sabato 10 dicembre 2011

Luoghi, popoli,culture, tradizioni e gastronomia


 Daniela Torcetta


                                                                                Sul territorio nazionale, oggi, vengono attivati laboratori di cucina multietnica e di analisi sensoriale del vino, dell’olio, e del pregiatissimo paniere dei prodotti tipici, si organizzano seminari e convegni sulle tradizioni alimentari dei paesi del mediterraneo, si implementano attività di degustazioni d’informazione e divulgazione, per far conoscere ai consumatori la ricchezza del giacimento enogastronomico.
Di contro ad una vera e propria globalizzazione del gusto lo Street Food o Cucina da strada tende ad affermarsi, come una “branca” della “scienza” Gastronomia sempre “in auge” .
Con le espressioni Cucina da strada, cibo di strada, street food si identifica la pratica culinaria basata sulla preparazione, esposizione, consumo e vendita di prodotti alimentari in strade e in mercati e durante Sagre e Fiere, attuata da venditori ambulanti.
Il cibo di strada, semplice ed umile, rappresenta la più antica ed autentica forma di ristorazione, fortemente legata al territorio, che riesce a far scoprire e a gustare attraverso i sensi, che racconta di sé, parla di storia, di identità e di cultura.
In Europa, le cucine di strada tradizionali costituiscono l’alternativa all’ omologazione consumistica in quanto offrono prodotti genuini, locali ed antichi da preferire al fast food. In Italia, invece, la tradizione è fortissima. Ogni regione ha specialità uniche: dalle focacce alle arancine, dal lampredotto alle olive all’ascolana, alla pizza, si attraversa tutta la penisola.
Nella categoria dello street food rientrano anche esercizi commerciali all’aperto o parzialmente al chiuso, dove il consumo dei prodotti avviene in piedi, su sgabelli e sedie di fronte a mensole e a banconi, le cui pratiche di consumo sono caratterizzate comunque dalla rapidità dell’alimentarsi o dalla definizione di fuori-pasto o di pasto veloce. Lo street food è una pratica quotidiana per milioni di persone in Africa, in Asia e in America Latina. Nelle metropoli degli Stati Uniti il cosiddetto take away può essere considerato una forma di street food. Ai tipici venditori ambulanti di hot dogs con wurstel a New York, negli ultimi dieci anni, si sono aggiunti i venditori di tacos, di kebab e di altre ghiottonerie. (A. Guigoni, 2004)
L’origine dello Street Food, ovvero del mangiare per strada, risale a circa tremila anni fa. Inizia con i popoli nomadi e si diffonde con i romani, tanto che gran
parte della popolazione consumava i pasti in piedi, velocemente, sostando in locali semi-aperti adiacenti alla strada.
Le strade dell’Urbe e della miriade di città sparse nell’Impero erano animate da folle di cittadini che ad una certa ora dovevano mangiare e bere. Inizia una frenetica attività di ambulanti, botteghe e taverne di vario genere . Lo scrittore latino Marziale in un epigramma descrive il caos delle strade dell’Urbe prima dell’editto di Domiziano che aveva regolato l’esposizione e lo stazionamento di merci per strade e marciapiedi: “Non più fiaschi appesi ai pilastri… barbiere, bettoliere, friggitore, norcino; nel proprio guscio se ne sta ciascuno. Ora c’è Roma: prima era un casino”. (J. Carcopino, 1993) Uno dei classici cibi da strada, nel passato, è l’insospettabile e domestica pastasciutta, alimento che, ancora prima della sua diffusione nazionale ed estera, era considerata “pasto povero” nelle strade della Napoli borbonica. Ne sono testimonianza le immagini ottocentesche degli scugnizzi napoletani che mangiavano con le mani, per strada, maccheroni o pizza, pasta o fritti, dolci e salati, frutta o verdura. La stessa pizza nasce come cibo da strada e, fino al Seicento, viene venduta da ambulanti con la tipica ”stufa”, un contenitore di rame e ottone per mantenerla calda, tenuta in testa.
Sia nell’antica Roma, sia nel Medioevo che nell’Età Moderna, le classi popolari urbane vivevano gran parte della giornata per strada, dove consumavano i loro pasti. Con lo sviluppo dell’industrializzazione e l’ingresso delle donne nel mondo del lavoro, il ceto popolare urbano cresce ed il fenomeno del cibarsi per strada si incrementa. (G. Parente, 2007)
Ma oggi lo street food torna a fare tendenza. Basti pensare a Joele Robuchon, lo chef francese che, insieme al suo maestro Freddy Girardet, hanno inventato a Parigi una catena di “tavole” dove non si prenota, non si paga con la carta di credito, si mangia in venti minuti e a menù fisso.
Similare ma rivoluzionario il percorso di Ferran Adrià, lo chef spagnolo sostenitore del binomio gastronomia e arte, diventato un “divo internazionale dei fornelli” con la sua catena di ristoranti veloci. Di recente, lo chef ha annunciato la sua nuova sperimentazione, chiudere il famoso ristorante El Bulli di Barcellona per far sorgere dalle sue ceneri un gymnasium gastronomicum, che ospiterà designer e scrittori, architetti e sociologi, poeti e collezionisti d'arte, in una straordinaria miscellanea di intelligenze disposte ad interrogarsi sul cibo, come forma di espressione, comunicazione, cultura, arte e progresso.
In breve, una "Think Tank" ispirata alla creatività; privata ma aperta alle collaborazioni con istituzioni e università; mirata a divulgare al mondo l'esito delle proprie ricerche, con borse di studio, DVD, libri, conferenze e, infine, con un'enciclopedia della Nuova Gastronomia, suddivisa in volumi monotematici.
Una fondazione mondiale per celebrare, in una visione etico-pedagogica, la patria della gastronomia.
La novità della cucina da strada sembra essere non quanto e come si mangia ma cosa si mangia: la qualità sta nella perfezione di un piatto e nella purezza degli ingredienti. “Il cibo dell'essenza e l'essenzialità del cibo sono, oggi, i sovrani comandamenti”.
Il cibo da strada si consuma rapidamente e spesso con le mani, si trova sempre dietro l’angolo e costa poco. Il mangiare di strada si caratterizza per la sua essenza artigianale. In breve, il cibo da strada è un concentrato di sapori semplici, netti, antichi.
La ristorazione di strada, di giorno e di notte, interagisce ormai con lo stile di vita cittadino. La pratica culinaria del cibo di strada ha luogo principalmente nei quartieri storici e popolari delle città italiane.
Le cucine di strada sono, infatti, esercizi all’aperto collocati nel mezzo del flusso di persone che anima quotidianamente gli insediamenti umani, in un mondo che può sempre offrire al cliente situazioni, incontri e scambi potenzialmente inediti, in sostanza un “colore” reale, ben diverso dall’atmosfera artefatta dei ristoranti.
Il cibo di strada costituisce, pertanto, un punto di incontro tra civiltà vecchie e nuove, un momento di aggregazione e di socializzazione, nonché di scambio e di comunicazione tra i cittadini.
Il cibo in strada è decorativo, estetico, teatrale, esibito e coinvolge gli attori sociali impegnati nella messa in scena di un consumo alimentare apparentemente senza regole, in antitesi al consumo domestico, ordinato nei tempi- modi- luoghi, con gli orari della colazione, del pranzo, della cena, le posate, la tavola e, pertanto a suo modo strutturato, in quanto si pone in contrapposizione alla cucina ed alla civiltà delle buone maniere, come sostiene Norbert Elias (1982).
La cucina da strada viola sia le regole del “bon ton” sia quelle di “di casa”; la strada, “fuori”, è luogo antitetico alla casa, “dentro”.
Il consumo, nella cucina di strada, è al tempo stesso un fatto privato, in quanto ci si ciba da soli, a differenza di un pranzo al ristorante o al bar, in compagnia di amici, parenti o colleghi; e, al tempo stesso pubblico, perché avviene per strada o in locali aperti. Si tratta di un fenomeno legato alla collettività. Si è da soli e, contestualmente, insieme agli altri, poiché si scambia qualche parola o una battuta, in quanto la situazione, ossia il mangiare gomito a gomito, anche se tra sconosciuti, implica complicità e confidenza.
La cucina da strada è, pertanto, un’arte della comunicazione, attraverso il cibo. Il messaggio è nel piatto; i diversi gusti producono distinzione e differenziazione;
gli alimenti creano e riproducono, a livello simbolico, differenze di classe, genere, appartenenze etniche, religiose e socio-culturali.
Nel contesto italiano, la Sicilia e la Campania sono due delle regioni più ricche di cibi e cucine da strada ed espressione di cultura popolare. Non a caso, lo scorso anno si è espletato il gemellaggio gastronomico-culturale con l’Emilia Romagna, in occasione del “Festival internazionale della cucina da strada”, che si svolge, da sei edizioni, nel centro storico di Cesena.

1 commento:

  1. Di contro ad una vera e propria globalizzazione del gusto lo.... Street Food o Cucina da strada tende ad affermarsi, come una “branca” della “scienza” Gastronomia sempre “in auge”.....Hai detto bene! Oggi più che mai, la società dello "sgranocchiamento" cioè dello "spizzico" a tutte le ore divenuto ahimè tendenza culturale e gastronomica dettate dalla "GLOBALIZZAZIONE" è destinato a scomparire....Sempre di più si sta (RI)SCOPRENDO LA VERA IDENTITA' CULTURALE GASTRONOMICA RURALE....che è la giusta Via del "Gusto" da seguire....

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