di Peppino Bivona
Don Ferdinando quella notte non riuscì a
chiudere occhio, aveva conversato fino a tarda notte con la moglie, insieme
avevano cercato di dare una spiegazione plausibile, un senso logico al
comportamento arrogante e sprezzante del principe: come poteva disconoscere i
patti sottoscritti, la sua stessa firma sul contratto, anche se stipulato
trenta e passa anni fa? La sua prepotenza sembrava non avere limite, sfidava il
galantuomo a far valere i suoi diritti rivolgendosi alla giustizia, ben
sapendo, il farabutto, che i processi di tale natura si celebravano a Madrid!
L’alba non si fece attendere più di tanto, con
gran sollievo del povero uomo, ma già sentiva il suo fedele servitore, giù nel cortile,
sellare la sua giumenta baia, inseparabile animale da quasi vent’anni. Ebbene
si, alla fine si era deciso, aveva accolto il suggerimento del canonico don
Saverio di rivolgersi ad un famoso studio notarile-legale di Trapani ed
accettare la sfida di sottoporre la vexata questio al tribunale, trasmettendo
tutte le carte al giudizio insindacabile del giudice spagnolo. Salutò la figlia
ancora assonnata e poi la moglie che assieme alle raccomandazioni le diede un
cesto contenente le vivande sufficiente a rifocillarsi durante il lungo
viaggio. Partirono presto con la speranza di raggiungere Trapani in giornata.
Questo primo tratto di strada la percorsero a
trotto, poi in vista di Castelvetrano rallentarono proseguendo a passo. Questo
lento procedere ebbe uno strano effetto su don Ferdinando ovvero risvegliarono
in lui lontani ricordi quasi tutti legati alle vicende vissute nella sua
impresa di trasformare buona parte del bosco della “Gurra” così esteso ,folto
ed inestricabile , dominato da quei maestosi “busciuna”(querce da sughero) ,i
placidi ed ombrosi carrubi, gli odorosi lentischi e poi le palme nane, i rovi ,
le roverelle…Ma ciò che lo attraeva più di tutti erano quei verdi e
lussureggianti maestosi olivastri dai fusti lisci e dalla chioma svettante. Erano
questi “selvatici “che più di tutto lo attraevano, sapeva come ricondurli ad
una “funzione gentile”.
Superarono l’abitato di Castelvetrano si
avviarono alla volta di Mazara. L’odierna Campobello era un piccolissimo centro
ma con fervente attività da parte di quei pochi abitanti. Ogni qual volta don
Ferdinando voleva ricacciare indietro quei ricordi, aumentava l’andatura della
sua cavalla baia passando dal trotto fino al galoppo. Eppure quei ricordi erano
il resoconto di buona parte della sua vita, nel bene e nel male non poteva
disconoscere trent’anni di impegno febbrile nel trasformare quel bosco
selvaggio irto e a tratti oscuro in un domabile esteso lussureggiante oliveto.
Fu cosi che pochi anni dopo il suo matrimonio decise di accettare, d’accordo con
la moglie, la proposta del principe: mettere a coltura, ovvero rendere
produttivo alcune centinaia di ettari innestando tutte quante le piante di
olivastro disseminati a casaccio. Decise di investire tutti i suoi risparmi,
compresa la dote della moglie, in quella impegnativa impresa. Ristrutturò ed
ampliò la casa posta sulla collinetta che dominava l’ampia valle che si apriva verso il mare africano.
Lavorò senza risparmiarsi con braccianti,
contadini e pastori del luogo, “domare” un bosco millenario non era impresa da
poco! Abbatterono le vecchie querce, lasciò che i fustelli servissero ai “cravunara”
(carbonai) da cui potessero ricavarne pregiata carbonella. Il suo “attacco” al
bosco fu dissacrante nella sua razionalità e meticolosità: operavano con un
fronte di circa cento metri da est verso ovest dal vallone della Gurra alla
vallata del fiume Belice utilizzavano le radure per attivare la carbonaia, il
terreno alle loro spalle restava coperto dei soli olivastri. Che strano osservò
don Ferdinando: il terreno di natura
argillosa su cui ospitava la carbonaia…diveniva rosso come quello
dell’altipiano della Gurra. Tuttavia nel prosequo dei lavori si pose subito un
serio problema : le maestranze locali specializzati nell’innesto degli
olivastri non erano sufficienti e non garantivano una soddisfacente affidabilità nella riuscita
dell’operazione. Decise di scrivere al principe per chiedere l’invio di una
ventina di bravi innestatori, possibilmente catalani, che avrebbero contemporaneamente
addestrato i locali cosi da renderlo autosufficiente.
Alla fine di febbraio alla Gurra arrivarono gli
innestatori spagnoli, i quali per cortesia nei confronti del principe,
portarono alcune marze di varietà coltivate in Spagna Ma don Ferdinando non ne
volle sapere!
Ora la
campagna dopo Mazzara si faceva piatta, uniforme ed assolata una vasta “prateria”
piena di rocce affioranti impediva lo sviluppo di una lussureggiante
vegetazione. A poca distanza dal mare videro un casolare, una sorta di locanda
per pochi e sparuti viaggiatori. Don Ferdinando ordinò a Matteo di riposarsi un
po’ e prendere un boccone. Ma all’ombra di una tettoia di canne e con la brezza
fresca che saliva dal mare l’anziano possidente non smise di ricordare. Ebbene
si! Rifiutò con garbo l’offerta di marze spagnole, voleva e doveva innestare le
sole varietà siciliane e del territorio!
Malgrado la viabilità a quei tempi non fosse
particolarmente agevole, don Ferdinando conosceva le varietà della zona, ma
cosa più sorprendente che delle stesse aveva valutato la qualità dell’olio
ricavato. Cosi della Biancolilla diffusa verso l’areale di Caltabellotta ne
apprezzava la produttività la discreta costanza, ma in particolare la “finezza”
o la delicatezza del suo olio : poteva consumarsi appena uscito dal trappeto.
Di tutt’altra natura si esprimeva l’olio della varietà Cerasuola pianta
diffusissima negli areali olivicoli di Sciacca: superbo svettante buona la sua
resa in olio dalle caratteristiche ben marcate, quali amaro e piccante, un olio
si direbbe “robusto”. Infine, non poteva mancare la Nocellara del Belice
presente negli oliveti della vicina Castelvetrano apprezzato per il suo olio
fruttato oltre che per le sue olive conservate verdi.
Ora don Ferdinando aveva le idee chiare,
propose agli innestatori di procedere all’innesto degli olivastri nella fascia
disboscata, larga circa cento metri le varietà della zona: 60% Cerasuola 40%
Biancolilla 10% Nocellara del Belice . In verità in una parte del terreno, un
vasto impluvio, che successivamente chiamò “cavotto” fece innestare tutti gli
olivastri a Nocellara del Belice con qualche eccezione di Giaraffa e
Passulunara. Matteo le scosse garbatamente il braccio, restava da percorrere
poco meno della metà di strada . Decisero di costeggiare Marsala e superato gli
stagni vicino all’isoletta di “San Pantaleo” si avviarono alla volta di
Trapani. Ora i ricordi dovevano fare posto alla drammaticità della situazione,
da cui non aveva la minima consapevolezza di come poterne uscire in particolare
con quali mezzi finanziari avrebbe potuto affrontare una causa così
impegnativa? Visto che tutti i risparmi li aveva investito nelle migliorie?
Finalmente, quando ancora c’era qualche ora di
luce giunsero a Trapani. Il notaio don Nicolò già lo aspettava, lo accolse come
si conviene ad un galantuomo, preparò la camera degli ospiti, e dopo essersi ripulito dalla polvere di strada venne
invitato a cenare con la sua famiglia. Don Ferdinando era soddisfatto della pasto
serale, delle pietanze a base di pesce e delle attenzioni che tutti i componenti
della famiglia le rivolgeva: una famiglia seria e timorata di Dio. Ma ciò che
più di tutto lo colpì furono quei quattro figli maschi di cui due grandicelli,
in età di prendere moglie!
Terminata la cena don Ferdinando e don Nicolò
si trasferirono nello studio dove al chiarore di un grosso candelabro,
l’anziano possidente (di che?) tirò fuori tutta la documentazione in suo
possesso ed espose i fatti accaldandosi non poco nell’evidenziare la prepotenza
del principe nel negare l’evidenza. Quasi con le lacrime agli occhi concluse.
“Don Nicolò, ho lavorato quasi tutta la mia vita per mettere a “coltura” la
“Gurra”, ho speso i risparmi miei e quelli di mia moglie, non ho letteralmente
niente, ma vi dico di più! Non ho neanche i soldi per affrontare la causa
compresi i soldi per il vostro onorario! Don Nicolò non giudicatemi male, ma
questa sera a cena ho visto i vostri figli…ebbene la mia proposta e semplicemente
nuda e cruda, non giudicatela oscena: accettate di patrocinarmi in questa causa
e se la vinceremo darò mia figlia in sposa ad uno dei vostri figli compresa
tutta proprietà della Gurra : Benedetto
Iddio …dovrà pur esserci un giudice a Madrid!!”
Si, in questo raro caso a Madrid, dove
arrivavano copiosi faldoni spediti dalla Santa Inquisizione, non solo c’era il
giudice ..ma anche la giustizia che diede ragione a don Ferdinando,il quale da galantuomo onoro il suo impegno
Ora, se vi trovate a percorrere la ss. 115 da
Menfi a Castelvetrano poco prima del bivio per Montevago, rallentate. Potete
osservare sulla vostra destra maestosi ulivi secolari sparsi che si estendono
verso nord …..sono i coprotagonisti di questa storia.
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