Peppino Bivona
Premessa
Quasi sempre per una corretta e rigorosa ricostruzione dei fatti , siano essi storici o semplici avvenimenti, ci avvaliamo del contributo di ricerche, documenti conservati negli archivi o testimonianze legate all’evento. Insomma la natura delle fonti costituiscono una seria garanzia per un racconto oggettivamente obbiettivo.
Ebbene in quello che vi accingerete a leggere in queste pagine, non troverete nulla di tutto questo, la “verità” non è desunta dal rigoroso lavoro di indagine o di ricerca ,ma da racconti e ricostruzioni secondo una chiave di lettura tutta personale, attingendo alle soli fonti disponibili nei ricordi consegnateci dalla memoria. Semplici testimonianze sorrette dalle emozioni vissute in quel tempo e nel contesto degli accadimenti. Protagonisti dei racconti sono quasi tutti personaggi “minori” marginali, di quelli per intenderci che non hanno fatto “ la storia di Menfi”. Di queste “figure di spicco” avranno modo di occuparsene studiosi seri ed impegnati.
Se dovessi utilizzare una metafora per raccontare il rapporto con questo mio paese sceglierei di immaginarmelo come una “ placenta” dentro un ventre che alimenta, nutre , ossigena ,difende la vita fetale. Il reticolo di strade apparivano ampi, lo spazio aveva una diversa dimensione. I pochi lampioni appena distinguibili, emanavano una luce fioca, rispettosi del buio della notte Poi gli odori: quelli di ragù la domenica mattina ben distinti da quelli di cavolo,broccolo o di tenerume degli altri giorni feriali .I rumori erano quelli dei nostri passi lungo i marciapiedi, o quelli lenti e cadenzati sul selciato del mulo. Suoni armoniosi o dissonanti uscivano dalle botteghe di falegnameria, del calzolaio e del fabbro ferraio. Dalla bottega del sarto c’era silenzio o rotto dalle note emesse dalla radiolina Poche strade erano asfaltate, la maggioranza di esse l’inverno erano disseminate di pozzanghere. La mia percezione “fetale” era di vivere in un paese povero, molto povero. Molta gente viveva in spazi angusti, di poche stanze pavimentate con mattoni di argilla color giallo e rosso, in qualche caso in terra battuta. La necessità imponeva di trovare lo spazio per sistemare anche il mulo o l’asino, magari separandolo con un precario tendaggio e sotto il forno era ricavato uno spazio per il ricovero di poche galline: di giorno razzolavano nel cortile antistante. Un paese, dicevamo, povero, ma non misero,ne miserabile; è vero c’erano i mendicanti,quelli infermi o abbandonati costretti a chiedere l’elemosina stesi sulle scalinate della chiesa Madre. Non si moriva di fame, ma gran parte della popolazione era denutrita ,I visi giallognoli segnati dalla malaria. Cera ,è vero, lo stretto essenziale,mancava il superfluo. Vivevamo in una economia chiusa,circolare di sussistenza essenzialmente e spiccatamente agricola ,dominata dalla coltura del grano ed altri cereali minori,poi la fava, il mandorlo,l’ulivo la vite e il sommacco. Una provvidenziale falda superficiale di acqua circondava come un’isola il nostro paese. Qui “nei firriati”presero piede e si espansero gli orti urbani destinati alla produzione di ortaggi in tutte le stagioni. Un paese “virtuoso” che non produceva spazzatura! Pullulavano, invece nelle diverse direzioni delle periferie i letamai “privati” alimentati dalle deiezioni solide del mulo o dell’sino in una composita lettiera che assorbiva quella umana; la concimaia comunale era piccola e insignificante. Periodicamente i contadini provvedevano a distribuirlo sotto l’ulivo o il mandorlo o alla base del letto nella semina delle fave. E vero, i sevizi igienici erano quasi inesistenti e per molti anni l’acqua corrente arrivava alle fontanelle rionali, qui le massaie in coda aspettava il turno per riempire le “quartare”.
Eppure questo paese viveva una sua particolare socialità:le vicende che animano i racconti popolari alimentano le chiacchiere in particolare nei Circoli. Si, i circoli queste libere associazioni, espressione delle categorie sociali,rigidamente divise in “caste” chiuse quasi impermeabili come ad esempio quelle notabilati .Questi circoli erano indipendenti dai partiti ma in parte l’ integravano come il Circolo A. Bilello del PCI. Qualche acuto osservatore li definì” covi di maldicenze”
Tuttavia nel paese si aveva la percezione di respirare una’aria soffocante quasi ”pesante” carica di un odio diffuso che permeasse quasi tutti gli strati sociali , un odio di classe che non risparmia vicendevolmente “li viddani”, in tutte le sue varianti e di converso la piccola e media borghesia fino ai “cavallacci.”Questo notabilato non era stato mai una casta unita,interessi economici e lotta per il potere creavano profondi dissidi , sfociando in pericolose risse qualche volta con armi da fuoco, come quella tra i Giglio e Imbornone.Le fazioni non si risparmiarono denunce e colpi bassi ,fino a incriminare il sindaco dott. Bivona per aver portato l’acqua a Menfi.Lo stesso esproprio del”Feudo Fiore” dei Varvaro ,pare che abbia a che fare con la stretta parentela dell’amministratore del feudo con il dott. Bivona. Le faide continuarono attraverso percorsi sotterranei,magari mascherati da due distinti logge massoniche .Ma la fine della guerra e la caduta del fascismo rianimarono le lotte popolari, La violenza dello scontro raggiunse il suo apice nel primo dopoguerra del secolo scorso, quando assieme alle lotte per la riforma agraria entrò in vigore il decreto Gullo. Qui si scatena la “tempesta perfetta” .Qui i comizi finiscono con sonore tiri di pietre , vere sassaiate.
Il dopoguerra si apre con queste due rivoluzionari eventi nelle nostre campagne. Il decreto Gullo e l’occupazione delle terre. Il decreto del ministro comunista Gullo ha una dirompenza quasi eversiva, un intervento legislativo di per se marginale nell’economia delle campagne. Ma quel riparto del 60% al mezzadro e il 40% al proprietario , scatena la più feroce aggressività insita nell’animo umano. come dire che ormai la parola aveva perso la sua validità nel dialogo o confronto di idee e cede alla violenza delle azioni . La verità che in questo paese dominava una forma contrattuale per certi versi atipica: la mezzadria ovvero la “metadaria”in tutte le sue varianti compresa la colonia e la colonia parziaria. La sua natura oscillava fra un particolare rapporto tra impresa e proprietà e un contratto di affitto il cui canone veniva pagato in derrate. Ora si comprende facilmente che in un contesto socio economico dove persiste una forte domanda(fame) di “terra” l’offerta ha buon gioco a divenire di per se “sostenuta”, spostando al rialzo i valori fondiari ovvero la remunerazione del capitale terra.
Il mio compianto amico e collega Gasperino M. mi raccontò che rimase orfano del padre in tenera età, ma poté completare gli studi ,fino a laurearsi, grazie al sacrificio di sua madre e a poche tumulate di terra date a mezzadria in contrada Bonera. Non ho chiesto chi fossero i mezzadri, ma di certo questi oscuri lavoratori avevano contribuito al conseguimento della sua laurea…..limitando la remunerazione del loro lavoro. Questo contratto medievale, angario, iugulatorio, garantiva il 50% della produzione lorda vendibile al proprietario e il restante 50% doveva spartirsi tra i capitali circolanti e il lavoro. Ma c’è di più, le operazioni di aratura,semina, il trasporto dei covoni e la “pesatura”(trebbiatura col calpestio degli animali) venivano svolte dagli animali, asini e muli di proprietà del mezzadro, a cui spettava l’onere del loro mantenimento. Per rimediare al foraggio per il mantenimento del mulo o dell’asino il contadino doveva approvvigionarsi di paglia,fieno, erba e biada che espressa in unità foraggere(U.F) necessitavano di una superficie pari ad un ettaro: tutta energia sottratta all’economia familiare del mezzadro. Ora se il rancore,il risentimento,l’astiosità dei “viddani”era più che comprensibile per le palese ingiustizie subite, ci chiediamo ,da dove nasce l’odio della piccola e media borghesia verso i “viddani”?. Il sentimento di odio c’è lo spiega già Sant’Agostino, ma oggi confermato da numerosi psicanalisti, nasce e si alimenta delle nostre paure, dello stato di insicurezza o precarietà a cui potremmo incorrere nell’immediato futuro. Ebbene la piccola borghesia “bottegaia” e impiegatizia, che magari si era tolto il pane di bocca per acquistare un fazzoletto di terra, oppone le più strenue difese a qualsiasi tentativo di alterare i rapporti contrattuali. In particolare la mezzadria ,che più di tutte garantiva una buona “rendita” per consentire la scalata sociale.
La stessa “piccola” e “feroce” borghesia che popolava la scuola con insegnanti che come cani da guardia vigilavano affinché i figli dei “viddani” non compissero il salto di “orbita” direbbe il mio amico chimico Saverio. “Signora, non è portato per gli studi,non tolga braccia all’agricoltura, sarà di aiuto a suo marito”.Questa formula nelle diverse tonalità, veniva recitata da sedicenti insegnanti , alle povere madri compresa quella del mio amico Giacomino A. Anche questi insegnanti avevano “paura” della possibile concorrenza che potessero arrecare alle anime “candide” dei loro figli.
Eppure qualcuno riuscì a superare le “forche caudine”, cocciuti, testardi più del mulo, Dino Sbrigata e Peppino Raso, grazie al sacrificio delle loro famiglie si laurearono in Giurisprudenza. Per la sinistra menfitana disporrei due avvocati , fu come toccare il cielo con un dito. Non appena laureato Peppino Raso,fu invitato dal direttivo del Partito Comunista che decide di fargli un regalo: scelsero una borsa professionale di pelle. In quell’occasione l’ingegnere Bilello accompagnò il regalo con un auspicio:” Che questa borsa non abbia mai a contenere, atti o documenti avversi ai lavoratori”!
L’altro evento rivoluzionario che caratterizzò gli anni successivi alla fine della seconda guerra fu l’occupazione delle terre e la riforma agraria. Carlo Marx considerava i contadini alla stregua delle patate: ce ne sono piccole,medie,grosse…ma tutte patate sono!Niente di più sbagliato! E’ pur vero che ,tranne rare eccezioni ,i contadini per il Comunismo erano stati più che una risorsa, un problema. Nella loro esperienza storica di “sopravvissuti”,hanno dovuto mettere in atto modelli per la sopravvivenza,alle carestie, all’ingiustizia, alla guerra…dovevano alla fine del magro raccolto soddisfare gli accordi contrattuali con il padrone, pagare le tasse…e quello che rimaneva destinarlo alla famiglia. Perciò il possesso della terra era la loro “terra promessa” , per essa erano disposti a fare qualsiasi sacrificio, togliersi il pane dalla bocca. La politica di “contadinizzazione” messa in atto dal fascismo aveva un solo obiettivo:ruralizzare la società .
Lo slogan era:” Provate a dare un fazzoletto di terra ad un rivoltoso bracciante e…. lo trasformerete in fiero agricoltore”Ma fino alla fine dell’ottocento il 90% della terra coltivata era posseduta dal 2% della popolazione, che attraverso fitti e subaffitti, arrivava a quella massa di disgraziati costretti a subire ed a ubbidire. In verità, nei momenti di carestia non mancarono le rivolte,ma la classe baronale, sapeva come uscirne. Il tentativo di abolire il sistema feudale si risolse in una sonora beffa. I Barboni che speravano di elargire un po’ di terra ai contadini ,finirono per togliere quel poco che rimaneva per diritti di uso civico e non disporre di quelli del demanio. Il nostro storico risorgimento e tutto costellato da eventi eroici, ma dopo l’unità d’Italia tutto si svolse all’ombra delle usurpazione di terre, in particolare della mano morta i beni della chiesa: il barone Inglese compra Santa Maria del Bosco di 2000 ettari per poco meno di duemila lire, pagabile in 19 anni!
Nei primi anni cinquanta, la lotta per la terra assume due direttive, la prima radicale che proponendo lo sproprio dei feudi e la loro distribuzione a quanti non ne avevano. La Federterra ha questo obbiettivo: molte grosse proprietà mancano di atti dimostranti il possesso e ancor più la proprietà. Sarà paradossale ,ma basta leggere il libro di Leonardo Sciascia”Il consiglio d’Egitto”o vedersi la traduzione teatrale con Turi Ferro e Tuccio Musumeci dove cogliamo tutto l’odio dei baroni siciliani per Caracciolo il vicerè riformatore. Questa battaglia e portata avanti dai comunisti e socialisti.L’altro fronte era organizzato da piccoli e medi proprietari, i quali disponendo di qualche risparmio erano disposti ad acquistarli purchè non venissero sottoposti a sorteggio. Fu uno scontro durissimo che lasciò pochi, poveri cristi assegnatari, mentre la gran parte anticipando dei soldi completarono la proprietà con i lotti.
Il fronte era rappresentato da una parte Peppe Volpe che attraverso prestiti agevolati consentiva ai piccoli proprietari di acquistare pezzi di terreno dei feudi. Lo stesso Volpe nella sua intervista rilasciata a Danilo Dolci, sostiene che i grossi proprietari hanno una gran stima di Lui. Nel sempre più concreto rischio di un esproprio delle proprietà i feudatari sono propensi ad una mediazione ovvero la vendita. L’altro fronte è raffigurato dalla sinistra Comunisti e Socialisti con posizioni molto radicali e comunque poco incline a scendere a compromessi .Molti di questi feudi, mancavano di titoli di proprietà, usurpati al Regno Borbonico e allo stato unitario.
Menfi visse all’interno della sua comunità rurale una profonda e lacerante spaccatura. I piccoli mezzadri,coloni e braccianti, se volevano accedere alla terra dovevano indebitarsi fino al collo mentre per i contadini medi il rischio era minore e potevano scegliersi i terreni migliori. I piccoli fazzoletti di terra resistettero alla crisi degli anni sessanta grazie alla disponibilità irrigua della diga Arancio e all’introduzione della coltura del carciofo ma molti emigrarono
Poi come un evento traumatico il terremoto del 68, si”ruppero le acque”, questo paese da secoli, riservato, immobile , periferico sonnolente viene espulso,viene lanciato violentemente verso la “modernità”:Il terremoto scuote le mura delle case, ma anche le coscienze di tutta la sua popolazione. Costretti per qualche anno ad indicibili sacrifici,sono obbligati alla convivenza forzosa ricomposte dentro capannoni e baraccopoli, una promiscuità sociale che poco a poco fa giustizia di vecchi pregiudizi,ricompone nuove convivenze ,con non pochi accenni di solidarietà. Malgrado l’evento sismico questo paese si apre,schiude le finestre sul mondo. cambia l’assetto urbano,le campagne piano piano si popolano e assumono sempre più nuovi scenari paesaggistici, sulla costa spuntano le seconde e terze case. Ora possono studiare tutti comprese le ragazze,in un crescento rossiniano assistiamo, grazie alle cantine sociali ad un benessere diffuso,la politica sociale elimina gli ultimi sacchi di povertà. Le nuove generazioni oggi vivono in un contesto socio economico neanche lontanamente paragonabile a quello dei loro padri o dei loro nonni ,il clima politico è sereno e il confronto e civile, non ci sono più nemici di classe, ma avversari politici.
Tuttavia in questo nostro paese esistono due “criticità”, la presenza invasiva e permeante il tessuto sociale della Massoneria ed il livello culturale della sua popolazione. Iniziamo da quest’ultimo aspetto. Siamo certi che la nostra comunità esprime eccellenti qualità professionali, dal campo medico, all’ingegneria ad uomini di legge, ecc. ma la loro competenza-conoscenza si ferma dentro gli angusti confini delle materie professionali. Così che temi come l’arte, il cinema ,il teatro o la letteratura in generale restano marginali nel bagaglio culturale della maggior parte dei nostri concittadini.
Alcuni anni fa il sindaco Lotà istituì l'Istituzione culturale Federico II con lo scopo di promuovere la Cultura .Questo paese non ha un cinema, un teatro, né centri di lettura, l'Istituzione doveva sopperire a queste storiche carenze aprendo nuove finestre sul mondo su temi che coinvolgono la nostra esistenza nella realtà contemporanea. I Greci, il popolo più intelligente mai apparso sulla terra, aveva compreso che la vita per viverla al meglio contro le avversità ,doveva essere “sorretta” ovvero dare ai suoi cittadini gli strumenti cognitivi per affrontare eventuale difficoltà. L’epoca ellenica si caratterizzò per una ricca produzione di tragedie che non trascurarono nel suo obbiettivo finale il risvolto didattico. Nella nostra epoca viviamo le emergenze ambientali come se fossimo spettatori, i temi della sicurezza con patetica drammaticità, le possibili integrazioni con astio e fastidio . Per non parlare dei temi della scuola, la stessa questione dei giovani,fino al tema più scottante del femminicidio: abbiamo poche idee e…confuse. E pur vero che la scarsa sensibilità della gente su questi argomenti ha il suo peccato originario nella scuola .
Ma a cosa doveva servire l'Istituzione?. Quali obbiettivi si prefiggeva? Quale la sua “missione”.Sta di fatto, senza voler offendere quanti operano nella Istituzione, essa divenne nel tempo, una “leggera” passerella per inconsapevoli narcisisti ,animati dal desiderio della comparsa o della scena a cui va rispettato e riconosciuto la buona volontà .L’Istituzione si limitò a tradurre la “cultura” nelle sua versione classica ovvero letteraria scolastica e tutto questo “volando” molto basso,bassissimo. Resta a noi risolvere il problema , ovvero se consideralo uno strumento comunicativo-informativo o se fargli assurgere una valenza dirompente: “educativa” di vera crescita culturale
Che la gente sia ignorante o che se ne faccia un vanto, a noi non ci disturba più di tanto, diviene un problema se vengono coinvolti in scelte che possono condizionare la nostra vita.
La presenza della Massoneria nel nostro paese, a leggere il libro di Lotà e Riportella” Un secolo di Inquietitudine”,la ritroviamo, confusa con la Carboneria fin dai primi anni dell’ottocento impegnata a contrastare il regime borbonico. Rimane poco chiaro il ruolo della Massoneria dopo la realizzazione dell’Unità d’Italia. Ci viene il sincero dubbio che il suo obbiettivo non era solo e solamente l’unificazione del paese. Ma noi non vogliamo entrare nel complesso e complicato mondo “esoterico”,lasciamo ai suoi adepti di manifestare al meglio i propri ideali.
In verità la presenza di due logge e il gran numero di fratelli iscritti qualche dubbio c’è lo pone Una piccola divagazione: Nel dopoguerra gli americani con il piano Marchal hanno investito enorme quantità di denaro nel mezzogiorno, ma invitarono due università americane una di economia e una di sociologia, di seguirne l’evoluzione. Ebbene il tratto distintivo che colpì gli studiosi americani era un profondo e diffuso “familismo” che permeava la società civile a tutti i livelli a partire dal comune senso della vita quotidiana”addifenni lu to o rittu o tortu” fino ad una solidarietà tribale ben presente nelle faide nostrane del nostro mezzogiorno. Questo nostro atteggiamento non meraviglia più di tanto Umberto Galiberti, il quale collegando la nostra cultura ovvero della “Magna Grecia” a quella della Madrepatria, Il filosofo non ha dubbi :siamo eredi di Antigone, la protagonista della tragedia di Sofocle .Ora ci chiediamo se queste forme securitarie, di autodifesa, di protezionismo siano il retaggio di una risposta che aveva visto lo Stato nelle sole due forme più repulsive ovvero : il carabiniere( lo sbirro) e l’esattore delle tasse. Non per niente Sciascia acuto osservatore delle vicende nostrane. segna la data di nascita della mafia facendola coincidere col periodo della dominazione spagnola, quando i processi o meglio la giustizia si esercitava a Madrid con una lentezza svernante Una società civile regolarmente istituitasi non può permettersi un vuoto nell’esercizio della giustizia. Non può esserci una “vacazio” il vuoto prima o dopo dovrà essere colmato. Tuttavia senza voler scomodare Spinoza può accadere che il “fine” proposto inizialmente magari con nobili finalità, lungo il tempo “degeneri”segua percorsi anomali e quello che il grande filosofo definì:” eterogenesi dei fini”.
Ebbene, e se la partecipazione a questa associazione nella sua versione familistica, garantisse significati vantaggi agli adepti?. Quale istituzione meglio della Massoneria disporrebbe di un sistema “informatico”, attraverso l’anonimato dei suoi fratelli di controllare condizionare o ricattare i componenti di questa comunità?.
In verità non sono stati rari i casi di palesi ingiustizie, nelle assegnazioni o nei concorsi o quanto meno in un equilibrato giudizio di merito. Per chi vive in questo paese,sia ai giovani che ai loro genitori, si pone un dilemma”cornuto”: Aderire e coglierne eventuali vantaggi o restarne fuori e lottare per far crescere questo paese lontano, il più possibile ,dal “familismo” dalle raccomandazioni, dai favoritismi in nome di uno Stato di diritto, di vera uguaglianza, di attendibile giustizia sociale. Se posso aiutarvi nella scelta consentitemi di suggerirvi la lettura di un libro di Primo Levi:” Salvati e Sommersi”
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