Non si può parlare di PAC ignorando la genesi.
La PAC esiste solo ed esclusivamente perchè i consumatori, cittadini europei, nonchè azionisti di maggioranza continuano a pagare le tasse, per alimentare il sistema dei sussidi.
Nel corso dei sessanta anni di vita, la PAC ha subito frequenti evoluzioni, proprio perchè gli azionisti di maggioranza sono diventati molto esigenti.
Una sorta di vero scambio,(scritto anche nei reg.cee) io cittadino europeo continuo a sostenere il mondo agricolo, pagando le tasse, tu agricoltore adotti una serie di soluzioni, a favore dell'ambiente, dell'alimentazione e del prossimo.
Se si dovesse interrompere questo patto tra galantuomini, il mondo agricolo non ne trarrebbe nessun beneficio, anzi! Ricordiamo anche che L’80% dei finanziamenti PAC va al 20% degli imprenditori agricoli e premia l’agricoltura intensiva.
Le strategie del Green Deal, come la Strategia Farm to Fork e la Strategia Biodiversità 2030, sono politiche lungimiranti, malgrado qualche agitatore senza scrupolo sostiene il contrario.
Le proteste dell'europa del Nord, non hanno niente da spartire con gli interessi degli agricoltori del sud italia, per il semplice fatto che hanno interessi opposti.
Delegato Azionista di MaggioranzaOra ricordiamo un po di genesi sulla PAC
Una
delle conseguenze del “perenne” processo di riforma della
Politica Agricola Comunitaria (Pac)
è il progressivo avvicinamento dell’agricoltura (nel suo senso più
ampio) ai consumatori e più in generale ai cittadini europei. Oggi
il settore agricolo, nella moderna logica della Commissione, si pone
sempre di più al servizio dei cittadini e dei consumatori fornendo
cibi sempre più “sicuri”, in quanto sani, salubri, ottenuti con
tecniche rispettose dell’ambiente e degli animali, e in linea con
il ruolo multifunzionale che contraddistingue l’agricoltura
europea. Lo scopo della Pac non
è più quello di rispondere ad una esigenza di food security ma
bensì di food safety, offrendo ai consumatori europei cibi e
contenuti di qualità. Qualità intesa nel senso più ampio del
termine.
Se questo è lo scenario attuale, quali sono le tappe che
sono state seguite e quali sono le ripercussioni, per i consumatori e
per le imprese delle filiere alimentari, di una politica agricola
che, di fatto, tiene in maggiore considerazione rispetto al passato
le istanze e le aspettative dei consumatori ?
Verso una PAC “consumer oriented”
La PAC sin
dalla sua nascita ha posto grande attenzione ai consumatori. L’art.
33 del Trattato di Roma poneva infatti tra gli obiettivi da
perseguire quelli di “aumentare
la produttività dell’agricoltura” di “garantire la sicurezza
degli approvvigionamenti” e “assicurare prezzi ragionevoli nelle
consegne ai consumatori”.
In altre parole, la nascente Pac perseguiva
chiaramente una politica di food security e accesso al cibo anche
alle fasce di popolazione meno abbiente.
Dopo anni di guerra, in
piena fase di ricostruzione economica e industriale dell’Europa e
in una società ancora profondamente radicata nelle aree rurali e
legata all’agricoltura, questo obiettivo era sicuramente teso a
facilitare l’avvio di una industria alimentare, facilitare
l’accesso al cibo da parte dei consumatori e a lasciare parte del
bilancio famigliare per spese diverse da quelle alimentari e, quindi,
sviluppare altre tipologie di consumo consentendo la crescita di
altri settori economici.
L’azione della Pac,
sotto la spinta dell’allora “Politica dei prezzi”, ha
contribuito significativamente al crescere generale dell’economia
europea, alla nascita di nuovi modelli di consumo, nonché alla
progressiva internazionalizzazione. Quest’ultima azione dovuta sia
alla “necessità” di riversare sul mercato mondiale le
commodities eccedenti al fabbisogno del mercato europeo sia alla
possibilità di esportare prodotti agricoli trasformati ad
alto valore
aggiunto.
Rimanendo in campo europeo, però l’apertura concreta di uno
“spazio europeo” o meglio di un Mercato Unico, ha dato la
possibilità alle aziende di espandere i propri mercati sia nella
fase di collocamento dei beni di consumo che, soprattutto nella fase
di reperimento delle materie prime e dei prodotti semilavorati da
utilizzarsi all’interno delle filiere. In altre parole si è
passati da filiere locali (su base regionale e nazionale) a filiere
internazionali, spesso molto parcellizzate, sviluppate su scala
europea dove, le materie prime viaggiavano da un Paese ad un altro
proprio per soddisfare gli interessi delle industrie (di qualità e
prezzo) e, di conseguenza, dei consumatori europei.
Questa nuova
condizione di tipo economico e organizzativo, avvenuta in Europa a
metà degli anni 90 ha avuto una notevole ripercussione anche
sulla Pac in
quanto si è presentata la necessità di garantire ai consumatori
europei la qualità delle derrate agricole in seguito a fenomeni di
contaminazione e intossicazione degli alimenti dovuti rispettivamente
a tecniche di produzione troppo intensive e dell’azione
(fraudolenta) di alcuni intermediari di filiera che non svolgevano in
modo adeguato e rigoroso alcune trasformazioni tecniche e i relativi
controlli sulle materie prime ricevute e poi commercializzate. Ne
sono derivati veri e propri “scandali alimentari” che,
rispettivamente nel settore della carne bovina e nel settore della
carni avicole, hanno generato, come conseguenza diretta, una generale
sfiducia dei consumatori europei nei confronti delle produzioni
agricole e una conseguente crisi di mercato a seguito di un vero e
proprio crollo dei consumi per queste derrate.
Davanti alla
concreta possibilità di mettere in crisi intere filiere alimentari
europee e per affrontare la crescente “sfiducia” verso una
sistema produttivo agricolo molto costoso per le casse dell’Unione
Europea, la Commissione ha iniziato un percorso, non ancora
terminato, che si pone come obiettivo quello di innalzare il livello
qualitativo dei prodotti alimentari europei attraverso una serie di
azioni da intraprendere con ricadute dirette sulla fase produttiva
agricola, sulla trasformazione industriale, sul trasporto e sulla
conservazione delle derrate, sulla distribuzione e quindi sul
consumatore.
"Dal campo alla tavola”: come la tracciabilità sta cambiando il mercato
Il
progetto con cui l’Europa ha affrontato il tema della sicurezza
alimentare (intesa
come food safety) è contenuta nell’ormai famoso Libro bianco
sulla Sicurezza
Alimentare (EU,
COM 719/99). Nello spirito europeo, sicurezza degli alimenti non
significa uniformità, ma anzi l’UE promuove la diversità basata
sulla qualità e in questo l’UE incoraggia i suoi agricoltori a
concentrarsi sulla qualità, non solo degli alimenti ma anche
dell’ambiente rurale. Nondimeno l’UE rispetta il diritto dei
consumatori a scelte consapevoli: diffondendo e promuovendo la
conoscenza in tema alimentare, imponendo etichette che informino,
pubblicando pareri scientifici, il tutto con l’obiettivo di
innalzare nei consumatori la fiducia negli alimenti di cui si nutrono
(Commissione
Europea 2004.a; Commissione
Europea,
2007).
Lo strumento principale previsto dal “Libro bianco”,
che idealmente unisce gli agricoltori (e i loro prodotti) ai
consumatori, è rappresentato dalla tracciabilità degli alimenti
(Reg. Ce. 178/2002). Lo “slogan” “from
farm to fork”
(Commissione
Europea.
2004.b) è stato molto più che un intervento tecnico in quanto nel
tempo è diventato sempre di più strumento di garanzia, di
sicurezza, di marketing, di organizzazione, di promozione. Di fatto,
la tracciabilità (associata alle certificazioni volontarie) sta
cambiando i mercati agricoli in quanto obbliga gli operatori della
filiera a conoscersi (le imprese devono poter identificare i propri
fornitori e i propri clienti, ciò che in gergo si
chiama one-step-backward,
one-step-forward)
e a far conoscere le tecniche di produzione / trasformazione,
mettendo a disposizione delle aziende della filiera le informazioni
relative alle quantità e alla qualità di input che vengono usati
nei processi produttivi. In questo ambito, il ruolo del consumatore
nei confronti della tracciabilità è da considerarsi da “utente
finale” del processo, senza possibilità di interagire se non
manifestando l’apprezzamento (o meno) per il servizio offerto
mediante la reiterazione dell’acquisto. La tracciabilità ha
avviato una nuova fase nei rapporti commerciali tra gli attori in
quanto ha contribuito ad innalzare il livello di fiducia per i
consumatori e per tutti gli operatori della filiera (DG SANCO, 2006;
Fischer et al., 2006; Mazzocchi et alt. 2006), ma ha anche spinto gli
operatori ad adottare nuove forme contrattuali (sviluppando
ulteriormente i contratti di integrazione) basate proprio sulla
qualità e la sicurezza. Un esempio concreto delle relazioni tra
fiducia, organizzazione e risposta dei consumatori si è registrato
in occasione delle recenti crisi alimentari, dove si è osservata una
caduta dei prezzi inferiore alla media per i prodotti gestiti
direttamente dalla distribuzione (ad es. la filiera qualità di
Carrefour) (Giacomini e Mancini 2006). Tutto ciò ha portato, e
porta, a ricercare nuove forme di integrazione e a dotarsi di
strutture organizzative (soprattutto dal lato dell’offerta
agricola) in grado di fare fronte alle esigenze contrattuali di chi
utilizza maggiormente la tracciabilità (e la certificazione) come
elemento di garanzia verso i consumatori: la grande industria
alimentare (ovvero le multinazionali dell’alimentare) e la Grande
Distribuzione Organizzata (GDO) (Giacomini
e Mancini, 2006, Schulze et alt. 2006).
Possiamo dire che tutto il
sistema alimentare, sotto la spinta della tracciabilità e
all’introduzione di sistemi basati sull’Information
Comunication Techonology (ICT),
è diventato più moderno, più trasparente, più efficiente e più
competitivo (DG SANCO 2006; ISMEA,
2006). Tuttavia, vi sono alcuni aspetti che devono essere considerati
nel valutare le ricadute sul settore agricolo. In questa profonda
riorganizzazione della filiera alimentare e del suo assetto
logistico, infatti, proprio la componente agricola sembra essere
stata quella in maggiore difficoltà in quanto:
risente maggiormente del potere contrattuale della controparte industriale / distributiva sia dal lato della definizione dei prezzi che della qualità;
ha difficoltà di rispondere in modo adeguato alle esigenze logistiche della GDO;
data la sua parcellizzazione e bassa integrazione presenta elevata difficoltà di ammodernamento organizzativo e strutturale.
Ne
risulta che spesso i benefici che ne potrebbero derivare da un
sistema più efficiente e trasparente non arrivano alla componente
agricola ma vanno ad appannaggio dell’industria e della GDO,
mentre al settore agricolo (comprensivo delle forme
associazionistiche), spesso, rimangono i costi (Banterle A.,
Stranieri S. Baldi L., 2006).
In conclusione la tracciabilità,
associata all’ICT, ha contribuito ad aumentare il livello di
competitività nel sistema, ma proprio per questo motivo il settore
agricolo deve anch’esso ammodernarsi ed adeguarsi ai nuovi standard
pena il rischio di essere esclusi dal mercato in quanto obsoleti.
La nuova PAC e le opportunità per il settore agricolo
Il
rapporto tra Pac e
consumatori non si esaurisce nella spinta alla sicurezza degli
alimenti e nello sviluppare un clima di fiducia lungo la filiera ma,
sempre in una logica di qualità, agisce anche nella direzione di
aumentare e diversificare l’offerta alimentare. Infatti, oggi, il
concetto di qualità è legato a beni ottenuti adottando tecniche
rispettose dell’ambiente e della salute degli animali e beni che
esprimono un legame molto forte con il territorio e con le persone
che lo rendono vivo (Fischer Boel M., 2007).
Nel primo caso
la Pac,
sin da Agenda
2000 e
mediante un Regolamento specifico
(Reg.2092/91), ha con forza incentivato l’avvio delle produzioni
biologiche, offrendo contributi, definendo le regole, obbligando i
produttori a certificarsi e dando la possibilità di adottare un
marchio di qualità che consentisse ai consumatori il riconoscimento
del prodotto.
Oggi, l’azione di fornire alimenti ottenuti a
seguito dell’applicazione di “buone pratiche” è stata
arricchita dal Reg. 1782/03 il quale vincola il Premio unico
aziendale (Pua)
alla “eco-condizionalità.
Quest’ultima obbliga gli agricoltori ad adottare “buone pratiche
agricole” per la gestione dei terreni agricoli e gli allevatori ad
adottare sistemi di allevamento rispettosi del “benessere degli
animali”. Il Regolamento non
prevede un marchio che permette ai consumatori il riconoscimento di
tali beni in quanto la qualità, definita da questi obblighi, diventa
il livello qualitativo minimo per attuare la produzione e accedere al
mercato.
Sempre nel tentativo di offrire prodotti di qualità
la Pac ha
fortemente contribuito a far “emergere” dalle aree rurali veri e
propri “giacimenti eno-gastronomici”, tutelandoli e consentendo
loro di poter essere riconosciuti dai consumatori mediante un
apposito segno di qualità. L’avvio di una politica di tutela delle
Denominazioni di Origine (DO) in ambito europeo ha spinto molti
agricoltori ad associarsi e a valorizzare il loro ruolo di custodi di
conoscenze e di tradizioni in grado di arricchire in misura
significativa la qualità degli alimenti offrendo loro un valore
culturale, storico, e quindi simbolico.
La Pac,
quindi, al servizio dei consumatori ma rispettosa della “diversità”
che contraddistingue l’offerta alimentare europea, è non solo
politica di sussidi ma strumenti e opportunità a disposizione del
sistema agricolo europeo.
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