Giuseppe Bivona
Il
vecchio falegname ,con gli occhi gonfi
per le lacrime , pialla pigramente un grosso legno e ogni tanto ripassa con il palmo della mano la
superficie liscia.
Ha
sempre amato il contatto con le cose , le sedie, le panche , le madie…ma anche
le persone , in particolare i bambini e soprattutto il suo quando era piccolo ,
amava prenderlo in braccio stringerselo al petto e fargli posare la sua
testolina sulle spalle .
Poi
cresce comincia a muovere i primi passi . Si, lo ricorda come fosse ora
. Lui e Maria l’uno di fronte all’altre poco distanti
abbandonano per pochi attimi il bambino
che barcollando arriva alle
braccia dell’altro . Però stranamente il bambino al posto di ritornare da
lui all’improvviso si allontana dal padre
. Chissà, una premonizione, una triste metafora dell’avvenire
Giuseppe
non riesce a dimenticare neanche per un istante il dolore senza fine
che lo tormenta .
Sono
passati due giorni da
quando il suo ragazzo è morto crocifisso
assieme ad altri due disgraziati , una fine atroce che non la si augura neanche
al peggior nemico!
Gesù , fin dall’infanzia, ha sempre
intrattenuto un rapporto privilegiato con sua madre, c’era Maria
a Cana , alle nozze ,dove avvenne il primo miracolo. E lui, Giuseppe dove
era? A casa a lavorare.
Crescendo
quel suo ragazzo veniva sveglio, vivace,
però di tanto in tanto faceva strani discorsi che l’anziano genitore non
riusciva a comprendere il nesso logico. Ma
la cosa che più lo feriva erano i riferimenti ad un altro padre che sta lassù
in …cielo.
Inutile
le sue premure , le attenzioni , gli oggetti che aveva lavorato per lui : il
cavallino a dondolo, un tavolino ed una sedia
piccoline su cui iniziava a scrivere la prime lettere dell’alfabeto. No,
il ragazzino quasi lo disconosceva,
respingendolo nell’ombra, anzi nel buio , nella solitudine. A nulla era
valso trasferire la sua bottega a Gerusalemme, il ragazzo non aveva alcuna voglia di continuare il mestiere
del padre voleva farsi la sua esperienza , andare a vivere lontano in un paese sconosciuto pare fosse l’India…dove ci rimase per
parecchi anni. Ah! Se avesse ascoltato il suo consiglio e restava a
lavorare nella bottega!. Non avrebbe di
certo frequentato discutibili compagnie
e non avrebbe avuto certe idee strampalate! Avrebbe risparmiato lo strazio alla
sua povera madre
Ora
dai suoi occhi scendono rivoli di lacrime ,non riesce a vedere il legno da
piallare, si ferma: “ “Possibile che sia stato solo ieri l’altro, quel giorno
tremendo ?“Si chiede ancora incredulo
Eppure
, malgrado gli acciacchi era salito ,
senza l’aiuto di nessuno su quel monte maledetto, aveva cercato di farsi largo
tra la folla “ Io sono suo padre!” gridava con il poco fiato che gli restava
nei polmoni “ fatemi passare, quello al centro è mio figlio!”
Voleva
stargli vicino , avrebbe voluto toccargli i piedi inchiodati, gli stessi che da
bambino li aveva accarezzato per riscaldali… magari salire lassù con una scala
e stringergli la testa tra le sue mani , sfiorarlo, baciarlo e consolarlo.
Ma
un muro di gente gli impedisce di
avanzare ,anzi lo respinge , ma il vecchio non demorde , neanche il buio può
risucchiarlo lontano dal suo ragazzo.
Poi
,ad un tratto, quel grido lancinante che
fende l’aria cupa del tardo pomeriggio e gela tutti i presenti:” Padre mio,
padre mio , perché mi hai abbandonato?” .
Come
può un padre abbandonare il figlio morente? Che razza di padre è colui che non
sente , ascolta la richiesta di aiuto del
proprio figliolo?
Tutte ragioni di questo mondo non valgono la vita di un figlio! La vita è
sempre e comunque un “fine” e non ci sono scopi
,per quanti nobili ,che la possano ridurla a “mezzo”.
Giuseppe, non resiste al
grido di aiuto del suo ragazzo, come un vecchio leone fende la folla ,a forza
di sgomitate si fa strada ,raggiunge i piedi della croce, abbraccia il palo che
sorregge il suo disgraziato ragazzo e con tutta l’aria che ha nei polmoni
grida:” Si, sono qui, non temere ,non ti abbandono,Io, sono tuo padre!”
Il vecchio falegname, non sa
resistere al dolore, non ha più lacrime da versare, poi alza la testa per vedere l’ultima volta il suo figliolo e
sul suo volto scarno scende una pioggia
mista a sangue.
Di certo Gesù si sarà accorto
della sua presenza e per l’anziano genitore è già sufficiente:questo atroce dolore un po’ glielo lenisce, quasi lo
consola.
Leggendo e rileggendo questo racconto, oltre alle sensazioni di commozione che mi ispira quel padre che vede il proprio figlio morire sulla croce, sono indotta a riflettere sul significato intrinseco che si vuol dare al racconto. Si vuol dare il messaggio che la vita non può essere un mezzo per uno scopo , seppure nobile, ma è di per se un fine e nessuno, neppure Dio, ha il diritto di sacrificarla!
RispondiEliminaE allora gli eroi che sacrificano la propria vita per un ideale? Quelli che al costo della propria vita hanno fatto si che l'umanità migliorasse, quelli che si sono sacrificati per salvare anche una persona o un gruppo di persone. La storia è piena di questi eroi, e gli uomini migliori vengono selezionati nelle battaglie...a volte sacrosante...per la sopravvivenza di un popolo, anche nel mondo animale le femmine uccidono o abbandonano i figli più deboli o malati per far si che gli altri sopravvivano.
Per i credenti... inoltre... Gesù non è solo umano, ma è anche di origine divina e muore soltanto la vita terrena per vivere nell'eternità insieme al suo Padre Divino. Per chi crede Gesù non è morto ma vive nella sua Parola, e in effetti il suo messaggio è ancora presente tutt'oggi.
Questa è la riflessione che ho fatto...forse puerile...una riflessione di persona che si pone delle domande, ma che non si sa dare risposte, possono essere confutate da chi non crede, ma è già qualcosa il fatto che siamo coscienti della nostra incapacità di capire.
Dice Bertolt Brecht: " Fortunati i popoli che non hanno bisogno di eroi"
EliminaLa morte è la fine naturale di tutte le cose, e gli antichi greci , che erano gente seria e saggia , ne avevano compresa tutta la sua "tragicità". Da una parte la sua ineluttabilità e dall'altr il "non senso" l'atroce dolore per la perdita della propria vita e delle persone care.
Perciò gli uomini venivano sempre e spesso chiamati mortali , perchè non dimenticassero mai il loro definitivo destino.
Eschilo nel suo "Prometeo Incatenato" fa chiedere al coro: " Ma forse tu , oltre al fuoco, hai dato agli uomini vane speranze?"
"Si" rispose Prometeo e quelli " Ben ti sta che l'aquila ti becca il fegato ogni giorno". Per gli antichi greci l'immortalità era un privilegio dei soli Dei, , agognare l'immortalità è tracotanza l'hibris ,un atto ,diremmo oggi ,peccaminoso.
In verità nell'uomo questa " ansia" non lo demorde mai, la ragione è semplice: possiede un cervello capace di espressioni dantesche o morzatiane e poi... un corpo fragilissimo , incapace di custodire al meglio questa sua singolare inteliganza.
Il colpo di "genio" del cristianesimo sta tutto qui : offrire agli sventurati il sogno dell'immortalità( non si sa bene se del corpo o dell'anima) . fu questa la carta vincente della nuova religione a cui si rivolsero un numero crescente di accoliti.
Nel suo bel libro "L'anima e il suo destino" Vito Mancuso teologo inteligente quanto avveduto, traccia un segmento stretto e invalicabile tra Dio, amore e vita.
La sacralità della vita è un'assioma , non saremmo qui a "menar il can per l'aia" se la vita su questo pianeta ,indipendentemente da chi è credente o meno non fosse coniugata al "fine;il resto sono "variazioni sul tema"
G. B