Peppino Bivona
Dobbiamo riportare i contadini a coltivare le varietà per la biodiversità, per loro stessi, per la sicurezza alimentare, per il futuro." - Vandana Shiva
Non abbiamo il diritto di consumare felicità senza
produrne, proprio come
non abbiamo il diritto di
consumare ricchezza senza guadagnare.
Un tempo quando nelle menti albergava la ragione e il buon senso,
i contadini possedevano e utilizzavano i loro semi, li selezionavano, li
conservavano, li tramandavano, li scambiavano, erano insomma un patrimonio
genetico vegetale delle comunità. Selezionare i semi era un lavoro affidato
quasi sempre ai più anziani, i soli che avendo negli anni accumulato più
“saperi” sceglievano sulla base del fenotipo i caratteri meritevoli di essere
tramandati.
Lo scenario era
familiare: l’anziano contadino, precedeva di poco il resto della famiglia che
si apprestava a raccogliere i pomodori “seccagni”, nel suo paniere c’era solo
posto per i pomodori “migliori” ,i frutti più colorati, sani ,resistenti
,gustosi, produttivi. Anno dopo anno
venivano scelte i semi dai frutti che
meglio rispondevano alle esigenze del luogo .Erano mediatori
, attenti e scrupolosi ,consapevoli
della necessità di non arrestare mai questo lungo e complesso processo
di adattamento, sempre in armonia con il cambiamento climatico, con le
condizioni pedologiche del luogo .
Per strano che possa sembrare,
le parole “tramandare “e “mutare” ci danno un segno tangibile del mutamento e
della tradizione. Il cambiamento che non conosce la continuità genera
innovazioni senza radici, senza contesto, senza dare tempo alla comunità di
accoglierlo come un bene atteso, di apprenderne il corretto uso, e farne un
bene comune.
Di fatto, invece, le innovazioni
isolate e distanti, generano una sorta di eresia dalle conoscenza. Non conosce
la vita e il rispetto per essa
Ma che senso avrebbe
la tradizione senza il lento, inesorabile, cambiamento?
Avremmo espresso una rigida
ripetizione, una monotona “clonazione”, buona per i musei o per alimentare nostalgie.
No, la rigidità nega
la vita, ne diventa inutile parodia, facendosi caricatura del passato.
La Tradizione non è conservatorismo né fascinazione del passato
storico, niente è più lontano dalla tradizione di un museo folcloristico.” La verità è che la tradizione non
consiste in un semplice trasmissione
del sapere: è invece la trasmissione di un saper vivere. Il tradizionalismo si contrappone
alla tradizione perché uccide l’organismo vivente, per diventare un adepto del
fossile “
Il percorso che
accompagna la vita delle varietà vegetali, parte dalla selezione, lungo un itinerario
attraverso un continuo adattamento. Ci
ricorda che la natura non esprime solo e solamente varietà agricole, cosi come
noi le conosciamo, ma che esistono le specie, le loro forme spontanee, , gli
ecotipi , declinate sulla base delle condizioni climatiche, agronomiche. Le varietà nella loro stretta accezione
prendono “forma” da una precisa e definita attività umana, se volete “comunitaria
“, come potrebbe accadere ad un “manufatto “ .
Le varietà, a differenza degli ecotipi non sono il prodotto
di un incontro occasionale, nel tempo, ma ben di più , ovvero sono il prodotto dell’incontro della “ necessità “ con la
cultura “ . Perciò sono varietà locali caratterizzate in modo originale e
dinamico, sia nella loro modalità epigenetica, quale capacità di esprimere una
incessante capacita di ridefinizione del codice costitutivo, sia degli aspetti fenotipici
quali estensori di forma e di comportamento
Cosi alla massima espressione genetica e diversità
varietale operata dalle comunità rurali
e contadine, assistiamo oggi alla massima restrizione genetica e fenotipica
dell’agricoltura industriale, semplificata e banalizzata fino all’estrema
mortificazione della diversità che sfocia nella pratica monoculturale e
monovarietale.
La monocoltura non
appartiene al mondo contadino essa è figlia dell’agricoltura intensiva, di
precisione, di ordine formale, industriale, quella che prima di produrre prodotti
coltiva profitti e contributi, ma produce inquinamento, erosione della terra e
della diversità.
Oggi i prodotti delle monocolture, coltivate dalla “monocultura
delle menti”, odorano di artificiosità, di moda, di intransigenza e fanatismo,
di svalutazione della diversità della pluralità e dalla “contaminazione” che in agricoltura sono elementi di ricchezza
e in natura garanzie di sopravvivenza .
Le esigenze mercantile legate all’uniformità delle
tecnologie colturali, di raccolta, confezione , distribuzione e vendita,
hanno sortito un vero e proprio disorientamento identitario
, un approccio astratto alla natura delle cose.
Quella della purezza delle varietà è una esigenza estranea
al mondo contadino. Le nuove varietà commerciali sono caratterizzate da
uniformità, stabilita e distinguibilità . Sono requisiti previsti per
l’iscrizione ai registri varietali, sono coordinate buoni per i parametri
ufficiali, definiscono i limiti per la commercializzazione delle sementi, sono
caratteri conformi alla loro brevettazione, allo sfruttamento dei benefici
commerciali legati al loro uso .
Quanto sono diversi e
distanti dai campi dei contadini, dove le varietà si incrociano liberamente
dando vita a mescolanze di popolazioni!
Le ansie per la purezza varietale tradiscono il misconoscimento
e la negazione delle armonie e dei movimenti che spontaneamente e con sapienza
anima la natura e ne sono rivelazione. Le ansie per la purezza varietale
tradiscono una volontà pianificatrice, una bonaria propensione alla separazione,
al rigetto di cosa non è abbastanza puro da compensare, il disorientamento
morale, estetico e ontologico che intesse la filigrana della vita.
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