domenica 28 ottobre 2012

Alla ricerca delle radici perdute Seconda parte



Giuseppe Bivona

“Il tuo dio visibile  che fonde insieme le cose impossibili e li costringe a baciarsi… Oro,oro giallo ,fiammeggiante prezioso? . No ,oh Dei, non sono un vostro vano adoratore. Radici  chiedo ai limpidi cieli

W. Shake sperare “ Timone d’Atene “
                                                              Alice socchiude leggermente gli occhi, gli ultimi raggi di sole s’infrangono con le foglie cangianti del suo albero di noce ,  i colori si fondono e nello stesso tempo si confondono…
 Stranamente  i suoi occhi si posarono sul terreno dove prende avvio lo  sviluppo del  tronco:
 Chissà cosa ci riserva la gran  mole di radici !         
Che strano, pensava tra se e se Alice,  non sarà che  la metafora delle radici  permette  di far passare  per ordine naturale  la sottomissione  ad una autorità ? O giustificare la “tradizione?   Cosa vorrebbe comunicare questo singolare albero di noce  se la sua unica “espressione”   sarebbe costituita solo dalla sua  identità ?
Alice  rimane perplessa, non comprende appieno  perche la “tradizione “ abbia  la necessità di  una metafora .
 Cosa che non accade  invece per il progresso . l’uguaglianza,   e la libertà :  le sole in grado di spiegarsi da sole ….
  La folta chioma del noce nasconde la gran massa di radice: sono un immenso groviglio di esili filamenti , sparsi in tutte le direzione  , esplorano ogni tratto del terreno, si accrescono ogni anno …come la nostra  identità : cose vive e concretate , atti ,patrimoni , eredità,esperienze , legami , gesti ,  modi di dire,  simboli, ….
Forse senza il richiamo alle radici  un “tradizionalista” non riuscirebbe  a dirci come sia concretamente costituita  la tradizione o l’identità
In fondo  le radici sono  un simbolo  riassuntivo  che lega  l’uomo alla terra  , la vita umana alla natura
  Per Alice  l’albero . le piante  , le radici  hanno sempre costituito la  più semplice , ma nello stesso tempo la più profonda , configurazione dell’umano.

Eppure   nella storia sell’uomo, il richiamo alle radici,  paradossalmente   hanno costituito  le premesse  per rancori e odi, verso chi non condivide le nostre radici o  manifestato  intolleranze verso chi  non li riconosce

Alice non sembra avere  dubbi:  spesso le radici degenerano in alibi . La violenza nasce dal capovolgere  le radici  in frutto  e poi brandirli come rami, violando la loro nascosta profondità
La stessa cosa non è forse accaduto in nome dei diritti  umani dell’uguaglianza, della libertà ,o persino della fede?
Oggi viviamo in un tempo di continui “trapianti” , sembrano quasi logici  il vivere e lo sradicarsi frequentemente  senza curarsi della nostra capacità di “attecchimento” .
 Chissà ,pensò Alice se esistono persone che possono vivere senza radici ….le colture idroponiche nella loro insensatezza, producono.
No, non si può imporre l’amore  delle radici , a chi non le ha, non le sente , non le riconosce.
Il vero dramma della nostra epoca e la perdita delle “radici” ovvero dei legami, lo spaesamento, la solitudine, la vita labile e precaria che si agita sconclusionata.
Avere radici   vuol dire non esaurire la propria vita nel presente o nell’egoismo di una esistenza autarchica, nella consapevolezza che si viene da lontano , avere un passato e di certo un avvenire, coltivare la vita e non consumarla, amare le proprie origini e stabilirne connessioni .
L’atto dello sradicamento  evoca in se violenza , cosa che è completamente assente nel radicarsi.
Per la Weil lo sradicamento “è la più pericolosa  delle malattie della società umana”. 


 

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