La sede del partito socialista italiano a Menfi in
quegli anni era vicino il Collegio , (ovvero l'abbatia) , separato da un
piccolo cortile. Il locale era angusto, infossato e modestamente arredato . I
socialisti a Menfi non erano molti , ma-per contro molto combattivi.
Pietro Nenni in quei giorni era in Sicilia e si diffuse la voce che in mattinata sarebbe passato da Menfi per un breve saluto ai compagni. Il segretario della sezione ,il signor Titone era euforico, qualcuno gli fece notare che l'orario era infelice, la gente impegnata nei lavori dei campi,non si poteva organizzare una accoglienza come meritava. Il signor Titone ( inteso dai compagni “badilluni”), era irremovibile: costi quel che costi, il glorioso compagno Nenni, doveva fare il comizio!
Fu cosi che due
possenti giovanotti uscirono dall'angusta sede il palchetto di
legno(vancareddu), su cui salirono Titone e Pietro Nenni .Gli uditori eravamo
pochi, ma pieni di orgoglio per vivere questo storico privilegio. Il
segretario Titone pronunciò poche frasi di presentazione,rotte da una
indicibile emozione, poi passò la parola a Nenni.
Mentre ascoltavo gli occhi si indirizzarono verso l'illustrazione del tabellone steso
sulla porta in alto all'entrata della sezione:Partito Socialista Italiano poi
l'effige con lo sfondo i raggi del sole(dell'avvenire), un libro aperto e
sopra la falce e il martello. Poi sotto con caratteri più piccoli “ sez. di
Menfi Peppino Bivona”.
A quel tempo il signor Titone, originario di
Csstelvetrano, abitava con la sua famiglia al primo piano della casa di mia zia
Lillina, di fronte al cinema Pirandello,dove al piano terra era allocata la
bottega di calzolaio di mio zio.Per giorni non si fece che parlare dell'evento,
ovvero la visita di Nenni, protagonista incontrastato era sempre Lui: il signor
Titone,tempestato di domande,anche le
più curiose su Pietro Nenni.
Fu cosi che in una breve pausa,chiesi al segretario
della sezione chi fosse quel personaggio il cui nome figurava sotto lo stemma
del partito socialista. Il Titone si fece serio
si abbassò per portarsi alla mia altezza e con voce ferma e seria mi
disse:”Pippinè, quell'uomo fu il difensore dei contadini, ed era una persona intelligente, di buona famiglia, aveva capito che non si
può essere ricchi in mezzo ai poveri!”.
Passarono gli anni
e occasionalmente ne sentii parlane di Peppino Bivona al “circolo” della
biblioteca comunale dove l'anziano Giovinco e il vecchio Rotolo, avevano
ricordi più “freschi”. Lo soprannominavano “ scupidda” ed erano quasi stupiti e intimoriti della
sua vita cosi spericolata,impegnata
avventurosa. In questi brandelli di memoria don” Minicheddu” Bucalo aveva un
rammarico: questa scelta di “campo” e di
vita non fu compresa dalla famiglia!
Nei primi anni settanta i fratelli Taviani lanciarono
due film a distanza di due anni:”San Michele aveva un Gallo e poi Allosanfan. I
temi trattati dai due registi avevano in comune la reazione morale e politica
dei protagonisti di origine borghese di fronte alle prevaricazioni del
potere,alle condizioni di miseria in cui erano condannati gran parte della
popolazione rurale. Rivendendo quei film
mi sembrò di vivere le vicissitudine del nostro maestro Peppino Bivona.
L'ambientazione era il nostro mezzogiorno,l'epoca la seconda metà
dell'ottocento,stessa estrazione sociale , media borghesia benestante. Il
dramma dei nostri protagonisti virtuali e reali, era quello di aver sacrificati
la propria vita ad un ideale ,ma raccogliendone delusioni e amarezze .Ma cosa
spinge un intellettuale tutto sommato benestante, ad abbracciare la causa
sovversiva o rivoluzionaria? Quali supremi ideali possono anteporsi agli affetti
della famiglia ,dell'amore per la mamma?
Eppure sacrificano tutto questo e altro per una causa e, l'ideale! Rinunciano ad una vita agiata, sicura, un
avvenire certo, in cambio di privazioni
, sacrifici, disagi, e non per ultimo il carcere e la morte stessa.
Tentare di comprenderne le ragioni è impossibile per
il semplice motivo che qualsiasi
tentativo di riflettere su questa “scelta di vita” cozzerebbe con la ….ragione
Non dimeno per
questi “eroi”abbiamo un debito di riconoscenza: sono questi “inciampi” che
fanno evolvere la società,gli accidenti che rompono la normalità,la mediocrità
della vita ordinaria e ordinata.Il mio amico Saverio che insegna Fisica lo
giudicherebbe un “salto quantico” come
dire che un elettrone cambia orbita.
Qualche anno fa usci nelle sale cinematografiche un film” Commè bello lu murire uccise” interpretato da un magnifico Stefano Santaflores. Un film biografico su Carlo Pisacane eroe risorgimentale che narra l'eccidio consumatosi a Sapri. Qui c'è tutto: una buona dose di narcisismo, una sensibilità umana verso gli sfruttati , l'avversione per l'ingiustizia,l'anelito di libertà per la propria terra. Resta sotteso una strana “vocazione al martirio” una testimonianza forse ereditata dai primi cristiani, che offrivano le loro carni alle belve per fortificare ed estendere la loro fede in Cristo.
Dopo più di due mill'enni ci chiediamo:c'è qualcosa o qualcono per cui valga la pena di sacrificare la propria vita?
Non c'è niente che valga più della nostra vita!
Peppino Bivona
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