Giuseppe Bivona
“Il medico sta male se nessuno sta male”
“I fattori comuni che hanno dominato l’evoluzione
umana e prodotto l’Homo sapiens erano
pre-agricoli. Il mondo di vita agricolo ha predominato per meno dell’un per
cento della storia umana, e non c’è nessuna prova di mutamenti biologici importanti
durante quel periodo di tempo… l’origine di tutte le caratteristiche
comuni va cercata nei tempi pre-agricoli.
I primi gruppi di umani vivevano a stretto contatto con la natura, si
spostavano in continuazione per non rimanere
a lungo in contatto con i loro escrementi, cosi da ridurre sensibilmente
le malattie parassitarie. Avevano a disposizione un’ampia varietà di cibo fresco. I piccoli
gruppi vivevano dispersi in un’ampia area cosi da impedire o prevenire
la diffusione di malattie da una
località ad un’altra. In poche parole i gruppi di umanoidi erano cosi piccoli
da impedire lo sviluppo di una popolazione di parassiti legati a malattie infettive.
Tipico è il caso del morbillo che si diffonde solo e solamente in una
popolazione che superi abbondantemente le 500.000 unità. Bisognava quindi che i
parassiti, per installarsi in un ambiente, interferiscano con gli ospiti non umani, tipo la peste bubbonica dei roditori, o la febbre gialla e la malaria delle scimmie,
o l’idrofobia dei pipistrelli. Una volta che abbiamo distrutto l’habitat degli animali ospiti e modificato
l’equilibrio, i microrganismi collegati si sono rapidamente trasferiti negli
esseri umani. Così la zanzara anofele, che originariamente colpiva le
scimmie provocando blande reazioni, a
seguito dell’abbattimento delle foreste dovette trovare altri ospiti e quelli più disponibili erano gli esseri
umani. Nel modificare il nostro habitat
di vita abbiamo fornito una condizione ideale per lo sviluppo dei
parassiti. Tipico è il caso del
diffondersi della schistomatosi e della malaria, a seguito degli impianti
d’irrigazione nei paesi caldo aridi.
“Costruendo dighe e canali d’irrigazione per alleviare la fame
nel mondo, l’uomo ha creato le
condizioni ideali per la diffusione
della malattia”( WHO).
In generale l’ambiente in cui viviamo si è allontanato
sensibilmente e sempre di più da
quello al quale siamo stati adattati
dalla nostra evoluzione, costringendoci a conurbazioni “innaturali”.
Mangiamo cibi
coltivati e prodotti con processi
innaturali, facendo uso di sostanze chimiche: “ormoni, antibiotici, pesticidi, diserbanti,
nematocidi ecc.” i cui residui si trovano
in tutti i prodotti
alimentari attualmente in commercio.
Inoltre questi alimenti vengono sempre più spesso trasformati dalle grandi fabbriche, col risultato che la loro struttura molecolare è talmente
diversa da quella dei cibi a cui ci
siamo adattati nella nostra evoluzione
da non essere “riconosciuti”, con grave danno al nostro metabolismo. Beviamo
acqua contaminata da metalli pesanti,
sostanze chimiche organiche di sintesi, pesticidi compresi, che nessun impianto
di depurazione riesce efficacemente ad eliminare. Respiriamo aria inquinata da
piombo derivante dal petrolio, particelle di amianto, monossido di carbonio e
ossido di azoto dei gas di scarico delle
macchine, e altro ancora proveniente dalle ciminiere industriali.
Non è un caso che in queste condizioni oggi soffriamo di una nuova gamma di malattie, totalmente
sconosciute ai popoli primitivi, ma la cosa più sorprendente è che l’incidenza di queste malattie seguono in proporzione la crescita del Pil.
Queste malattie vengono chiamate “malattie della
civiltà”, come le
ulcere gastriche, malattie cardiovascolari, obesità, diabete ecc. ecc .
Abbiamo perso il lume della ragione semplicemente perché non sappiamo affrontare le cause, e ancora
più grave è che in nome del progresso e del benessere accentuiamo quelle
trasformazioni che per loro natura si scostano sempre più da quelli
alle quali siamo stati adattati.
Nutriamo una cieca fede nell’onnipotenza della scienza
e della tecnologia, che vengono propinati come dono dell’infinita adattabilità.
Ma il vero adattamento deve riferirsi
alle trasformazioni che reagiscono alle discontinuità, creando le condizioni che
ne riducano l’incidenza e la gravità, invece che limitarsi a eliminare i
sintomi. Prendiamo l’esempio della carie dentaria:
Gli uomini primitivi nel complesso avevano un’ottima
dentatura, poi con lo sviluppo economico lo stato dei denti è peggiorato. Oggi
siamo generalmente d’accordo sul fatto
che questa epidemia è il risultato del mangiare robaccia, cibi spazzatura come
dolci, biscotti, tortine, brioscine, pane bianco ecc. L’unica vera seria
risposta adattativa per affrontare il problema consiste nel far si che la gente, e in particolare i
bambini, cambino dieta. Tuttavia è lontanamente immaginabile che la moderna
società industriale, che vede tutto in termini di vantaggio economico a breve tempo, possa ridurre o annullare la vendita di questi
prodotti alimentari. Essa deve perciò adottare una strategia diversa, ovvero ricorrere ad una quantità di
dentisti che estraggono denti
guasti e li sostituiscono con denti
falsi. Una strategia come tante altre che serve ad aumentare l’attività
economica, ma non a risolvere il
problema della salute dei denti. E’ quello che Boyden definisce uno “pseudo adattamento“ ovvero un modo singolare
di non affrontare le cause della malattia, ma solo mascherare i sintomi.
Curare sistematicamente i sintomi della malattia
invece che eradicarla, significa fornire
costosi trattamenti tecnologici ed
ospedalieri a uso intensivo per orde di
persone che inevitabilmente si ammalano
in un ambiente sempre più insalubre.(continua)
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