva, di precisione, di ordine formale, industriale, quella che prima di produrre prodotti coltiva profitti e contributi, ma produce inquinamento, erosione della terra e della diversità.
Oggi i prodotti delle monocolture, coltivate dalla “monocultura delle menti”, odorano di artificiosità, di moda, di intransigenza e fanatismo, di svalutazione della diversità della pluralità e dalla “contaminazione”  che in agricoltura sono elementi di ricchezza e in natura garanzie di sopravvivenza .
Le esigenze mercantile legate all’uniformità delle tecnologie colturali, di raccolta, confezione , distribuzione e vendita, hanno  sortito  un vero e proprio disorientamento identitario , un approccio astratto alla natura delle cose.
Quella della purezza delle varietà è una esigenza estranea al mondo contadino. Le nuove varietà commerciali sono caratterizzate da uniformità, stabilita e distinguibilità . Sono requisiti previsti per l’iscrizione ai registri varietali, sono coordinate buoni per i parametri ufficiali, definiscono i limiti per la commercializzazione delle sementi, sono caratteri conformi alla loro brevettazione, allo sfruttamento dei benefici commerciali  legati al loro uso .
 Quanto sono diversi e distanti dai campi dei contadini, dove le varietà si incrociano liberamente dando vita a mescolanze di popolazioni!

Le ansie per la purezza varietale tradiscono il misconoscimento e la negazione delle armonie e dei movimenti che spontaneamente e con sapienza anima la natura e ne sono rivelazione. Le ansie per la purezza varietale tradiscono una volontà pianificatrice, una bonaria propensione alla separazione, al rigetto di cosa non è abbastanza puro da compensare, il disorientamento morale, estetico e ontologico che intesse la filigrana della vita.

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