Il cavaliere Giuseppe
Volpe
di Peppino Bivona
Al circolo Universitario quel pomeriggio le ore trascorrevano lente
e pigre, quando in lontananza sentimmo il rumore delle
saracinesche abbassarsi con
sincronica sequenza, l’ultima, quella più rimbombante, che destò i più
intorpiditi, arrivò dalla
rivendita di tabacchi
di don Lillo Tavormina, di fronte
al nostro Circolo.
Ricordo che la
buonanima di Filippo Alesi,a cui la
curiosità non faceva difetto, si alzò, apri l’ampia vetrata che dava sulla strada ed esclamò
“Si portano a Peppi Vurpi|!”
I più, noncuranti, non
si distrassero più di tanto, continuarono la lettura del giornale, ma Filippo
mi rivolse lo sguardo e dal segno della testa, compresi ch’era doveroso
tributare un ultimo saluto a questo singolare personaggio che per più di mezzo
secolo fu protagonista delle vicende menfitane .
Ci accodammo allo striminzito corteo funebre , poche persone
, ancor meno la presenza di parenti.
Di Peppi Vurpi eravamo attratti da una singolare curiosità, in modo particolare dopo aver letto la sua intervista
rilasciata a Danilo Dolci in “ Spreco” .Una personalità dall’aspetto modesto e dai modi semplici, ma che inevitabilmente lo troviamo al centro
dei nodi cruciali della vita politica menfitana, tra vicende storiche complesse e talvolta complicate ,che per anni hanno
animato accesi
dibattiti dando luogo
a giudizi contrastanti.
Per anni lo abbiamo visto seduto dietro il bancone della
rivendita di tabacchi in via della Vittoria, con lo scialle sulle gambe, premurosamente
accudito dalla moglie e dalla
cognata santamariganterese.
“ Cavalè ,una
nazionale ed una esportazione senza filtro”
e lui calmo e docile apriva la bustina ed introduceva le due sigarette per 20lire. Dietro il bancone
sembrava piccolo ,piccolo, eppure per
questo paese era stato un “Gigante”
La lunga strada che porta al cimitero conta un paio di
kilometri , non molti ma neanche pochi
,in verità sufficienti a meditare sulla vita del defunto, quasi a consentirne
un singolare bilancio, certo disgiunto
dalla pietà che si deve per chi
lascia questo mondo.
“Resta nella storia” dissi rivolgendomi a Filippo e rompendo il silenzio “Che un ammanco di grano di diversi quintali sottratti alla Cooperativa Colajanni, nel dopoguerra, possa essere imputabile ai passeracei voraci che ,cip cip ,giorno e notte trasportavano attraverso una finestrella ,nei loro nidi gran parte del grano stoccato in magazzino”
Filippo, rallentò un poco il passo, poi riprese” La verità è
che voi comunisti non l’avete mai “digerito” un uomo che non fosse legato ad
alcuna ideologia, fuori dagli apparati, che pensa con la sua testa: vi risulta
alquanto scomodo. L’esproprio del feudo Fiore
resta il suo vero “capolavoro” .Ti sei mai chiesto perché solo a Menfi
il movimento “Reduci e Combattenti” divenne vincente? Perché a Ribera come in
altri paesi non avvennero alcun esproprio? Peppi Vurpi ebbe l’intelligenza di
motivare l’esproprio del feudo Fiore non solo per distribuire le terre ai combattenti
( come era stato promesso da Diaz sul fronte del Carso) ma legarla ad una giustificazione di
natura sanitaria ,ovvero quei terreni incolti o scarsamente coltivati erano la
vera e principale fonte di malaria”
Restammo un po’ indietro in previsione che la discussione potesse
accendersi.
Replicai:”L’esproprio del feudo Fiore è ancora tutto da
scrivere. Resta comunque il fatto che Peppe Vurpi non ha mai creduto alla
Riforma Agraria, neanche quando nel dopoguerra militò nelle file del partito
Comunista. Anzi molte delle sue azioni furono indirizzate a contrastare i pur
minimi tentativi di espropriazione di terreni incolti o scarsamente coltivati”.
Filippo si fermò accese la sigaretta e replicò “ Se dobbiamo dire la verità, e
si eccettua qualche dirigente regionale ,come Li Causi, il partito Comunista
nazionale non aveva capito niente dei problemi della terra e dei contadini. In
fondo restava prigioniero della visione marxista-leninista, dove la classe
operaia era la sola designata a realizzare la rivoluzione”
Ora si vedevano i primi alberi lungo la strada del
camposanto. Capii che Peppi Vurpi, per
meglio “decifrare” la sua vita avevamo bisogno di molti altri Kilometri
Il corteo si arrestò
al cancello del cimitero , tra i pochi che si avvicinarono alla bara scorsi
l’ingengnere “Sasa” Li Petri. Alzo il suo lungo braccio, come a chiedere attenzione
e con voce commossa rotta dall’emozione esclamò :
“ Peppe questo paese
ti ha lasciato solo non ha avuto il “coraggio” di riconoscere i tuoi meriti,il tanto bene che hai fatto per loro.
Sono rimasti a casa
hanno avuto “paura” di tributarti
l’ultimo saluto!
Ma io sono certo che un giorno i loro figli e nipoti ti
saranno grati per quanto hai saputo fare per questa comunità.”
Il geometra Rosario Li Petri non parlava molto ma quel
pomeriggio aveva una gran voglia di raccontare come erano andati i fatti !
Tra i tanti che erano rimasti a casa c’erano alcuni che non
hanno mai condiviso il trasformismo di Peppi Vurpi , considerandolo privo di una coerenza ideale e
politica.
Resta innegabile che Il nostro Peppe da vero contadino aveva saputo interpretare quell’atavica “fame
“ di terra , Quella terra che quei “dannati “ se la sentivano addosso come una seconda
pelle. Questa terra da lavorare , che
esigeva
fatiche quasi disumane,
da mattina a sera , col cado e con la pioggia o col vento, tutti i santi
giorni: doveva
essere Sua,aveva il
sacrosanto diritto di averne il pieno e totale possesso!
Il frutto del suo sudore
non andava spartito con nessuno!
Oggi a distanza di molti anni attraversiamo
distratti queste nostre campagne
menfitane, godiamo di un paesaggio agricolo unico ed inconfondibile,
espressione di una ruralità ,un tessuto
sociale, di una struttura
economica felicemente e armoniosamente combinati.
Ebbene, Si, questo piccolo miracolo lo dobbiamo in buona parte a questo piccolo modesto lungimirante
contadino
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