martedì 18 febbraio 2025

𝐂𝐨𝐦𝐮𝐧𝐢 𝐚 𝐟𝐢𝐚𝐧𝐜𝐨 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐌𝐨𝐛𝐢𝐥𝐢𝐭𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝟐𝟎𝟐𝟓


𝐂𝐨𝐦𝐮𝐧𝐢 𝐚 𝐟𝐢𝐚𝐧𝐜𝐨 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐌𝐨𝐛𝐢𝐥𝐢𝐭𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝟐𝟎𝟐𝟓: 𝐬𝐨𝐬𝐭𝐞𝐠𝐧𝐨 𝐜𝐨𝐧𝐭𝐫𝐨 𝐥𝐚 𝐜𝐫𝐢𝐬𝐢 𝐫𝐮𝐫𝐚𝐥𝐞 𝐞 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐞 𝐦𝐚𝐫𝐢𝐧𝐞𝐫𝐢𝐞

Il Sindaco di Vittoria, in qualità di Presidente della Rete dei Municipi Rurali, ha inviato un appello ai Sindaci italiani affinché sostengano la mobilitazione del Consiglio Unitario della Mobilitazione 2025.

Il Coordinamento del Consiglio Unitario sta lavorando sul territorio per stimolare consigli comunali e sindaci a offrire spazi di confronto per agricoltori e pescatori, oltre a partecipare alla grande manifestazione del 19 marzo in Campidoglio.

 


Cari Sindaci,

in questi tempi difficili, il nostro Paese si trova ad affrontare una crisi che sta colpendo in modo devastante il comparto agricolo e della pesca. I nostri agricoltori e pescatori, pilastri fondamentali della nostra economia e della nostra tradizione, stanno lottando contro un insieme di sfide che minacciano non solo la loro sopravvivenza, ma anche quella delle comunità locali che dipendono da loro.

Gli effetti di eventi climatici estremi, l’aumento dei costi di produzione, le difficoltà legate al mercato e la concorrenza globale, mettono in ginocchio settori vitali per la nostra sicurezza alimentare e per la preservazione delle tradizioni culturali e territoriali. La pesca e l’agricoltura infatti sono settori che non solo forniscono cibo, ma preservano il nostro paesaggio e le nostre tradizioni, mantenendo vive le radici di tanti territori italiani.

È per questo che oggi facciamo un appello alla Vostra solidarietà e al Vostro impegno. Come Sindaci, rappresentanti delle nostre comunità, siamo chiamati a svolgere un ruolo fondamentale nel sostenere i nostri concittadini e difendere un comparto che, nonostante le difficoltà, continua a contribuire alla nostra economia e identità nazionale.

In questo momento, fin dal 28 gennaio 2025, vi sono in corso mobilitazioni degli agricoltori e dei pescatori per denunciare le crisi e per chiedere misure straordinarie per invertire la tendenza e salvare le piccole e medie imprese produttive tanto importanti per il Paese e la tenuta dei nostri territori e delle nostre comunità.

Vi invio il documento di convocazione della mobilitazione prodotto dal Consiglio Unitario della Mobilitazione cui come comune abbiamo espresso l’adesione con delibera e il testo stesso della delibera che abbiamo adottato come Comune di Vittoria in cui annunciamo la partecipazione alla manifestazione a Roma (che si terrà il 19 marzo 2025) e che vi invitiamo ad adottare con atti simili in modo da sostenerne le ragioni e il percorso.

Vi invio, anche, la lettera aperta proposta dalla Rete dei Municipi Rurali al Presidente della Repubblica ed alle massime cariche del Governo Nazionale per sollecitarli ad intervenire su cui è in corso una petizione popolare con raccolte firme online e ai banchetti che il Consiglio Unitario sta predisponendo

In particolare Vi chiediamo di esprimere con un atto deliberativo:

1.    l’adesione formale alla richiesta di dichiarazione dello “stato di crisi socio-economica del settore”;

2.    la partecipazione attiva alla manifestazione promossa dal Consiglio Unitario della Mobilitazione 2025 convocata a Roma per il 19 marzo, come a quelle che le Associazioni di categoria vorranno mettere in atto.

Vi esortiamo a farVi, assieme a noi, promotori di politiche locali e regionali a sostegno dell’agricoltura e della pesca, chiedendo alla Regione e al Governo misure concrete per aiuti anche mettendo in campo aiuti economici immediati per fronteggiare i danni legati ai cambiamenti climatici, alle perdite di raccolti e all’aumento dei costi di produzione
e perché si dispieghino misure di sostegno a livello comunale e regionale per gli operatori agricoli, zootecnici e della pesca oltre che a sollecitare la messa in campo di piani di formazione e innovazione, per migliorare la competitività e la sostenibilità dei settori agricolo e della pesca.

Confidando sulla Vostra responsabilità di amministratori, Vi prego, di inviare la delibera (e/o gli atti che vorrete assumere) all’indirizzo sindacopresidente@municipirurali.it in modo che se ne possa avere pubblica contezza pubblicandola e inviarla per conoscenza alle Regioni ed al Governo.

Vi auguro buon lavoro e vi do conto che sarà nostra premura di inviarVi le coordinate operative e le modalità di partecipazione della Manifestazione Nazionale a Roma del 19 marzo che, fin d’ora, prevede la partecipazione dei sindaci. Degli amministratori e dei consiglieri dei Comuni che avranno adottato gli atti deliberativi. In quella sede, fra l’altro, verrà avanzata una proposta di dare stabilità alla Rete dei Sindaci e dei Comuni in Difesa delle Aree rurali e delle Comunità di Marineria in modo da poter sviluppare una iniziativa costante a tutela delle nostre comunità oltre che del diritto al cibo ed al territorio per tutti i cittadini.

Con fiducia.

On.le. Prof. Francesco Aiello
Sindaco Presidente della Rete dei Municipi Rurali

ISTRUZIONI OPERATIVE PER LA MOBILITAZIONE DEI SINDACI A SOSTEGNO DELLE INIZIATIVE DEL CONSIGLIO UNITARIO

 

Il gruppo di Coordinamento del Consiglio Unitario raccoglie le segnalazioni dei territori e, di concerto con la Rete dei Municipi Rurali:

 

invia ai Comuni una pec di invito a partecipare alla Campagna indicando i contatti con i referenti territoriali

invia ai sindaci la Documentazione che viene allegata insieme all’invito firmato dal Sindaco Presidente della Rete dei Municipi Rurali e i riferimenti utili per approfondire i temi

raccoglie le delibere e gli atti istituzionali prodotti ed adottati dai Comuni e/o da altri Enti territoriali (Consorzi di Comuni, Province, ecc..)

Pubblica nella pagina dedicata l’elenco degli Enti che hanno aderito

Informa i diversi Comuni interessati dello sviluppo delle iniziative

Promuove iniziative di divulgazione e diffusione

 

https://coapi.sovranitalimentare.it/download/delibera-del-comune-di-vittoria/

 






 


giovedì 13 febbraio 2025

Le viticolture, tra utopie e realtà

                                                            NinoSutera

Convivono nell’isola due viticolture una da reddito e una di sussistenza,  in perenne crisi

La “cultura” della vite, in Sicilia, trae origine da conoscenze e saperi antichi e investe aspetti sociali, economici ed ambientali di eccezionale importanza; le specificità territoriali, la natura dei suoli, il clima e le genti, trovano poliedriche espressioni e caratteristiche variegate, contribuendo a costituire una piattaforma produttiva vasta e multiforme. 

 
La storia della vitivinicoltura siciliana, e le dinamiche che hanno dapprima posto la Sicilia al centro degli scambi e dei commerci nel Mediterraneo, e successivamente hanno visto alternarsi, periodi floridi, densi di scambi con i diversi popoli europei, a periodi di profonda crisi strutturale, come dimostrano la distillazione obbligatoria e per conto, l'abbandono definitivo della superfice vitata, la vendemmia verde, a queste vanno aggiunte le avversità climatiche e patologiche.
Senza orma di smentita convivono   due viticolture, una da reddito e una di mera sussistenza. La prima non è frutto del caso, ma scaturisce da precise strategie commerciali facilmente deducibili dal documento pubblico  relativo agli importatori e distributori di vino nel mondo,  che se pur riferito al 2012 fornisce un esauriente spaccato della rete commerciale che le aziende private, sono stati capaci di costruire, fornisce inoltre, senza ombra di smentita un conflitto di interesse che ha pregiudicato, condizionato e affossato il futuro di intere generazioni, per essere generosi.                                    La seconda, la viticoltura di crisi,   confinata alle  cooperative, che se pur intercettano grande masse di prodotto, sono pressochè assenti dalla rete mondiale di distribuzione del vino che conta. La crisi è stata ulteriormente aggravata dalle criticità emerse negli ultimi tempi, ecco perchè è facile attraversare territori vitati, e osservare tutta la manifestazione della crisi, in distese di vigneti abbandonati. Certo va anche aggiunto che chi è stato capace di conquistarsi fette del mercato nazionale e  mondiale del vino all'inizio di questo millennio, o forse anche prima, non ha nessuna intenzione di condividerla con nessuno, se a questo aggiungete anche la riduzione dei consumi, ne viene fuori una situazione irreversibile. La realtà è che  la crisi ha radici antiche si,  ma anche ben precise responsabilità. 
L'incapacità di sapersi adeguare ai cambiamenti dei tempi in cui viviamo,  cosa che hanno saputo fare cantine  del centro e nord Italia,   i conflitti di interessi  o presunti tali, hanno fatto il resto,  un accurata analisi darebbe  meglio l'idea dell'origine della crisi. Nei piccoli centri agricoli, che stentano a divenire  aree rurali di successo, collettivo e diffuso, difficilmente si riesce ad affrontare un confronto consapevole sui motivi della crisi, si preferisce dividersi sul sesso degli angeli, oppure alla ricerca di informazioni sull'archeologia storica, che assumere e sostenere un processo di autocritica sull'intreccio politico-imprenditoriale, che visto i risultati  non  ha saputo, ne tracciare un percorso lungimirante, ne intravedere scelte profondamente errate, che hanno determinato lo stato di crisi attuale. Spesso le due viticolture, quella da crisi e quella da reddito e di crescita (basterebbe analizzare a caso, due bilanci  quello del 2000 e quello del 2024 di qualsiasi cantina sociale e cantina privata,  i   numeri rendono sempre meglio l'idea)  convivono pacificamente, anzi a volte i motivi della crisi vengono individuati addebitati,  a una imprecisata maledizione divina, più che terrena. 
Insomma nei centri agricoli, che stentano a divenire  aree rurali di successo per tutti, e non solo per qualcuno, ha prevalso e forse prevale ancora oggi, il pensiero dominate, "non disturbate i manovratori". 
Sembrerebbe ispirato e sostenuto, da un filo conduttore che unisce due affermazioni, poco felici, per essere generosi,  la prima recentissima di qualche mese addietro  " per fortuna la siccità ha colpito solo il sud e sopratutto la Sicilia"  a un' altra affermazione, qualcuno ricorderà vagamente, molto datata nel tempo" la migliore uva la vinifichiamo nella nostra cantina, per il resto c'è sempre la cantina sociale........" 
E' fu così, che quello che era stato definito un promettente distretto vitivinicolo d'eccellenza, non c'è più traccia, ma  neanche nelle ricerche del web. E' l'agricoltore? è stato spettatore passivo, alcuni hanno ceduto i  diritti al reimpianto, altri hanno sostituito i vigneti con nuovi impianti di uliveto, a testimonianza del fatto che, si hanno capito, ma ancora una volta non sono stati capaci di ribellarsi!
     Ogni riferimento a cose e fatti è puramente casuale, un racconto  fantasioso di un qualsiasi piccolo centro agricolo, che immerso in un profondo sonno non ha nessuna intenzione di svegliarsi,   ognuno è libero di ambientarlo dove  vuole, ma chi conosce fatti e circostanze, sa dove di preciso, ...nel paese dei balocchi...

 

domenica 9 febbraio 2025

In ricordo di Peppino Bivona

 

Rino  Bonomo

già dirigente della Sezione Operativa di Marsala

                    Il 31 gennaio di quest’anno, su invito dell’amico e collega Nino Sutera, ho partecipato all’evento “Il cibo della Valle del Belice”, dedicato alla memoria di Peppino Bivona. L’evento è stato caratterizzato  dal  monologo “Storie di uomini, di terra e di radici”, interpretato dal giornalista, attore e drammaturgo Pino Petruzzelli. Attraverso il suo racconto, Petruzzelli ha saputo evocare storie che rispecchiavano  la visione umana di Peppino e  il suo profondo  legame con l’ambiente, le tradizioni e la cultura del territorio, rendendo la sua presenza quasi tangibile. Ho conosciuto Peppino nel 1976, quando insieme abbiamo iniziato la nostra attività di divulgatori agricoli presso l’Ente di Sviluppo Agricolo (ESA). Erano anni di cambiamento: l’Ente, dopo aver esaurito i suoi compiti istituzionali, attraversava un periodo di immobilismo. Tuttavia, gli amministratori dell’epoca ebbero la lungimiranza di rilanciarne il ruolo, affidandogli nuovamente la missione che aveva avuto in passato con la redazione del Piano Regionale e dei Piani Zonali di Sviluppo Agricolo. A tal fine, furono assunti giovani tecnici con il compito di studiare il settore agricolo del territorio e favorirne l’ammodernamento, introducendo nuove tecnologie e promuovendo la qualificazione professionale degli agricoltori. 

Operare in quel contesto non era facile, ma eravamo animati da entusiasmo e spirito innovativo. Ogni difficoltà era affrontata con determinazione, grazie anche allo scambio di esperienze e conoscenze durante le riunioni tecniche periodiche presso la sede centrale dell’ESA. Fin da subito, Peppino si distinse per la sua grande competenza e per la passione con cui affrontava  ogni  sfida. I suoi interventi erano  sempre ricchi di contenuti, capaci di stimolare il dibattito e arricchire la conoscenza di tutti.                            

Con l’emanazione della legge regionale sull’assistenza tecnica agricola e l’istituzione delle Sezioni Operative (1979), a molti di noi fu affidata la direzione di una Sezione operativa. Peppino, invece, fu incaricato di dirigere il Campo Carboj di Menfi, trasformandolo in pochi anni in un centro di ricerca applicata di grande rilevanza, con studi innovativi sulla frutticoltura e l’olivicoltura.                                                         

 Tra le iniziative realizzate nel settore frutticolo si  ricordano:

- Gestione del progetto MIPAF “Liste varietali e valutazione portinnesti” con la collaborazione scientifica dell’Istituto Sperimentale per la Frutticoltura di Roma (Prof. Carlo Fideghelli) e del Dipartimento di Coltivazioni Arboree dell’Università di Palermo (Prof. T. Caruso);

- Osservazione e valutazione delle seguenti specie fruttifere: pero, nashi, susino, pesco, nettarine, percoche e albicocco;

- Campo dimostrativo di diverse cultivar di nespolo e loro valutazione agronomica, produttiva e merceologica in collaborazione con il Dipartimento di Coltivazioni Arboree dell’Università di Palermo (Prof. F. Calabrese);

- Campo confronto varietale di fico con relative forme di allevamento in collaborazione con l’Università di Palermo (Prof. Francesco Calabrese);

- Valutazione dei portinnesti del pero ed albicocco in collaborazione con il Dipartimento di Coltivazioni Arboree dell’Università di Pisa (Prof. Loreti);

- Gestione e valutazione di un modello produttivo di fruttiferi (pesco, susino e pero) in regime di coltivazione biologica ed a basso impatto ambientale;

- Raccolta, conservazione e valutazione delle diverse cultivar di pero coltivato in Sicilia (germoplasma siciliano pero) in collaborazione con il Dipartimento di Coltivazioni Arboree dell’Università di Bologna (Prof. S. Sansavini

Nel settore olivicolo, Peppino fu tra i principali esperti regionali, occupandosi di tante iniziative, tra cui:

- Gestione e valutazione di un modello produttivo di oliveto in regime di coltivazione biologica ed a basso impatto ambientale;                        

- Campo dimostrativo di confronto tra 8 cultivar di olive da mensa più diffuse a livello mondiale e valutazione del prodotto lavorato in collaborazione con il Dipartimento di Coltivazioni Arboree dell’Università di Palermo (Prof. T. Caruso);

-  Raccolta identificazione, valutazione e descrizione del germoplasma olivicolo regionale; analisi chimica e valutazione sensoriale degli oli prodotti e loro caratterizzazione; catalogo delle cultivar di olivo raccolte presso l’az. Campo Carboj. Progetto Interregionale Assessorato Agricoltura e Foreste, con la collaborazione del Dipartimento di Coltivazioni Arboree dell’Università di Palermo (Prof. T. Caruso);

- Molitura ed estrazione olio da diverse cultivar di olivo (molitura monovarietale in purezza) con il mini-frantoio in dotazione all’azienda e valutazione analitica e sensoriale degli oli del germoplasma siciliano provenienti da olive intere e denocciolate in collaborazione con l’Assessorato Regionale Agricoltura e Foreste (U.O.S. n. 78 di Sciacca);

Dopo il pensionamento, Peppino non smise mai di impegnarsi per la cultura e il territorio. Con Nicola Cacioppo, Nino Sutera  e Nino Alesi fondò la Libera Università Rurale dei Saperi e dei Sapori, proseguendo la sua missione di divulgazione.

Tra le sue pubblicazioni ricordiamo “Diario dell’Ulivo Saraceno” (2018), “Chicco di Sole” (2021) e “Il Sole nel Bicchiere, Menfi e il suo territorio”.300 post e tantissimi interventi divulgatori.  La sua opera ha contribuito in modo significativo alla valorizzazione del patrimonio agricolo e culturale della Sicilia

 La sua scomparsa ha lasciato un vuoto incolmabile tra amici, colleghi e nella comunità culturale, ma il suo spirito continuerà a vivere attraverso le sue opere e il suo insegnamento. Come lui stesso scriveva, “una vita umana pienamente vissuta, animata da passioni, operosa, eccedente la vita stessa… non muore!”.

E Peppino continuerà a essere presente nei ricordi e nell’eredità che ha lasciato.

 


venerdì 7 febbraio 2025

medico e l’ortolano

Peppino Bivona            Belice di Mare   Luglio  2024

                   


    Il dott.  Manfredi P ,  come tutti i pomeriggi ,  nelle belle giornate,  era solito farsi la sua “brava” passeggiata,  nel   tratto di marciapiede  che interessava tutto lo spazio prospiciente il suo immenso palazzo: benché fuori …. si sentiva a casa sua!

 Maria, la domestica di casa ,era uscita di corsa dal cortile, lo vide e con passo veloce lo raggiunse :” Dottò ,è finita la bombola”! Il vecchio medico restò interdetto, scrutò velocemente la sua memoria e sorpreso aggiunse: “ Ma come? Non l’avevamo comprato tre anni fa prima di Pasqua? Possibile che sia durata meno di tre anni!”

Maria , che conosceva quanto fosse diffidente ,rispose che trattasi di

 bombola piccola, è in casa con quattro persone e un inverno rigido, era naturale che si consumasse. Ma il dottor Manfredi , non era del tutto convinto , e poi, non erano argomenti da trattare  in mezzo alla strada: ne avrebbero discusso in casa con la moglie e il figlio!. Ora, dovete sapere che il dottore  era si, tirchio , ma questa faccenda della bombola non c’entra con l’avarizia . E allora direte voi? Ebbene il nostro dottore dopo una lunga esperienza di medico condotto , e attenta osservazione di molti processi patologici,era arrivato alle conclusioni che per stare bene….  ed in salute, bisognava alimentarsi con prodotti  naturali vegetali e….crudi! Ecco perché, contrariamente alle malelingue e alle maldicenze dei paesani, la fine “precoce” della bombola lo colse di sorpresa!  Ma  il popolino, si sa ,ha una vocazione naturale per il  pettegolezzo . Possibile, si chiedeva, che con tutti i soldi che ha sparse per le banche,  la sua tavola fosse imbandita( si fa per dire!) di insalata , frutta, poco pane ,ancor meno pasta, quasi fosse un pasto per gli orfanelli al “ Boccone delpovero”?!  Della sua importante “scoperta” il nostro medico non amava parlarne con nessuno , aveva poca stima dei suoi paesani , anche perché qualsiasi tentativo di persuasione cozzava con la loro secolare, atavica fame, si fame vera, di ..carne…. pesci….dolci.! Se ne sarebbe parlato tra un paio di generazioni. Almeno!

Una scena familiare e  puntualmente rituale, vedeva la mattina  presto ,intorno alle otto, scendere di casa il dottore, vestito di tutto punto, come dovesse recarsi ad una serata di gala, accompagnato da Maria che lo seguiva  a poca distanza con una capace borsa di vimini da spesa , aggirarsi tra le cassette di frutta e verdura nel negozio della “Belladonna”.

Distava pochi metri  dal palazzo P. si apriva nel breve tratto iniziale di via Mazzini. Le mattine erano tutte  animate : tutti aspettavano  le “ delizie  dell’orto”. Pareva che si desse l’appuntamento con “lu zu Jacu “ o “lu zu Ciccu”, due ortolani che la mattina salivano con i loro asini stracarichi di ogni ben di Dio: Pomidoro, lattughe , laginaria,sedano,carote peperoni ,zucchini … insomma  un caleidoscopio di forme e colori che sapientemente  solo donna Maria detta la “Belladonna” sapeva  esporre con arte e maestria

.Manfredi si fermava a parlare con i due ortolani, si informava delle varietà di ortaggi, preferiva le lattughe violacee, le zucchine verdi ,i peperoni gialli , i pomodori rosso intenso. Qualche volte , riferivano i due ortolani, faceva richieste “strane” , cercava dell’erba come la portulaca( purciddana) o germogli teneri di farinaccio ( chenopodium album).

 A detta di Maria, la domestica, le mescolava nell’insalata!

Passano gli anni ormai il nostro dottore era divenuto molto vecchio , aveva quasi novantacinque anni,le passeggiate divenivano più rare, camminava con difficoltà, perciò si sedeva al tavolo del bar di Dorino ordinando il solito…. bicchiere d’acqua.

Fu un tardo pomeriggio di fine primavera che il nostro dottore osservava il lento ed inesorabile calare del sole all’orizzonte, vide forse la sua vita che volgeva al “tramonto”: chissà, se domani avrebbe rivisto la scena!

Qualcuno passando, nel salutarlo e complimentandosi della buona salute,le chiedeva come facesse a mantenersi sano e in …forma

Così con un piglio  tutto vegliardo , decise di esternare al popolino, sempre più rimpinzato di ogni ben di Dio, ma  rimasto profondamente ignorante , il suo “ testamento” di medico di paese, a futura memoria ,  perché , un giorno non si dica che in questo paese erano tutti  dei ….“grassi” ignoranti!

Intorno si era raccolta una moltitudine di persone , curiose di    comprendere come fosse arrivato a quella veneranda età senza quasi mai ammalarsi .

 Riportiamo per brevità una sintesi del suo discorso.

“ Miei cari  concittadini, non ho alcun segreto da svelare, lo “stato”  di salute  e di benessere dipende da voi dal vostro modello di  alimentazione e dal vostro stile di vita. Voi tutti quando siete a tavola commentate le pietanze se sono gustose o insipide, dolce o amare  ,acidule o salate,  sono sensazioni olfattive e in particolar modo gustative:ognuno ha poi le sue preferenze.  Ma avete chiesto al vostro fegato, al vostro pancreas, ai reni o in genere al  vostro apparato digerente cosa ne pensano di quello che mandate giù? . Io nella mia vita ho dato più ascolto a “questi”  e non alla “gola”! Ora vi dirò una cosa che vi lascerà stupiti  : I cibi crudi sono più digeribili di quelli cotti!

Vi spiego il perché: i cibi crudi ( tranne rare eccezioni) sono più ricchidi enzimi necessari  a digerirli  o a pre-digerirli, ogni alimento fornitoci da madre natura  ha in se una sufficiente dotazione  di sostanze per una perfetta digestione. Cosa accade con la cottura? Avrete distrutto o ridotto questo corredo, perciò il nostro organismo è chiamato a fornire incessantemente gli enzimi per procedere alla digestione. In natura l’unico animale che si ciba di alimenti cotti è l’uomo . Eppure all’apice dell’evoluzione  troviamo l’uomo e i …fruttiferi, non è un caso!”

 

mercoledì 5 febbraio 2025

Il conflitto tra agroindustriali e contadini/agricoltori

 Bisogna saper comprendere le differenze, per capire il conflitto.



Chi sono? Non sono contadini. Infatti, li chiamate agricoltori,


 ma fareste meglio a chiamarli agroindustriali perché 


questo sono la maggior parte dei proprietari o affittuari 


 

di terre agricole nell’Europa occidentale.







CHI SONO?

Non sono contadini. Infatti, li chiamate agricoltori, ma fareste meglio a chiamarli agroindustriali perché questo sono la maggior parte dei proprietari o affittuari di terre agricole nell’Europa occidentale.
Cosa fabbricano gli agroindustriali europei? Ecco qualche esempio: in Francia 12 milioni di maiali; in Germania 21 milioni di maiali, 11 milioni di bovini, 160 milioni di polli, in Italia 71 milioni di polli, in Spagna 34 milioni di maiali, nella piccola Danimarca 33 milioni di maiali… (1) e potremmo andare avanti ancora a lungo elencando milioni e milioni di animali per il novanta e passa per cento prigionieri degli allevamenti intensivi: inquinanti, energivori, sovvenzionati, oltre che inumani.
Tutti questi milioni di vittime innocenti dell’agroindustria ci danno, ovviamente, da mangiare, come dicono gli agroindustriali ribelli, se non ce ne frega niente delle povere creature torturate e se non abbiamo paura di imbottirci di antibiotici, ormoni, mais e soia OGM con cui vengono nutriti quotidianamente. Però, di queste centinaia di milioni di corpi noi ne mangiamo solo una piccola parte: teste, zampe e interiora nutrono i nostri cani e gatti e, in forma di farine animali, gli stessi prigionieri degli allevamenti intensivi.
Questa è una delle “filiere” dell’industria agricola, che nell’Unione Europea riceve circa 30 miliardi l’anno di sussidi. A proposito di concorrenza sleale. E faremmo bene a ricordarci che quei trenta miliardi arrivano dalle nostre tasche: dalle tasse dei cittadini europei.
Un altro esempio della stessa “filiera” industriale: oltre il 63 % delle terre coltivate nell’Unione Europea produce mangime per i prigionieri dei lager intensivi, detti allevamenti; l’82% del mais prodotto in Italia diventa mangime per gli allevamenti intensivi. (2)
Quanto tempo è che non mangiate un piatto di polenta? E vi siete mai chiesti a cosa servano quelle distese infinite di mais, quando attraversate la pianura padana? A nutrire, per esempio, vacche da latte che producono cinquanta-sessanta litri di latte al giorno, chiuse nei capannoni, con mammelle ipertrofiche e che, quando partoriscono, non fanno nemmeno in tempo a vedere il proprio vitello, il quale viene immediatamente spostato in una gabbia e nutrito con latte artificiale per il tempo (poco) necessario perché sia pronto ad andare al macello e diventare fesa o arrosto di vitello, o a partire su un camion per essere trasferito nel capannone di un altro Paese, dove verrà ingrassato fino al peso considerato redditizio per un manzo e poi riprenderà il lungo viaggio di ritorno verso il macello del Paese dove è nato.  
Magari non lo sapevate.

CI DANNO DA MANGIARE O DA BERE?
In Italia ci sono 674.000 ettari di vigna e solo 400.000 ettari di ortaggi. Ma non perché noi italiani si beva più di quanto si mangi, è perché esportiamo ogni anno 22 milioni di ettolitri di vino (2 miliardi e 200 milioni di litri) (3)
Vendiamo Prosecco ai cinesi, Chianti ai tedeschi, agli statunitensi, agli australiani…
Per quelle vigne sono state sventrate colline, distrutti boschi e terrazzamenti, spiantati oliveti e frutteti: tutte coltivazioni che davano davvero da mangiare, boschi che nutrivano la terra e mitigavano il clima, terrazzamenti che impedivano l’erosione dei suoli. Ma non permettevano le lavorazioni veloci con pochi lavoratori e grossi macchinari; lavorazioni fatte in moltissimi casi dalle aziende agromeccaniche che, vedremo dopo, fanno anch’esse parte della categoria “agricoltura”. A proposito del cibo-vita.
Poi importiamo patate dall’Argentina e aglio dall’Egitto, olio dalla Tunisia… Ogni anno importiamo tra i 5 e i 7 milioni di tonnellate di patate (7 miliardi di chili) e 1 milione e mezzo di tonnellate di ortaggi. (4)
E’ vero che in molti casi si tratta davvero di concorrenza sleale, perché buona parte di queste merci arriva a prezzi infimi da paesi dove i lavoratori sono meno che schiavi, ma… la stessa cosa vale per la soia e il mais importati e comperati dagli “agricoltori” europei per nutrire i prigionieri degli allevamenti intensivi.

CONCORRENZA SLEALE?
Per la filiera allevamento intensivo degli agroindustriali Europei, in prevalenza occidentali, in Europa si importano ogni anno 11 milioni di tonnellate di mais, 36 milioni di tonnellate di soia. In Italia si consumano 10.000 tonnellate AL GIORNO di soia OGM importata e 100.000 tonnellate all’anno di mais OGM importato. (5)
Ma queste importazioni, di prodotti OGM che vengono da paesi come il Brasile o l’Argentina, dove non solo gli operai agricoli non sono tutelati da nessun punto di vista, né salariale né sanitario, ma dove spesso si sono bruciate foreste e anche villaggi indigeni, deportandone la popolazione e uccidendo chi si ribellava, per coltivare soia e mais OGM su spazi immensi, non sono messe in discussione dagli industriali agricoli, detti “agricoltori”. Tutta questa “agricoltura” del terzo mondo serve a nutrire maiali, vacche, polli “fabbricati” nei capannoni.
Per questa industria agricola l’ideale non è la piccola azienda, che infatti sta scomparendo in Europa occidentale; l’ideale è la medio-grande e la grande, che si sta ingrandendo sempre più e che riceve la maggior parte dei sussidi e degli incentivi.
A proposito di concorrenza sleale.

IL GASOLIO E’ COME IL PANE
Per chi? Non per il piccolo contadino biologico che, per coltivare qualche ettaro di frutteto o oliveto, di patate o di cereali e un orto, o allevare cento galline ruspanti, di gasolio ne consuma ben poco, e a volte rinuncia anche ai sussidi perché trova troppo onerose le regole burocratiche per accedervi.
Il gasolio agevolato è fondamentale per le industrie agricole, che ne consumano tonnellate ogni mese, e che delle regole burocratiche non se ne preoccupano perché hanno uffici e dipendenti che possono pensare anche a quello.
Tra queste imprese ci sono quelle denominate “agromeccaniche”. Chi sono costoro?
Sono imprese che, con enormi trattori, scavatori, ruspe, mietitrebbia e altri macchinari (sovvenzionati dagli Stati e dal superstato Unione Europea) lavorano temporaneamente o permanentemente le terre appartenenti ad altri, che però risultano, come loro, “agricoltori”.
In Italia, ce lo dicono gli stessi agromeccanici, i due terzi delle superfici agricole vengono lavorati da loro, e il 10 % (1 milione e 200.000 ettari) è affidato a loro permanentemente. Vi ricordo che un ettaro sono 10.000 metri quadri. In Italia queste imprese posseggono 75.000 trattori, e non sono trattori come quelli dei piccoli contadini. Dunque non ci meraviglieremo che nel nostro paese ogni anno vengano “agevolati” 2 miliardi di litri di gasolio. (6)
E poi la chiamano agricoltura! E parlano di concorrenza sleale!

SEMPRE A PROPOSITO DEL CIBO-VITA 
Adesso c’è anche l’agrivoltaico. Un’altra sovvenzionata opportunità per l’industria agricola. Nel 2021 in Italia c’erano già 152 chilometri quadrati (15.200 ettari, 152 milioni di metri quadri) di terre agricole rubate all’agricoltura ma considerate sempre agricoltura. E sovvenzionate. (7) 

COSA VOGLIONO? 
Vogliono i soldi e non vogliono limitazioni. 
Ci sarebbe molto da criticare nella politica agricola dell’Unione Europea ma questi ribelli, in parte in malafede e in parte strumentalizzati, criticano sostanzialmente quelle scarse e timide proposte che vanno nel senso di diminuire, di pochissimo, l’inquinamento causato dall’industria agricola.
I contadini, fino agli anni cinquanta, in Italia praticavano la rotazione nelle colture cerealicole, alternandole con leguminose e foraggio: i cereali impoveriscono il terreno, le leguminose lo arricchiscono. Gli agroindustriali rifiutano di mettere a riposo ogni anno il 4% del loro terreno seminativo.
In Olanda, un paese ricco con poco più di 17 milioni di persone, si allevano intensivamente 11.300.000, undici milioni e trecentomila!, maiali ed esiste il più grande allevamento di polli del mondo: un capannone grattacielo dove soffrono e muoiono 1 milione di polli, esseri viventi trattati peggio e considerati meno di quanto in un’industria manifatturiera vengano considerate le merci prodotte.
L’Olanda esporta la maggior parte dei prodotti agricoli che produce, domandatevi dunque da quali accordi commerciali internazionali si vogliano proteggere i finti agricoltori. I contadini in Olanda sono estinti da tempo e gli agroindustriali, detti “agricoltori”, sono ricchi, sono i più ricchi d’Europa, e il reddito medio, al netto delle spese e delle tasse, di un’azienda agricola olandese supera gli 80.000 euri l’anno. (8)
Nel 2020 nell’Unione Europea si consumavano 468.000 tonnellate di pesticidi, 468 milioni di litri di veleni a impestare terra, acqua e aria. Nel 2017 nei paesi dell’UE venivano sparse sui terreni 49.000 tonnellate di glifosato, sostanza cancerogena e gravemente tossica, che la Commissione Europea ha rifiutato di vietare, approvandone l’uso per altri dieci anni. (9)  Una vittoria degli agricoltori?
I quali vogliono che siano eliminati dalla PAC tutti gli scarsi divieti o limitazioni sull’uso dei pesticidi e diserbanti.
I ribelli sono contro la strategia dell’Unione Europea Dal campo alla forchetta (From farm to fork) che ambisce a raggiungere entro il 2030 lo scarso obiettivo del 25% di agricoltura biologica.
Gli agroindustriali francesi “ribelli” chiedono l’abolizione persino delle distanze di sicurezza dalle abitazioni per l’irrorazione dei pesticidi, vogliono riprendere a usare quei neonicotinoidi che sono stati provvisoriamente vietati perché uccidono le api e gli insetti impollinatori. (10)

CHI C’E’ DIETRO? E CHI C’E’ DAVANTI? 
Non per essere complottisti, ma la domanda chiave in ogni situazione politica è Cui prodest? e, dato che le più grandi venditrici di pesticidi e concimi chimici in UE sono le multinazionali Syngenta, Bayer-Monsanto, Corteva, BASF, sicuramente uno zampino le quattro, e tutte le altre del settore-veleni, ce lo stanno mettendo. Per le multinazionali si tratta davvero di vita o di morte, dato che perdere anche solo il 4% dei profitti significa perdere miliardi, e si sa quanto siano attaccate ai miliardi le multinazionali: i miliardi sono il loro cuore e le loro budella, e senza non possono vivere. Però, per avere la prova di chi c’è dietro, basta guardare chi c’è davanti.
Un esempio significativo, la Francia.
La più grande e grossa organizzazione francese degli agroindustriali, che sta promuovendo e organizzando le proteste è la FNSEA. Presidente della FNSEA è tale Armand Rousseau, padrone di un’azienda di 339 ettari , mentre la sua consorte è padrona di un’azienda di 700 ettari. E cosa producono in questi 1039 ettari il Rousseau Arnaud e consorte? Mangimi per gli allevamenti intensivi e biodiesel.
L’Arnaud si è laureato alla European Business School di Parigi (traduco: Scuola Europea di Affari-Finanza); è stato, tra l’altro, un finanziere in “valori agricoli”, e infine, sorpresa sorpresa!, è dirigente della multinazionale agroindustriale francese AVRIL, che si occupa di commerciare prodotti chimico-sintetici ed energetici, che produce 11 milioni di tonnellate di biodiesel con le colture che dovrebbero “darci da mangiare”, che ha lanciato la produzione di biodiesel da grasso animale (se dovesse svilupparsi, avremo gli allevamenti di animali da biodiesel), e che ha entrate annue di oltre 7 miliardi di euri. (11)
Un agricoltore?

E ALLORA? 
L’agricoltura industriale europea vuole che si proteggano i propri prodotti dalla concorrenza dei prodotti che arrivano dai paesi schiavi e subordinati, ma non vuole che vengano protetti i prodotti agricoli di quei paesi che servono alla loro “filiera”. Il pollimilionario olandese non ha mille ettari di seminativo con cui nutrire le proprie vittime pennute, i mille ettari sono in America Latina o forse in Asia o in Africa, dove i lavoratori sono pagati una cocuzza e così il mangime costa due cocuzze.
E’ indicativo e rivelatorio il fatto che coloro che minacciavano di galera operai, ambientalisti, oppositori della dittatura pandemica progettata dal Forum Economico Mondiale, se avessero bloccato le strade o manifestato senza autorizzazione, oggi inneggino ai blocchi stradali degli agroindustriali. Che sicuramente otterranno di poter inquinare come sempre, dato che le multinazionali dei pesticidi e del petrolio sono al loro fianco.
I piccoli e medi agricoltori, trascinati nella protesta dall’esasperazione per norme sanitarie e burocratiche studiate apposta per distruggerli, per i prezzi dei grossisti e della grande distribuzione che li strangolano, stanno dando fiato e corda proprio ai loro nemici. A coloro che hanno migliaia di ettari di terra e che non ricevono alcun danno da quelle norme che stanno strangolando i piccoli ma che, anzi, le hanno dettate ai governi per eliminarli, perché i piccoli e medi agricoltori sono loro concorrenti; a coloro che ottengono sgravi fiscali come società, fondazioni, multinazionali, cooperative fasulle create per sfruttare i dipendenti; a coloro che hanno in mano intere filiere dell’agroindustria e sono compartecipi della grande distribuzione; a coloro che la globalizzazione l’hanno voluta e perseguita per sfruttare uomini e terre del terzo mondo.
La vera minaccia per gli agricoltori europei è stata ieri l’eliminazione di quelle barriere doganali che proteggevano i loro prodotti, proteggendo nel contempo contadini e prodotti di Africa, Asia, America Latina. Ma quando i noglobal lottavano contro quella minaccia, gli agroindustriali erano dall’altra parte della barricata, le europee organizzazioni degli agricoltori erano assenti. C’erano i contadini del terzo mondo e le loro organizzazioni, a fianco degli ecologisti.
Le vere minacce oggi per l’agricoltura sono i cambiamenti climatici, la siccità, l’erosione dei suoli. Ma i “ribelli” lottano proprio contro quegli scarsi e insufficienti provvedimenti che puntavano a far fronte a tali minacce.
L’inevitabile crisi economica è alle porte e siamo nel pieno ormai della crisi ambientale. Il capitalismo non esiterà a strumentalizzare i problemi e i disagi di qualsiasi categoria per i propri interessi e scopi: non esita nemmeno a fomentare guerre. Del resto, lo ha sempre fatto e tanto più quando è in crisi, come ora.
Purtroppo, gli agricoltori dell’Europa occidentale ormai, nella loro maggioranza, dipendono dall’agroindustria e ne fanno parte: sono stati inglobati in un sistema perverso che li sfrutta ma che anch’essi utilizzano. Il capitalismo non ha morale, è un sistema amorale che ha l’unico scopo di accrescere illimitatamente il proprio profitto e il proprio potere ma, se si accettano le sue regole e si entra nel suo sistema, sperando di trarne vantaggio e diventando, inevitabilmente, amorali, non si può pretendere poi di moralizzare il sistema per i propri interessi, quando il vantaggio non c’è più.
La sopravvivenza dei piccoli e medi agricoltori può essere garantita solo se essi torneranno ad essere contadini, e non più industriali. Solo se usciranno dal sistema che li sta sterminando pur nutrendoli, come succede agli animali negli allevamenti intensivi. Questo significa convertirsi a metodi rispettosi dell’ambiente come il biologico, il biodinamico, la permacoltura, l’agricoltura naturale, l’agroforesteria. Sono tutti modi di coltivare la terra che hanno spese molto minori e rese molto maggiori, che richiedono meno ore di lavoro, meno macchinari e lavorazioni, meno acqua, zero pesticidi e fertilizzanti chimici; che rispettano la terra e la vita, che la arricchiscono invece di distruggerla.
La loro sopravvivenza dipenderà anche dalla solidarietà, tra di loro e con i consumatori, che significherebbe unirsi in vere cooperative per vendere i propri prodotti direttamente ai cittadini, significherebbe utilizzare macchinari, edifici, strumenti senza bisogno di comperarli o realizzarli individualmente. Significherebbe una maggiore ricchezza anche dal punto di vista umano e sociale. Allora non avrebbero più bisogno del mais e della soia OGM importati da Brasile e Argentina, né di esportare Prosecco e pomodori, e potrebbero concentrare i loro sforzi per lottare, uniti ai consumatori e ai contadini del terzo mondo, contro i trattati di libero scambio.
Altrimenti, rimarranno solo gli agroindustriali-finanzieri che, se la terra non darà più frutti, potranno sempre coprirla di pannelli fotovoltaici o di capannoni per le colture idroponiche o per gli allevamenti di insetti da macinare per nutrire cani e gatti, maiali e polli intensivi e, perché no, anche gli umani, magari con merendine di farina di insetti per i bambini o porcheriole croccanti, fritte in olio di palma, per gli apericena.

 
 

Fonte: soniasavioli.it

martedì 4 febbraio 2025

Le scarpe per gli africani

                            Belice di Mare, venti agosto


Peppino Bivona

 

                La sede del circolo U.  e… di Cultura era  in fermento fin dal pomeriggio. Tutti aspettavano l’arrivo dell’avvocato V., reduce da un suo viaggio in” missione”,  in terra d’ Africa . Stante che,al al suo arrivo l’ampio salone si riempì subito, accolto  trae ovazioni  e battute di mano. L’avvocato V.  si accomodò nell’ampia poltrona sistemata di fronte all’entrata così che tutti lo potessero vederlo .I compaesani curiosi non persero tempo e  dopo i primi convenevoli, lo bombardarono  con domande, che andavano dalle più serie a quelle più stravaganti , tipo “come “erano” le donne africane?”. Ma l’avvocato V. non sembrava prestare alcuna attenzione , anzi pareva assente ,aveva lo sguardo smarrito e fissava stranamente…. i piedi e le scarpe dei soci presenti. Ad un tratto, alzò la testa , fece con le mani un gesto  come per zittire l’uditorio  e nel generale silenzio  esclamò: “ C’è da fare soldi…capite?.. Soldi a palate!”

Seguì un lungo silenzio . I soci si guardarono  l’un l’altro .L’avvocato V. era solito soffermarsi per lunghe e talvolta lunghissime pause in funzione della “solennità “ dell’argomento. E questo,c’era d’aspettarselo, non sarebbe stato  da meno! Finché aggiunse:” Ve lo immaginate migliaia  e migliaia, ma che dico, ..milioni di africani ,vecchi, giovani, donne  e bambini completamente scalzi…  a piedi nudi!”  “ Ebbe!” Risposero stupiti ma incuriositi i presenti . Questa volta la pausa fu più lunga del solito e comunque  tale da consentire a qualcuno di  commentare ad alta voce  : “ Ma a nui chi minch…ninni futti..si l’africani unn’ hannu  scarpi?” L’avvocato capì che aveva a che fare , con rispetto parlando , con dei “caproni”. Non c’era speranza!  Questa terra nota ormai come “crita aira” ( argilla arida), non poteva “partorire”  nient’altro di meglio!!

“Ma come! Non avete capito ?…Quale migliore occasione si presenta per sfruttare questa opportunità! Aprire una fabbrica di calzature ed esportare in quel paese scarpe di ogni foggia e di tutte le misure !” Sbotto, tutto di un fiato, spazientito l’avvocato V.

Ma noi, in fondo in fondo, non abbiamo fatto lo stesso ragionamento  dell’avvocato V. vedendo i volti macilenti e i corpi scheletriti  ,spegnersi  per fame ogni giorno nei paesi del Terzo mondo? Ingenuità o cosciente colpevolezza? Alla conferenza mondiale della FAO di pochi annifa a Roma, le verità ,per noi occidentali, sono risultati imbarazzanti.

Il nostro modello di sviluppo ha ormai pervaso il mondo intero  e con esso anche la “way of life”,  costringendo le altre popolazioni ad abbandonare le economie locali , di sussistenza  basate sull’autoproduzione e l’autoconsumo . Sono stati costretti a “specializzarsi” in produzioni da esportare per meglio competere in un mercato  globalizzato, poi coi soldi ricavati comprare cibo. Allora morranno di fame perchè mancano grano,riso e mais? No! Anzi  negli ultimi decenni sono aumentati! Eppure gli africani come altri popoli del terzo mondo muoiono lo stesso!

Perché ? Per la semplice ragione  che il cibo come pure le…scarpe  e tutte le merci di questo mondo, non vanno dove c’è “bisogno” , ma vanno dove c’è qualcuno che ha i denari per comprarli!

Il “ricco” americano ed europeo acquista cosi il 66% dei cereali per destinarli all’alimentazione dei maiali ,dei polli o delle mucche da cui potrà godere ed …abbuffarsi di proteine “nobili”.

Il terzo mondo non ha i soldi per comprare sul mercato mondiale il cibo , i cui prezzi sono lievitati a causa dell’aumento della domanda resa sostenuta da destinazione che i cereali stanno avendo anche come biocombustibile. D’ora in poi  le bocche di milioni di affamati non dovranno competere solo con maiali e polli ma anche con ..l’etanolo!

Questo infernale processo non ha “confine” tanto che comincia già a lambire alcuni strati della nostra realtà sociale più povera