domenica 8 ottobre 2017

“Dovrà pur esserci un giudice a Madrid”


di Peppino Bivona


                     Don Ferdinando quella notte non riuscì a chiudere occhio, aveva conversato fino a tarda notte con la moglie, insieme avevano cercato di dare una spiegazione plausibile, un senso logico al comportamento arrogante e sprezzante del principe: come poteva disconoscere i patti sottoscritti, la sua stessa firma sul contratto, anche se stipulato trenta e passa anni fa? La sua prepotenza sembrava non avere limite, sfidava il galantuomo a far valere i suoi diritti rivolgendosi alla giustizia, ben sapendo, il farabutto, che i processi di tale natura si celebravano a Madrid!

L’alba non si fece attendere più di tanto, con gran sollievo del povero uomo, ma già sentiva il suo fedele servitore, giù nel cortile, sellare la sua giumenta baia, inseparabile animale da quasi vent’anni. Ebbene si, alla fine si era deciso, aveva accolto il suggerimento del canonico don Saverio di rivolgersi ad un famoso studio notarile-legale di Trapani ed accettare la sfida di sottoporre la vexata questio al tribunale, trasmettendo tutte le carte al giudizio insindacabile del giudice spagnolo. Salutò la figlia ancora assonnata e poi la moglie che assieme alle raccomandazioni le diede un cesto contenente le vivande sufficiente a rifocillarsi durante il lungo viaggio. Partirono presto con la speranza di raggiungere Trapani in giornata.
Questo primo tratto di strada la percorsero a trotto, poi in vista di Castelvetrano rallentarono proseguendo a passo. Questo lento procedere ebbe uno strano effetto su don Ferdinando ovvero risvegliarono in lui lontani ricordi quasi tutti legati alle vicende vissute nella sua impresa di trasformare buona parte del bosco della “Gurra” così esteso ,folto ed inestricabile , dominato da quei maestosi “busciuna”(querce da sughero) ,i placidi ed ombrosi carrubi, gli odorosi lentischi e poi le palme nane, i rovi , le roverelle…Ma ciò che lo attraeva più di tutti erano quei verdi e lussureggianti maestosi olivastri dai fusti lisci e dalla chioma svettante. Erano questi “selvatici “che più di tutto lo attraevano, sapeva come ricondurli ad una “funzione gentile”.
Superarono l’abitato di Castelvetrano si avviarono alla volta di Mazara. L’odierna Campobello era un piccolissimo centro ma con fervente attività da parte di quei pochi abitanti. Ogni qual volta don Ferdinando voleva ricacciare indietro quei ricordi, aumentava l’andatura della sua cavalla baia passando dal trotto fino al galoppo. Eppure quei ricordi erano il resoconto di buona parte della sua vita, nel bene e nel male non poteva disconoscere trent’anni di impegno febbrile nel trasformare quel bosco selvaggio irto e a tratti oscuro in un domabile esteso lussureggiante oliveto. Fu cosi che pochi anni dopo il suo matrimonio decise di accettare, d’accordo con la moglie, la proposta del principe: mettere a coltura, ovvero rendere produttivo alcune centinaia di ettari innestando tutte quante le piante di olivastro disseminati a casaccio. Decise di investire tutti i suoi risparmi, compresa la dote della moglie, in quella impegnativa impresa. Ristrutturò ed ampliò la casa posta sulla collinetta che dominava l’ampia valle  che si apriva verso il mare africano.
Lavorò senza risparmiarsi con braccianti, contadini e pastori del luogo, “domare” un bosco millenario non era impresa da poco! Abbatterono le vecchie querce, lasciò che  i fustelli servissero ai “cravunara” (carbonai) da cui potessero ricavarne pregiata carbonella. Il suo “attacco” al bosco fu dissacrante nella sua razionalità e meticolosità: operavano con un fronte di circa cento metri da est verso ovest dal vallone della Gurra alla vallata del fiume Belice utilizzavano le radure per attivare la carbonaia, il terreno alle loro spalle restava coperto dei soli olivastri. Che strano osservò don Ferdinando: il terreno  di natura argillosa su cui ospitava la carbonaia…diveniva rosso come quello dell’altipiano della Gurra.    Tuttavia  nel prosequo dei lavori si pose subito un serio problema : le maestranze locali specializzati nell’innesto degli olivastri non erano sufficienti e non  garantivano  una soddisfacente affidabilità nella riuscita dell’operazione. Decise di scrivere al principe per chiedere l’invio di una ventina di bravi innestatori, possibilmente catalani, che avrebbero contemporaneamente addestrato i locali cosi da renderlo autosufficiente.
Alla fine di febbraio alla Gurra arrivarono gli innestatori spagnoli, i quali per cortesia nei confronti del principe, portarono alcune marze di varietà coltivate in Spagna Ma don Ferdinando non ne volle sapere!
 Ora la campagna dopo Mazzara si faceva piatta, uniforme ed assolata una vasta “prateria” piena di rocce affioranti impediva lo sviluppo di una lussureggiante vegetazione. A poca distanza dal mare videro un casolare, una sorta di locanda per pochi e sparuti viaggiatori. Don Ferdinando ordinò a Matteo di riposarsi un po’ e prendere un boccone. Ma all’ombra di una tettoia di canne e con la brezza fresca che saliva dal mare l’anziano possidente non smise di ricordare. Ebbene si! Rifiutò con garbo l’offerta di marze spagnole, voleva e doveva innestare le sole varietà siciliane e del territorio!
Malgrado la viabilità a quei tempi non fosse particolarmente agevole, don Ferdinando conosceva le varietà della zona, ma cosa più sorprendente che delle stesse aveva valutato la qualità dell’olio ricavato. Cosi della Biancolilla diffusa verso l’areale di Caltabellotta ne apprezzava la produttività la discreta costanza, ma in particolare la “finezza” o la delicatezza del suo olio : poteva consumarsi appena uscito dal trappeto. Di tutt’altra natura si esprimeva l’olio della varietà Cerasuola pianta diffusissima negli areali olivicoli di Sciacca: superbo svettante buona la sua resa in olio dalle caratteristiche ben marcate, quali amaro e piccante, un olio si direbbe “robusto”. Infine, non poteva mancare la Nocellara del Belice presente negli oliveti della vicina Castelvetrano apprezzato per il suo olio fruttato oltre che per le sue olive conservate verdi.
Ora don Ferdinando aveva le idee chiare, propose agli innestatori di procedere all’innesto degli olivastri nella fascia disboscata, larga circa cento metri le varietà della zona: 60% Cerasuola 40% Biancolilla 10% Nocellara del Belice . In verità in una parte del terreno, un vasto impluvio, che successivamente chiamò “cavotto” fece innestare tutti gli olivastri a Nocellara del Belice con qualche eccezione di Giaraffa e Passulunara. Matteo le scosse garbatamente il braccio, restava da percorrere poco meno della metà di strada . Decisero di costeggiare Marsala e superato gli stagni vicino all’isoletta di “San Pantaleo” si avviarono alla volta di Trapani. Ora i ricordi dovevano fare posto alla drammaticità della situazione, da cui non aveva la minima consapevolezza di come poterne uscire in particolare con quali mezzi finanziari avrebbe potuto affrontare una causa così impegnativa? Visto che tutti i risparmi li aveva investito nelle migliorie?
Finalmente, quando ancora c’era qualche ora di luce giunsero a Trapani. Il notaio don Nicolò già lo aspettava, lo accolse come si conviene ad un galantuomo, preparò la camera degli ospiti, e dopo essersi  ripulito dalla polvere di strada venne invitato a cenare con la sua famiglia. Don Ferdinando era soddisfatto della pasto serale, delle pietanze a base di pesce e delle attenzioni che tutti i componenti della famiglia le rivolgeva: una famiglia seria e timorata di Dio. Ma ciò che più di tutto lo colpì furono quei quattro figli maschi di cui due grandicelli, in età di prendere moglie!
Terminata la cena don Ferdinando e don Nicolò si trasferirono nello studio dove al chiarore di un grosso candelabro, l’anziano possidente (di che?) tirò fuori tutta la documentazione in suo possesso ed espose i fatti accaldandosi non poco nell’evidenziare la prepotenza del principe nel negare l’evidenza. Quasi con le lacrime agli occhi concluse. “Don Nicolò, ho lavorato quasi tutta la mia vita per mettere a “coltura” la “Gurra”, ho speso i risparmi miei e quelli di mia moglie, non ho letteralmente niente, ma vi dico di più! Non ho neanche i soldi per affrontare la causa compresi i soldi per il vostro onorario! Don Nicolò non giudicatemi male, ma questa sera a cena ho visto i vostri figli…ebbene la mia proposta e semplicemente nuda e cruda, non giudicatela oscena: accettate di patrocinarmi in questa causa e se la vinceremo darò mia figlia in sposa ad uno dei vostri figli compresa tutta proprietà della  Gurra : Benedetto Iddio …dovrà pur esserci un giudice a Madrid!!”
Si, in questo raro caso a Madrid, dove arrivavano copiosi faldoni spediti dalla Santa Inquisizione, non solo c’era il giudice ..ma anche la giustizia che diede ragione a don Ferdinando,il quale da galantuomo onoro il suo impegno

Ora, se vi trovate a percorrere la ss. 115 da Menfi a Castelvetrano poco prima del bivio per Montevago, rallentate. Potete osservare sulla vostra destra maestosi ulivi secolari sparsi che si estendono verso nord …..sono i coprotagonisti di questa storia. 

Nessun commento:

Posta un commento