domenica 15 aprile 2018

Il cavaliere Giuseppe Volpe


Il cavaliere Giuseppe Volpe
(Peppi  Vurpi)





di Peppino Bivona
  
Al circolo Universitario quel pomeriggio  le ore trascorrevano   lente e pigre, quando in lontananza sentimmo il rumore delle
saracinesche abbassarsi con  sincronica sequenza, l’ultima, quella più rimbombante, che destò i più intorpiditi, arrivò dalla
rivendita di tabacchi  di don Lillo  Tavormina, di fronte al nostro Circolo.  
 Ricordo che la buonanima di Filippo Alesi,a cui la curiosità non faceva difetto, si alzò, apri l’ampia  vetrata che dava sulla strada ed esclamò 
“Si portano a Peppi Vurpi|!”
 I più, noncuranti, non si distrassero più di tanto, continuarono la lettura del giornale, ma Filippo mi rivolse lo sguardo e dal segno della testa, compresi ch’era doveroso tributare un ultimo saluto a questo singolare personaggio che per più di mezzo secolo fu protagonista delle vicende menfitane .
Ci accodammo allo striminzito corteo funebre , poche persone , ancor meno la presenza di  parenti.
  
Di Peppi Vurpi eravamo attratti  da una singolare curiosità, in modo   particolare dopo aver letto la sua intervista rilasciata a Danilo Dolci in “ Spreco” .Una personalità  dall’aspetto modesto e dai modi semplici, ma che inevitabilmente lo troviamo al centro dei nodi cruciali della vita politica menfitana, tra vicende storiche complesse  e talvolta complicate ,che per anni hanno animato  accesi
dibattiti  dando luogo a giudizi contrastanti.
Per anni lo abbiamo visto seduto dietro il bancone della rivendita di tabacchi in via della Vittoria, con lo scialle sulle gambe, premurosamente accudito dalla moglie e dalla
cognata santamariganterese.
 “ Cavalè ,una nazionale ed una esportazione senza filtro”  e lui calmo e docile apriva la bustina ed introduceva le due sigarette per 20lire. Dietro il bancone sembrava piccolo ,piccolo, eppure  per questo paese  era stato un “Gigante”
La lunga strada che porta al cimitero conta un paio di kilometri , non molti  ma neanche pochi ,in verità sufficienti a meditare sulla vita del defunto, quasi a consentirne un singolare bilancio, certo disgiunto  dalla pietà che si deve  per chi lascia  questo mondo.
“Resta nella storia” dissi rivolgendomi a Filippo e rompendo il silenzio “Che un ammanco di grano di diversi quintali sottratti alla Cooperativa Colajanni, nel dopoguerra, possa essere imputabile ai  passeracei voraci che ,cip cip ,giorno e notte  trasportavano attraverso una finestrella ,nei loro nidi gran parte del grano stoccato in magazzino”
Filippo, rallentò un poco il passo, poi riprese” La verità è che voi comunisti non l’avete mai “digerito” un uomo che non fosse legato ad alcuna ideologia, fuori dagli apparati, che pensa con la sua testa: vi risulta alquanto scomodo. L’esproprio del feudo Fiore  resta il suo vero “capolavoro” .Ti sei mai chiesto perché solo a Menfi il movimento “Reduci e Combattenti” divenne vincente? Perché a Ribera come in altri paesi non avvennero alcun esproprio? Peppi Vurpi ebbe l’intelligenza di motivare l’esproprio del feudo Fiore non solo per distribuire le terre ai combattenti ( come era stato promesso da Diaz sul fronte del  Carso) ma legarla ad una giustificazione di natura sanitaria ,ovvero quei terreni incolti o scarsamente coltivati erano la vera e principale fonte di malaria”
Restammo un po’ indietro  in previsione che la discussione potesse accendersi.
Replicai:”L’esproprio del feudo Fiore è ancora tutto da scrivere. Resta comunque il fatto che Peppe Vurpi non ha mai creduto alla Riforma Agraria, neanche quando nel dopoguerra militò nelle file del partito Comunista. Anzi molte delle sue azioni furono indirizzate a contrastare i pur minimi tentativi di espropriazione di terreni incolti o scarsamente coltivati”. Filippo si fermò accese la sigaretta e replicò “ Se dobbiamo dire la verità, e si eccettua qualche dirigente regionale ,come Li Causi, il partito Comunista nazionale non aveva capito niente dei problemi della terra e dei contadini. In fondo restava prigioniero della visione marxista-leninista, dove la classe operaia era la sola designata a realizzare la rivoluzione”
Ora si vedevano i primi alberi lungo la strada del camposanto. Capii che Peppi Vurpi, per meglio “decifrare” la sua vita avevamo bisogno di molti altri Kilometri            

 Il corteo si arrestò al cancello del cimitero , tra i pochi che si avvicinarono alla bara  scorsi
l’ingengnere “Sasa” Li Petri.  Alzo il suo lungo braccio, come a chiedere attenzione e con voce commossa rotta dall’emozione esclamò :
“ Peppe questo paese  ti ha lasciato  solo   non ha  avuto il “coraggio”  di riconoscere i tuoi meriti,il tanto bene che hai fatto per loro.
Sono rimasti a casa  hanno avuto “paura” di tributarti  l’ultimo saluto!
 Ma io sono certo  che un giorno i loro figli e nipoti ti saranno grati per quanto  hai saputo fare per questa  comunità.”
Il geometra Rosario Li Petri non parlava molto ma quel pomeriggio  aveva una gran voglia di raccontare come erano andati i fatti !
Tra i tanti che erano rimasti a casa c’erano alcuni che non hanno mai condiviso il trasformismo di Peppi Vurpi ,  considerandolo privo di una coerenza ideale e politica.
Resta innegabile che Il nostro Peppe da vero contadino  aveva saputo interpretare quell’atavica “fame “ di terra , Quella terra che quei “dannati “ se la sentivano addosso come una seconda pelle.  Questa terra da lavorare , che esigeva
fatiche quasi disumane,  da mattina a sera , col cado e con la pioggia o col vento, tutti i santi giorni:  doveva
essere  Sua,aveva il sacrosanto diritto di averne il pieno e totale possesso!
 Il frutto del suo sudore non andava spartito con nessuno!
 Oggi  a distanza di molti anni  attraversiamo  distratti  queste nostre campagne menfitane, godiamo di un paesaggio agricolo unico ed inconfondibile, espressione di una ruralità ,un  tessuto  sociale,  di una struttura  economica   felicemente  e armoniosamente  combinati.
Ebbene, Si, questo piccolo miracolo  lo dobbiamo in buona parte  a questo piccolo modesto lungimirante contadino

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