Daniela Torcetta
Di contro ad una vera e propria
globalizzazione del gusto lo Street Food o Cucina da strada tende ad
affermarsi, come una “branca” della “scienza” Gastronomia sempre “in auge” .
Con le espressioni Cucina da strada,
cibo di strada, street food si identifica la pratica culinaria basata sulla
preparazione, esposizione, consumo e vendita di prodotti alimentari in strade e
in mercati e durante Sagre e Fiere, attuata da venditori ambulanti.
Il cibo di strada, semplice ed umile,
rappresenta la più antica ed autentica forma di ristorazione, fortemente legata
al territorio, che riesce a far scoprire e a gustare attraverso i sensi, che
racconta di sé, parla di storia, di identità e di cultura.
In Europa, le cucine di strada tradizionali
costituiscono l’alternativa all’ omologazione consumistica in quanto offrono
prodotti genuini, locali ed antichi da preferire al fast food. In Italia,
invece, la tradizione è fortissima. Ogni regione ha specialità uniche: dalle
focacce alle arancine, dal lampredotto alle olive all’ascolana, alla pizza, si
attraversa tutta la penisola.
Nella categoria dello street food
rientrano anche esercizi commerciali all’aperto o parzialmente al chiuso, dove
il consumo dei prodotti avviene in piedi, su sgabelli e sedie di fronte a
mensole e a banconi, le cui pratiche di consumo sono caratterizzate comunque
dalla rapidità dell’alimentarsi o dalla definizione di fuori-pasto o di pasto
veloce. Lo street food è una pratica quotidiana per milioni di persone in Africa,
in Asia e in America Latina. Nelle metropoli degli Stati Uniti il cosiddetto
take away può essere considerato una forma di street food. Ai tipici venditori
ambulanti di hot dogs con wurstel a New York, negli ultimi dieci anni, si sono
aggiunti i venditori di tacos, di kebab e di altre ghiottonerie. (A. Guigoni,
2004)
L’origine dello Street Food, ovvero
del mangiare per strada, risale a circa tremila anni fa. Inizia con i popoli
nomadi e si diffonde con i romani, tanto che gran
parte
della popolazione consumava i pasti in piedi, velocemente, sostando in locali
semi-aperti adiacenti alla strada.
Le strade dell’Urbe e della miriade di
città sparse nell’Impero erano animate da folle di cittadini che ad una certa
ora dovevano mangiare e bere. Inizia una frenetica attività di ambulanti,
botteghe e taverne di vario genere . Lo scrittore latino Marziale in un
epigramma descrive il caos delle strade dell’Urbe prima dell’editto di
Domiziano che aveva regolato l’esposizione e lo stazionamento di merci per
strade e marciapiedi: “Non più fiaschi appesi ai pilastri… barbiere,
bettoliere, friggitore, norcino; nel proprio guscio se ne sta ciascuno. Ora c’è
Roma: prima era un casino”. (J. Carcopino, 1993) Uno dei classici cibi da
strada, nel passato, è l’insospettabile e domestica pastasciutta, alimento che,
ancora prima della sua diffusione nazionale ed estera, era considerata “pasto
povero” nelle strade della Napoli borbonica. Ne sono testimonianza le immagini
ottocentesche degli scugnizzi napoletani che mangiavano con le mani, per
strada, maccheroni o pizza, pasta o fritti, dolci e salati, frutta o verdura. La
stessa pizza nasce come cibo da strada e, fino al Seicento, viene venduta da
ambulanti con la tipica ”stufa”, un contenitore di rame e ottone per mantenerla
calda, tenuta in testa.
Sia nell’antica Roma, sia nel Medioevo
che nell’Età Moderna, le classi popolari urbane vivevano gran parte della
giornata per strada, dove consumavano i loro pasti. Con lo sviluppo
dell’industrializzazione e l’ingresso delle donne nel mondo del lavoro, il ceto
popolare urbano cresce ed il fenomeno del cibarsi per strada si incrementa. (G.
Parente, 2007)
Ma oggi lo street food torna a fare
tendenza. Basti pensare a Joele Robuchon, lo chef francese che, insieme al suo
maestro Freddy Girardet, hanno inventato a Parigi una catena di “tavole” dove
non si prenota, non si paga con la carta di credito, si mangia in venti minuti
e a menù fisso.
Similare ma rivoluzionario il percorso
di Ferran Adrià, lo chef spagnolo sostenitore del binomio gastronomia e arte,
diventato un “divo internazionale dei fornelli” con la sua catena di ristoranti
veloci. Di recente, lo chef ha annunciato la sua nuova sperimentazione,
chiudere il famoso ristorante El Bulli di Barcellona per far sorgere dalle sue
ceneri un gymnasium gastronomicum, che ospiterà designer e scrittori,
architetti e sociologi, poeti e collezionisti d'arte, in una straordinaria
miscellanea di intelligenze disposte ad interrogarsi sul cibo, come forma di
espressione, comunicazione, cultura, arte e progresso.
In breve, una "Think Tank"
ispirata alla creatività; privata ma aperta alle collaborazioni con istituzioni
e università; mirata a divulgare al mondo l'esito delle proprie ricerche, con
borse di studio, DVD, libri, conferenze e, infine, con un'enciclopedia della
Nuova Gastronomia, suddivisa in volumi monotematici.
Una
fondazione mondiale per celebrare, in una visione etico-pedagogica, la patria
della gastronomia.
La novità della cucina da strada
sembra essere non quanto e come si mangia ma cosa si mangia: la qualità sta
nella perfezione di un piatto e nella purezza degli ingredienti. “Il cibo
dell'essenza e l'essenzialità del cibo sono, oggi, i sovrani comandamenti”.
Il cibo da strada si consuma
rapidamente e spesso con le mani, si trova sempre dietro l’angolo e costa poco.
Il mangiare di strada si caratterizza per la sua essenza artigianale. In breve,
il cibo da strada è un concentrato di sapori semplici, netti, antichi.
La ristorazione di strada, di giorno e
di notte, interagisce ormai con lo stile di vita cittadino. La pratica
culinaria del cibo di strada ha luogo principalmente nei quartieri storici e
popolari delle città italiane.
Le cucine di strada sono, infatti,
esercizi all’aperto collocati nel mezzo del flusso di persone che anima quotidianamente
gli insediamenti umani, in un mondo che può sempre offrire al cliente
situazioni, incontri e scambi potenzialmente inediti, in sostanza un “colore”
reale, ben diverso dall’atmosfera artefatta dei ristoranti.
Il cibo di strada costituisce, pertanto,
un punto di incontro tra civiltà vecchie e nuove, un momento di aggregazione e
di socializzazione, nonché di scambio e di comunicazione tra i cittadini.
Il cibo in strada è decorativo,
estetico, teatrale, esibito e coinvolge gli attori sociali impegnati nella
messa in scena di un consumo alimentare apparentemente senza regole, in
antitesi al consumo domestico, ordinato nei tempi- modi- luoghi, con gli orari
della colazione, del pranzo, della cena, le posate, la tavola e, pertanto a suo
modo strutturato, in quanto si pone in contrapposizione alla cucina ed alla
civiltà delle buone maniere, come sostiene Norbert Elias (1982).
La cucina da strada viola sia le
regole del “bon ton” sia quelle di “di casa”; la strada, “fuori”, è luogo
antitetico alla casa, “dentro”.
Il consumo, nella cucina di strada, è
al tempo stesso un fatto privato, in quanto ci si ciba da soli, a differenza di
un pranzo al ristorante o al bar, in compagnia di amici, parenti o colleghi; e,
al tempo stesso pubblico, perché avviene per strada o in locali aperti. Si
tratta di un fenomeno legato alla collettività. Si è da soli e,
contestualmente, insieme agli altri, poiché si scambia qualche parola o una
battuta, in quanto la situazione, ossia il mangiare gomito a gomito, anche se
tra sconosciuti, implica complicità e confidenza.
La cucina da strada è, pertanto,
un’arte della comunicazione, attraverso il cibo. Il messaggio è nel piatto; i
diversi gusti producono distinzione e differenziazione;
gli
alimenti creano e riproducono, a livello simbolico, differenze di classe,
genere, appartenenze etniche, religiose e socio-culturali.
Nel contesto
italiano, la Sicilia e la Campania sono due delle regioni più ricche di cibi e
cucine da strada ed espressione di cultura popolare. Non a caso, lo scorso anno
si è espletato il gemellaggio gastronomico-culturale con l’Emilia Romagna, in
occasione del “Festival internazionale della cucina da strada”, che si svolge,
da sei edizioni, nel centro storico di Cesena.
Di contro ad una vera e propria globalizzazione del gusto lo.... Street Food o Cucina da strada tende ad affermarsi, come una “branca” della “scienza” Gastronomia sempre “in auge”.....Hai detto bene! Oggi più che mai, la società dello "sgranocchiamento" cioè dello "spizzico" a tutte le ore divenuto ahimè tendenza culturale e gastronomica dettate dalla "GLOBALIZZAZIONE" è destinato a scomparire....Sempre di più si sta (RI)SCOPRENDO LA VERA IDENTITA' CULTURALE GASTRONOMICA RURALE....che è la giusta Via del "Gusto" da seguire....
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