mercoledì 28 agosto 2024

Inycon, Menfi e il suo vino

E' una manifestazione di promozione nata negli anni 90, dalla sinergia tra il Comune, le Cantine Settesoli e le aziende vitivinicole locali 

Da venerdì 4 a domenica 6 Ottobre 2024, Menfi, Città Italiana del Vino 2023, sarà capitale del vino siciliano in tre giorni dedicati alle business meeting, alle degustazioni e agli spettacoli.  

Il festival, un’apparizione nell’Agenda degli eventi di grande risonanza turistica 2024 e 2025 della Regione Siciliana, sarà un’opportunità che nessuno dovrebbe lasciarsi scappare se ama il buon vino, il buon cibo e tutti coloro che sono desiderosi di scoprire il patrimonio culturale e naturale di Menfi e della regione.

La città belicina proprio nei giorni scorsi è entrata a far parte delle città dell’Associazione Nazionale Città dell’Olio grazie alla collaborazione con gli oleifici locali e la Fondazione Inycon. Vino, olio, gastronomia e turismo sono oggi i pilastri sul quale si regge il sistema Menfi e che saranno al centro della prossima edizione di Inycon.

martedì 27 agosto 2024

Storie e Personaggi del mio paese

 Peppino Bivona 

Premessa

Quasi sempre per una corretta e rigorosa ricostruzione dei fatti , siano essi storici o semplici avvenimenti, ci avvaliamo   del contributo di ricerche, documenti conservati negli  archivi o testimonianze legate all’evento. Insomma la natura delle fonti costituiscono una seria garanzia per un racconto  oggettivamente obbiettivo.

                 Ebbene in quello che vi accingerete a leggere in queste pagine, non troverete nulla di tutto questo, la “verità” non è desunta dal rigoroso  lavoro di  indagine o di ricerca ,ma  da racconti e ricostruzioni secondo una chiave di lettura  tutta personale, attingendo alle soli fonti  disponibili  nei ricordi  consegnateci dalla memoria. Semplici testimonianze  sorrette dalle emozioni vissute in quel tempo e nel contesto degli accadimenti. Protagonisti dei racconti  sono quasi tutti  personaggi “minori” marginali,  di quelli per intenderci che non hanno fatto “ la storia di Menfi”. Di queste “figure di spicco”  avranno modo di occuparsene studiosi seri ed impegnati.

              Se dovessi utilizzare una metafora per raccontare il rapporto con questo mio  paese sceglierei di immaginarmelo come una “ placenta” dentro un ventre  che alimenta, nutre , ossigena ,difende la vita fetale. Il reticolo di strade apparivano ampi, lo spazio aveva una diversa dimensione. I pochi lampioni appena distinguibili, emanavano una luce fioca, rispettosi del buio della notte Poi gli odori: quelli di ragù la domenica mattina ben distinti da quelli di cavolo,broccolo o di tenerume degli altri giorni feriali .I rumori erano quelli dei nostri passi lungo i marciapiedi, o  quelli lenti e cadenzati sul selciato del mulo. Suoni armoniosi o dissonanti uscivano dalle botteghe di falegnameria, del calzolaio e del fabbro ferraio. Dalla bottega del sarto c’era silenzio o rotto dalle note emesse dalla radiolina Poche strade erano asfaltate, la maggioranza di esse l’inverno erano disseminate di pozzanghere.  La mia percezione “fetale” era di vivere in un paese povero, molto povero. Molta gente viveva in spazi angusti, di poche stanze pavimentate con mattoni di argilla color giallo e rosso, in qualche caso in terra battuta. La necessità imponeva di trovare lo spazio per sistemare anche il mulo o l’asino, magari separandolo con  un precario tendaggio e sotto il forno era ricavato uno spazio per il ricovero di poche galline: di giorno razzolavano nel cortile antistante. Un paese, dicevamo, povero, ma non misero,ne miserabile; è vero c’erano i mendicanti,quelli infermi o abbandonati costretti a chiedere l’elemosina stesi sulle scalinate della chiesa Madre. Non si moriva di fame, ma gran parte della popolazione era denutrita ,I visi giallognoli segnati dalla malaria. Cera ,è vero,  lo stretto essenziale,mancava il superfluo. Vivevamo in una economia chiusa,circolare di sussistenza essenzialmente e spiccatamente agricola ,dominata dalla coltura del grano ed altri cereali minori,poi la fava, il mandorlo,l’ulivo la vite e il sommacco. Una provvidenziale falda superficiale di acqua  circondava come un’isola il nostro paese. Qui  “nei firriati”presero piede e  si espansero gli orti urbani destinati alla produzione di ortaggi  in tutte le stagioni. Un paese “virtuoso” che non produceva spazzatura! Pullulavano, invece nelle diverse direzioni delle periferie  i letamai “privati”  alimentati dalle deiezioni solide del mulo o dell’sino in una composita lettiera che assorbiva quella umana; la concimaia comunale era piccola e insignificante. Periodicamente i contadini provvedevano a distribuirlo sotto l’ulivo o il mandorlo o alla base del letto nella semina delle fave. E vero, i sevizi igienici erano quasi inesistenti e per molti anni l’acqua corrente arrivava alle fontanelle rionali, qui  le massaie in coda aspettava il turno per riempire le “quartare”. 

                 Eppure questo paese viveva  una sua  particolare socialità:le  vicende  che animano i racconti popolari alimentano le chiacchiere in particolare nei Circoli. Si, i circoli queste libere associazioni, espressione delle categorie sociali,rigidamente divise in “caste” chiuse quasi impermeabili come ad esempio quelle notabilati .Questi circoli erano indipendenti dai partiti ma in parte l’ integravano come il Circolo A. Bilello del PCI. Qualche acuto osservatore li definì” covi di maldicenze”

Tuttavia  nel paese si aveva la percezione di respirare una’aria soffocante quasi ”pesante” carica di un odio diffuso che permeasse quasi tutti  gli strati sociali , un odio di classe che non risparmia vicendevolmente “li viddani”, in tutte le sue varianti e di converso la piccola e media borghesia fino ai “cavallacci.”Questo notabilato non    era stato  mai una casta unita,interessi economici  e lotta per il potere creavano profondi dissidi ,  sfociando in pericolose risse  qualche volta con armi da fuoco, come quella tra i Giglio e Imbornone.Le fazioni non si risparmiarono  denunce e colpi bassi ,fino a incriminare il sindaco dott. Bivona per aver portato l’acqua a Menfi.Lo stesso esproprio del”Feudo Fiore”  dei Varvaro ,pare che abbia a che fare con la stretta parentela dell’amministratore del feudo con il dott. Bivona.  Le faide continuarono attraverso percorsi sotterranei,magari mascherati da due distinti logge massoniche  .Ma la fine della guerra e la caduta del fascismo rianimarono le lotte popolari,  La violenza dello scontro raggiunse il suo apice  nel primo dopoguerra del secolo scorso, quando assieme alle lotte per la riforma agraria entrò in vigore il decreto Gullo. Qui si scatena la “tempesta perfetta” .Qui i comizi finiscono con sonore tiri di pietre , vere sassaiate.

            Il dopoguerra si apre con queste due rivoluzionari eventi nelle nostre campagne. Il decreto Gullo e l’occupazione delle terre. Il decreto del ministro comunista Gullo ha una dirompenza quasi eversiva, un  intervento legislativo di per se marginale nell’economia delle campagne. Ma quel riparto del 60% al mezzadro e il 40% al proprietario , scatena la più feroce aggressività insita nell’animo umano. come dire che ormai la parola aveva perso la sua validità nel dialogo o confronto di idee e cede alla violenza delle azioni . La verità che in questo paese dominava una forma contrattuale per certi versi atipica: la mezzadria ovvero la “metadaria”in tutte le sue varianti compresa la colonia e la colonia parziaria. La sua natura oscillava fra un particolare rapporto tra impresa e proprietà e un contratto di affitto il cui canone veniva pagato in derrate. Ora si comprende facilmente che in un contesto socio economico dove persiste una forte domanda(fame) di “terra” l’offerta ha buon gioco a divenire di per se “sostenuta”, spostando al rialzo i valori  fondiari ovvero la remunerazione del capitale terra.

                 Il mio compianto amico e collega Gasperino M. mi raccontò che rimase orfano del padre in tenera età, ma poté completare gli studi ,fino a laurearsi, grazie al sacrificio di sua madre e a poche tumulate di terra date a mezzadria in contrada Bonera. Non ho chiesto chi fossero i mezzadri, ma di certo questi oscuri lavoratori avevano contribuito  al conseguimento della sua laurea…..limitando la remunerazione  del loro lavoro. Questo contratto medievale, angario, iugulatorio, garantiva il 50% della produzione  lorda vendibile al proprietario e il restante 50% doveva spartirsi tra i capitali circolanti e il lavoro. Ma c’è di più, le operazioni di  aratura,semina, il trasporto  dei  covoni e la “pesatura”(trebbiatura col calpestio degli animali) venivano svolte  dagli animali, asini e muli di proprietà del mezzadro, a cui spettava l’onere del loro mantenimento. Per rimediare al foraggio per il mantenimento del mulo o dell’asino il contadino  doveva approvvigionarsi di paglia,fieno, erba e biada  che espressa in unità foraggere(U.F) necessitavano di una superficie pari ad un ettaro: tutta energia sottratta all’economia familiare del mezzadro.  Ora se il rancore,il risentimento,l’astiosità dei “viddani”era più che comprensibile per le palese ingiustizie subite, ci chiediamo ,da dove nasce l’odio della piccola e media borghesia verso i “viddani”?. Il sentimento di odio c’è lo spiega già Sant’Agostino, ma oggi confermato  da numerosi psicanalisti, nasce e  si alimenta delle nostre paure, dello stato di insicurezza o precarietà a cui potremmo incorrere nell’immediato futuro. Ebbene la piccola borghesia “bottegaia” e impiegatizia, che magari si era tolto il pane di bocca per acquistare un fazzoletto di terra, oppone le più strenue difese a qualsiasi tentativo di alterare i rapporti contrattuali. In particolare la mezzadria ,che più di tutte garantiva una buona “rendita” per consentire la scalata sociale. 

              La stessa “piccola” e “feroce” borghesia che popolava la scuola con insegnanti che come cani da guardia vigilavano  affinché i figli dei “viddani” non  compissero il salto di “orbita” direbbe il mio amico chimico Saverio. “Signora, non è portato per gli studi,non tolga braccia all’agricoltura, sarà di aiuto a suo marito”.Questa formula nelle diverse tonalità, veniva recitata da sedicenti insegnanti , alle povere madri compresa quella del mio amico Giacomino A. Anche questi  insegnanti avevano “paura” della possibile concorrenza che potessero arrecare  alle anime “candide” dei loro figli. 

          Eppure qualcuno riuscì a superare le “forche caudine”, cocciuti, testardi più del mulo, Dino Sbrigata e Peppino Raso, grazie al sacrificio delle loro famiglie si laurearono in Giurisprudenza. Per la sinistra menfitana  disporrei due avvocati , fu come toccare il cielo con un dito. Non appena laureato Peppino Raso,fu invitato dal direttivo del Partito Comunista  che decide di fargli un regalo: scelsero una borsa  professionale di pelle. In quell’occasione l’ingegnere Bilello accompagnò il regalo con un auspicio:” Che questa borsa non abbia  mai a contenere, atti o documenti avversi ai lavoratori”!

                  L’altro evento rivoluzionario che caratterizzò gli anni successivi alla fine della seconda guerra fu l’occupazione delle terre e la riforma agraria. Carlo Marx considerava i contadini alla stregua delle patate: ce ne sono  piccole,medie,grosse…ma tutte patate sono!Niente di più sbagliato! E’ pur vero che ,tranne rare eccezioni ,i contadini per il Comunismo erano stati più che una risorsa, un problema. Nella loro esperienza storica di “sopravvissuti”,hanno dovuto mettere in atto modelli per la sopravvivenza,alle carestie, all’ingiustizia, alla guerra…dovevano alla fine del magro raccolto soddisfare gli accordi contrattuali con il padrone, pagare le tasse…e quello che rimaneva destinarlo alla famiglia. Perciò il possesso della terra era la loro “terra promessa” , per essa erano disposti a fare qualsiasi sacrificio, togliersi il pane dalla bocca. La politica di “contadinizzazione” messa in atto  dal fascismo  aveva un solo obiettivo:ruralizzare la società . 

                   Lo slogan era:” Provate a dare un fazzoletto di terra ad un rivoltoso bracciante e…. lo trasformerete in fiero agricoltore”Ma  fino alla fine dell’ottocento il 90% della terra coltivata era posseduta dal 2% della popolazione, che attraverso fitti e subaffitti, arrivava a quella massa di disgraziati costretti  a subire ed a ubbidire. In verità, nei momenti di carestia non  mancarono le rivolte,ma la classe baronale, sapeva come uscirne. Il tentativo di abolire il sistema feudale si risolse  in una sonora beffa. I Barboni che speravano di elargire un po’ di terra ai contadini ,finirono  per togliere  quel poco che rimaneva per diritti di uso civico e non disporre di quelli del demanio. Il nostro storico risorgimento  e tutto costellato da eventi eroici, ma dopo l’unità d’Italia tutto si svolse all’ombra delle usurpazione di terre, in particolare della mano morta i beni della chiesa: il barone Inglese compra Santa Maria del Bosco di 2000 ettari per poco meno di duemila lire, pagabile in 19 anni!

                  Nei primi anni cinquanta, la lotta per la terra assume due direttive, la prima radicale che proponendo lo sproprio dei feudi e la loro distribuzione a quanti non ne avevano. La Federterra ha questo obbiettivo: molte grosse proprietà mancano di atti dimostranti il possesso e ancor più la proprietà. Sarà paradossale ,ma basta leggere il libro di Leonardo Sciascia”Il consiglio d’Egitto”o vedersi la traduzione teatrale con Turi Ferro e Tuccio  Musumeci dove cogliamo tutto l’odio dei baroni siciliani per Caracciolo il vicerè riformatore. Questa battaglia e portata avanti dai comunisti e socialisti.L’altro fronte era organizzato da piccoli e medi proprietari, i quali disponendo di qualche risparmio erano disposti ad acquistarli purchè non venissero sottoposti a sorteggio. Fu uno scontro durissimo che lasciò pochi, poveri cristi assegnatari, mentre la gran parte anticipando dei soldi completarono la proprietà con i lotti. 

                  Il fronte  era rappresentato da una parte Peppe Volpe che attraverso prestiti agevolati consentiva ai piccoli proprietari di acquistare pezzi di terreno dei feudi. Lo stesso Volpe nella sua intervista rilasciata a Danilo Dolci, sostiene che i grossi proprietari hanno una gran stima di Lui. Nel  sempre più concreto rischio di un esproprio delle proprietà i feudatari sono propensi ad una mediazione ovvero la vendita. L’altro fronte è raffigurato dalla sinistra Comunisti e Socialisti con posizioni molto radicali e comunque poco incline a scendere a compromessi .Molti di questi feudi, mancavano di titoli di proprietà, usurpati al Regno Borbonico e allo stato unitario.  

                    Menfi visse  all’interno della sua comunità rurale una profonda e lacerante spaccatura. I piccoli mezzadri,coloni e braccianti, se volevano accedere alla terra dovevano indebitarsi fino al collo mentre per i  contadini medi il rischio era minore e potevano scegliersi i terreni migliori. I piccoli fazzoletti di terra resistettero alla crisi degli anni sessanta grazie alla disponibilità irrigua  della diga Arancio e all’introduzione della coltura del carciofo ma molti emigrarono

               Poi come un evento traumatico il terremoto del 68, si”ruppero le acque”, questo paese da secoli, riservato, immobile , periferico sonnolente  viene espulso,viene lanciato violentemente  verso la “modernità”:Il terremoto scuote le mura delle case, ma anche le coscienze di tutta la sua popolazione. Costretti per qualche anno ad indicibili sacrifici,sono obbligati alla convivenza forzosa ricomposte  dentro capannoni e baraccopoli, una promiscuità sociale che poco a poco fa giustizia di vecchi pregiudizi,ricompone nuove convivenze ,con non pochi accenni di solidarietà. Malgrado l’evento sismico questo paese si apre,schiude le finestre sul mondo. cambia l’assetto urbano,le campagne piano piano si popolano e assumono sempre più nuovi scenari paesaggistici, sulla costa spuntano le seconde e terze case. Ora possono studiare tutti comprese le ragazze,in un crescento rossiniano assistiamo, grazie alle cantine sociali ad un benessere diffuso,la politica sociale elimina  gli ultimi sacchi di povertà. Le nuove generazioni oggi vivono in un contesto socio economico neanche lontanamente paragonabile a quello dei loro padri o dei loro nonni ,il clima politico è sereno e il confronto e civile, non ci sono più nemici di classe, ma avversari politici.

            Tuttavia in questo nostro paese esistono due “criticità”, la presenza invasiva e permeante il tessuto sociale della Massoneria ed il livello culturale della sua popolazione. Iniziamo da quest’ultimo aspetto. Siamo certi che  la nostra comunità esprime eccellenti qualità professionali, dal campo medico, all’ingegneria ad uomini di legge, ecc. ma la loro competenza-conoscenza si ferma dentro gli angusti confini  delle materie professionali. Così che temi come l’arte, il cinema ,il teatro o la letteratura in generale restano marginali  nel bagaglio culturale  della maggior parte dei nostri concittadini. 

            Alcuni anni fa il sindaco Lotà istituì l'Istituzione culturale Federico II  con lo scopo di promuovere la Cultura .Questo paese non ha un cinema, un teatro, né centri di lettura, l'Istituzione doveva sopperire a queste storiche carenze aprendo nuove finestre sul mondo su temi  che coinvolgono la nostra esistenza nella realtà  contemporanea. I Greci, il popolo più intelligente mai apparso sulla terra, aveva compreso che la vita per viverla  al meglio contro le avversità ,doveva essere “sorretta” ovvero dare ai suoi cittadini gli strumenti cognitivi per affrontare eventuale difficoltà. L’epoca ellenica si caratterizzò per una ricca produzione di tragedie che non trascurarono nel suo obbiettivo finale il risvolto didattico. Nella nostra epoca viviamo le emergenze ambientali come se fossimo spettatori, i temi della sicurezza con  patetica drammaticità, le possibili integrazioni con astio e fastidio .               Per non parlare dei temi della scuola, la stessa questione dei giovani,fino al tema più scottante del femminicidio: abbiamo poche idee e…confuse. E pur vero che la scarsa sensibilità della gente su questi argomenti ha il suo peccato originario nella scuola . 

            Ma a cosa   doveva servire l'Istituzione?. Quali obbiettivi si prefiggeva? Quale la sua “missione”.Sta di fatto, senza voler offendere  quanti operano nella Istituzione, essa divenne nel tempo, una “leggera” passerella per inconsapevoli  narcisisti   ,animati dal desiderio della comparsa o della scena a cui va rispettato e riconosciuto la buona volontà .L’Istituzione si limitò a tradurre la “cultura” nelle sua  versione classica  ovvero letteraria scolastica e tutto questo “volando” molto basso,bassissimo. Resta a noi risolvere il problema , ovvero se consideralo uno strumento comunicativo-informativo o se fargli assurgere una valenza dirompente:  “educativa” di vera crescita culturale

Che la gente sia ignorante o che se ne faccia un vanto, a noi non ci disturba più di tanto, diviene un problema se vengono coinvolti in scelte che possono condizionare la nostra vita.

La presenza della Massoneria nel nostro paese, a leggere il libro di Lotà e Riportella” Un secolo di Inquietitudine”,la ritroviamo, confusa con la Carboneria fin dai primi anni dell’ottocento impegnata  a contrastare il regime borbonico. Rimane poco chiaro il ruolo della Massoneria dopo la realizzazione dell’Unità d’Italia. Ci viene il  sincero dubbio che il suo obbiettivo non era solo e solamente  l’unificazione del paese. Ma noi non vogliamo  entrare nel complesso e complicato mondo “esoterico”,lasciamo ai suoi adepti di manifestare al meglio i propri ideali.

                  In verità la presenza di due logge e il gran numero di fratelli iscritti qualche dubbio c’è lo pone Una piccola divagazione: Nel dopoguerra gli americani con il piano Marchal hanno  investito enorme quantità di denaro nel mezzogiorno, ma invitarono due università  americane una di economia e una di sociologia, di seguirne l’evoluzione. Ebbene  il tratto distintivo che colpì gli studiosi americani era un profondo  e diffuso “familismo” che permeava la società civile  a tutti i livelli a partire dal comune senso della vita quotidiana”addifenni lu to o rittu o tortu” fino ad una solidarietà tribale ben presente nelle faide  nostrane del nostro mezzogiorno. Questo nostro atteggiamento non meraviglia più di tanto Umberto Galiberti, il quale collegando la nostra cultura  ovvero della “Magna Grecia” a quella della Madrepatria, Il filosofo non ha dubbi :siamo eredi di Antigone, la protagonista della  tragedia di Sofocle .Ora ci chiediamo se queste forme securitarie, di autodifesa, di protezionismo siano il retaggio di una risposta  che aveva visto lo Stato nelle sole due forme più repulsive ovvero : il carabiniere( lo sbirro) e l’esattore delle tasse. Non per niente Sciascia acuto osservatore delle vicende nostrane.  segna la data di nascita della mafia facendola coincidere col periodo della dominazione spagnola, quando i processi o meglio la giustizia si esercitava a Madrid con una lentezza svernante Una società civile regolarmente istituitasi non può permettersi un vuoto nell’esercizio della giustizia. Non può esserci una “vacazio” il vuoto prima o dopo dovrà essere colmato. Tuttavia senza voler scomodare Spinoza può accadere che il “fine”  proposto inizialmente magari con nobili finalità, lungo il tempo “degeneri”segua percorsi  anomali e quello che il grande filosofo definì:” eterogenesi dei fini”. 

Ebbene, e se la partecipazione  a questa associazione nella sua versione familistica, garantisse significati vantaggi agli adepti?. Quale istituzione meglio della Massoneria  disporrebbe di un sistema “informatico”, attraverso l’anonimato dei suoi fratelli di controllare condizionare o ricattare i componenti di questa comunità?. 

In verità non sono stati rari i casi  di palesi ingiustizie, nelle assegnazioni o nei concorsi o quanto meno in un equilibrato giudizio di merito. Per chi vive in questo paese,sia ai giovani che ai loro genitori, si pone un dilemma”cornuto”:                Aderire e coglierne eventuali vantaggi o restarne fuori e lottare per far crescere questo paese lontano, il più possibile ,dal “familismo” dalle raccomandazioni, dai favoritismi in nome di uno Stato di diritto, di vera uguaglianza, di attendibile giustizia sociale. Se  posso aiutarvi nella scelta consentitemi di suggerirvi  la lettura di un libro di Primo Levi:” Salvati e Sommersi”

_______________________________________________________________________________


lunedì 19 agosto 2024

Food Cooking Competition Fest, il 4° Master Chef Margheritese

NinoSutera  

 La città del Gattopardo, Santa Margherita Belice è stata teatro della 4° edizione del Food Cooking Competition Fest, il Master Chef Margheritese, un format ideato e ben riuscito da Michele Ciaccio. 
   Una serata   all'insegna del buon cibo e della promozione del   territorio.  Santa Margherita Belice, ha adottato il percorso   Borgo GeniusLoci De.Co. un    percorso culturale, composto da 12 steps. Recentemente in occasione del festival,  la Tavola del Gattopardo è stata candidata a divenire "Ambasciatrice dell'Identità Territoriale" 

All’evento condotto da Santina Matalone, hanno partecipato chef stellati, chef amatoriali, esperti di  gastronomia e di enologia,  con degustazione finale delle prelibatezze identitarie.

 Cibo è non solo, infatti  Lillo Alaimo Di Loro, saggista è autore del libro La ragione del Cibo  Leonardo Sciascia  a tavola, in un interessante confronto  con Erina Montalbano Presidente della locale Proloco,  tra la tavola del Gattopardo e quella di Leonardo Sciascia. 

  Il percorso Borghi  GeniusLoci De.Co., è un percorso culturale,     che mira a salvaguardare e valorizzare il “locale”, rispetto al fenomeno della globalizzazione, che tende ad omogeneizzare prodotti e sapori. Il Genius Loci rappresenta l'essenza, l'identità di un territorio; ad esso appartengono le immagini, i colori, i sapori ed i profumi dei paesaggi.

Il percorso   prevede un modello dove gli elementi essenziali di relazionalità sono Territorio-Tradizioni-Tipicità-(intesa come specificità)-Tracciabilità e Trasparenza, che rappresentano la vera componente innovativa, da condividere con il territorio e per il territorio.

 A Santina Matalone è stato conferito il riconoscimento di Custode dell'Identità Territoriale, del percorso Borghi GeniusLoci De.Co. Il riconoscimento viene attribuito a chi  si dedica a preservare, valorizzare e promuovere le caratteristiche uniche di un territorio, inclusi i suoi aspetti culturali, storici, paesaggistici e gastronomici. Questo ruolo è fondamentale per garantire che le tradizioni locali e le peculiarità di un luogo siano conservate e trasmesse alle future generazioni.



 Una parte significativa del loro lavoro è dedicata alla promozione di prodotti tipici locali, come specialità gastronomiche, artigianato tradizionale e altre peculiarità locali.  

Il ruolo di custode dell'identità territoriale è essenziale per mantenere vive le tradizioni e l'essenza di un luogo, soprattutto in un'epoca di globalizzazione che tende ad uniformare le culture. Queste persone o gruppi agiscono come guardiani di una ricchezza culturale unica, contribuendo a rafforzare il senso di comunità e a favorire uno sviluppo sostenibile basato sulla valorizzazione delle risorse locali.



























. 

 


 





 

"Non si può essere ricchi in mezzo ai poveri”

 

              La sede del partito socialista italiano a Menfi in quegli anni era vicino il Collegio , (ovvero l'abbatia) , separato da un piccolo cortile. Il locale era angusto, infossato e modestamente arredato . I socialisti a Menfi non erano molti , ma-per contro molto combattivi.

Pietro Nenni in quei giorni era in Sicilia  e si diffuse la voce che in mattinata sarebbe passato da Menfi per un breve saluto ai compagni. Il segretario della sezione ,il signor Titone era euforico, qualcuno gli fece notare che l'orario era infelice, la gente impegnata nei lavori dei campi,non si poteva organizzare una accoglienza  come meritava. Il signor Titone ( inteso dai compagni “badilluni”), era irremovibile: costi quel che costi, il glorioso compagno Nenni, doveva fare il comizio!

Fu cosi che due possenti giovanotti uscirono dall'angusta sede il palchetto di legno(vancareddu), su cui salirono Titone e Pietro Nenni .Gli uditori eravamo pochi, ma pieni di orgoglio per vivere questo storico privilegio. Il segretario Titone pronunciò poche frasi di presentazione,rotte da una indicibile emozione, poi passò la parola a Nenni.

Mentre ascoltavo gli occhi  si indirizzarono  verso l'illustrazione del tabellone steso sulla porta in alto all'entrata della sezione:Partito Socialista Italiano poi l'effige con lo sfondo i raggi del sole(dell'avvenire), un libro aperto e sopra la falce e il martello. Poi sotto con caratteri più piccoli “ sez. di Menfi Peppino Bivona”.

A quel tempo il signor Titone, originario di Csstelvetrano, abitava con la sua famiglia al primo piano della casa di mia zia Lillina, di fronte al cinema Pirandello,dove al piano terra era allocata la bottega di calzolaio di mio zio.Per giorni non si fece che parlare dell'evento, ovvero la visita di Nenni, protagonista incontrastato era sempre Lui: il signor Titone,tempestato  di domande,anche le più curiose su Pietro Nenni.

Fu cosi che in una breve pausa,chiesi al segretario della sezione chi fosse quel personaggio il cui nome figurava sotto lo stemma del partito socialista. Il Titone si fece serio  si abbassò per portarsi alla mia altezza e con voce ferma e seria mi disse:”Pippinè, quell'uomo fu il difensore dei contadini, ed era una persona intelligente,  di buona famiglia, aveva capito che non si può essere ricchi in mezzo ai poveri!”.

Passarono gli anni  e occasionalmente ne sentii parlane di Peppino Bivona al “circolo” della biblioteca comunale dove l'anziano Giovinco e il vecchio Rotolo, avevano ricordi più “freschi”. Lo soprannominavano “ scupidda”  ed erano quasi stupiti e intimoriti della sua  vita cosi spericolata,impegnata avventurosa. In questi brandelli di memoria don” Minicheddu” Bucalo aveva un rammarico: questa scelta di “campo”  e di vita non fu compresa dalla famiglia!

Nei primi anni settanta i fratelli Taviani lanciarono due film a distanza di due anni:”San Michele aveva un Gallo e poi Allosanfan. I temi trattati dai due registi avevano in comune la reazione morale e politica dei protagonisti di origine borghese di fronte alle prevaricazioni del potere,alle condizioni di miseria in cui erano condannati gran parte della popolazione rurale. Rivendendo quei film  mi sembrò di vivere le vicissitudine del nostro maestro Peppino Bivona. L'ambientazione era il nostro mezzogiorno,l'epoca la seconda metà dell'ottocento,stessa estrazione sociale , media borghesia benestante. Il dramma dei nostri protagonisti virtuali e reali, era quello di aver sacrificati la propria vita ad un ideale ,ma raccogliendone delusioni e amarezze .Ma cosa spinge un intellettuale tutto sommato benestante, ad abbracciare la causa sovversiva o rivoluzionaria? Quali supremi ideali possono anteporsi agli affetti della famiglia ,dell'amore per la mamma?

Eppure sacrificano tutto questo e altro per una  causa e, l'ideale!  Rinunciano ad una vita agiata, sicura, un avvenire certo, in cambio di privazioni  , sacrifici, disagi, e non per ultimo il carcere e la morte stessa.

Tentare di comprenderne le ragioni è impossibile per il semplice motivo  che qualsiasi tentativo di riflettere su questa “scelta di vita” cozzerebbe con la ….ragione

Non dimeno  per questi “eroi”abbiamo un debito di riconoscenza: sono questi “inciampi” che fanno evolvere la società,gli accidenti che rompono la normalità,la mediocrità della vita ordinaria e ordinata.Il mio amico Saverio che insegna Fisica lo giudicherebbe un “salto quantico”  come dire  che un elettrone cambia orbita.

Qualche anno fa usci nelle sale cinematografiche un film” Commè bello lu murire uccise” interpretato da un magnifico Stefano Santaflores. Un film biografico su Carlo Pisacane   eroe risorgimentale  che narra l'eccidio consumatosi a Sapri. Qui c'è tutto: una buona dose di narcisismo, una sensibilità umana verso gli sfruttati , l'avversione per l'ingiustizia,l'anelito di libertà per la propria terra. Resta sotteso una strana “vocazione al martirio” una testimonianza forse ereditata dai primi cristiani, che offrivano le loro carni alle belve per  fortificare ed  estendere la loro fede in Cristo.  

Dopo più di due mill'enni ci chiediamo:c'è qualcosa o qualcono per cui valga la pena di sacrificare la propria vita?

Non c'è niente che valga più della nostra vita!

                        Peppino Bivona

 

giovedì 15 agosto 2024

L’asino della “gna Francisca”


Peppino Bivona

 

Restano ormai sfocati fotogrammi appiccicati debolmente alla memoria: le capre sfilano lungo la via Della Vittoria,composte, ordinate  come ammaestrate, si fermano, aspettano che il capraio finisca di mungere il latte, versarlo nel contenitore da un quarto o mezzo litro. La capra  dal mantello quasi tutto nero, ormai da anni si ferma da sola, sotto il portone della signora Antonietta, il latte  aveva un altro sapore, era più dolce!.

Quando il comune sistemò la via principale del paese il sindaco emanò una ordinanza che vietava l’attraversamento dalla via principale delle capre e la distribuzione del latte direttamente dagli animali. Gli animali di allevamento,continuava l’ordinanza, non possono essere ricoverati in paese neanche      in apprestamenti nelle periferie.

 Questa ordinanza sconvolse la vita e le abitudini lavorative dello”Zù Nino e della di lui moglie “gna Francisca”. I due anziani coniugi non avevano figli, possedevano una trentina di capre in un ricovero nella periferia sud del paese, accanto alla loro umile abitazione.

Per ovviare alla nuova emergenza “Zu Nino” prese in affitto un piccolo appezzamento di terreno con un precario rifugio per le capre,poco distante dal paese separato da un vallone. La nuova situazione arrecò non pochi disagi all’anziana coppia, la più adirata era la gna Francisca nel vedere il marito alzarsi prestissimo, mungere le capre ,portare il latte in paese a piedi e poi sempre in mattinata distribuirlo ai clienti.

“ Questa vita non può durare” diceva stizzita la gna Francisca  almeno avessimo un asino per il trasporto del latte!” Ma i due coniugi erano poveri, anzi poverissimi e quantunque sacrifici potessero fare non avrebbero mai raccolto la somma sufficiente per acquistare un asino.

Ma la gna Francisca non era donna da darsi per vinta,aveva una  sua indiscussa convinzione: solo alla morte non c’è rimedio!

Così  con la cautela e la discrezione che la contraddistinguevano allungava il latte con….l’acqua che poi il marito distribuiva!. Ci vollero un paio d’anni ma alla fine  raggranellarono un discreto gruzzoletto  sufficiente ad acquistare un asino. L’acquisto dell’asino alleviò non poco le fatiche all’anziano pastore e la stessa gna Francisca andava orgogliosa  dell’asino divenuto ora uno della “famiglia”.Tutto andava bene finché, una mattina di un piovoso novembre ,lu zu Nino dopo aver munto le capre ritornava con il latte a basto dell’asino . Era piovuto tutta la notte di una pioggia torrenziale  e attraversare il vallone non era cosa agevole, l’acqua si faceva sempre più impetuosa, non c’era alcun ponte ,ma solo dei grossi sassi disseminati tra le due sponde L’anziano pastore era consapevole del rischio,ma attendere o indugiare, avrebbe aumentato il livello dell’acqua. Così fattosi coraggio tenendo l’asino a distanza con le redini ,iniziò ad attraversare la pericolosa fiumara ,ma nello stesso istante che attraversava l’asino, una grossa onda di piena travolse  il povero asino strappando le redini dalle mani dello zu Nino.

La notizia si diffuse come un baleno in tutto il paese,sollevando la compassione da parte degli amici e vicini di casa i quali non persero tempo a far visita e portare una parola di consolazione alla gna Francisca.

La povera donna se ne stava seduta in un angolo buio della casa, con lo sguardo perso nel vuoto, a chi gli chiedeva come si sentiva,rispondeva con monotona cadenza senza alzare il viso e battendo le mani sulle ginocchia ripeteva:” Cu l’acqua vinni e cu l’acqua sinni iu”e replicava “ Cu l’acqua vinni e cu l’acqua sinni iu”(con l’acqua e venuto e con l’acqua se ne andato.

giovedì 8 agosto 2024

Oli&olivi

                L'Associazione  "Città dell'Olio" è un Associazione di diritto privato, con sede a Monteriggioni (Si) 

Vi si accede versando la quota associativa  annuale.

Possono aderire all’Associazione Nazionale Città dell’Olio i Comuni e tutti gli Enti pubblici, anche in forma societaria, nonché i Gruppi di Azione Locale ed i Parchi nazionali e regionali, ai sensi della normativa europea, siti in territori nei quali si producono oli  

Per gli Enti che vogliono entrare a far parte della Associazione  delle Città dell’Olio,  debbono  impegnarsi a versare  la   quota associativa annuale,   per i  Comuni tra i 10.001 e i 20.000 abitanti Euro 1.864,55.

 Coordinatore Regionale per la Sicilia, nonchè Membro di giunta   è Giosuè Catania – per conto della  CCIAA Sud Est Sicilia.  Giosuè Catania, dirigente di lungo corso della CIA  dal 1993 è presidente dell'Associazione Cooperativa Agricola Produttori Olivicoli (O.P. dal 2005), operante nelle province di Catania, Siracusa, Ragusa.

L'Associazione Città dell'Olio, segue per grandi linee,  l'Associazione ormai famosa delle "Città del Vino" e come le Città del Vino non hanno risorse proprie. Le eventuali iniziative sono a totale carico dei comuni ospitanti.  Non certificano nulla, è bene ricordare che non certificano la qualità del prodotto, la legge ma sopratutto i Reg Cee, affida questo compito ad enti certificatori abilitati.

Appare superfluo rammentare che in Italia  le associazioni simili alle Città del Vino e Città dell'olio, basti pensare all'Associazione Borghi più Belli, Borghi Autentici, Borghi identitari, Borghi Arancioni,  Borghi fioriti,  ectt. non mancano, che con progetti ben strutturati di valenza e visibilità nazionale, si occupano del territorio.

L'adesione a una, piuttosto che un altra Associazione, non è frutto del caso.

Fatta questa breve introduzione, comunque un plauso và alla maggioranza consiliare, per aver portato a termine un punto del proprio programma elettorale.  

Noi,  nel recente passato ci  siamo occupati di olio e ulivi

DIARIO DELL'ULIVO SARACENO


PRESENTAZIONE A CURA DEL COMUNE DI MENFI 2018