venerdì 11 novembre 2011

Che ne sarà del padre? ( seconda parte)

Che ne sarà del padre? ( seconda parte)
Giuseppe Bivona

Alice , non si era mai “avventurata” nei meandri ,tortuosi e profondi  ed oscuri della psiche umana, ne tantomeno aveva ben chiaro la distinzione freudiana tra “es” ,”super –io” “e” io. Ma poi , si chiedeva :questo complesso di Edipo vale solo per i maschietti ,e le femminucce  a loro volta  si “rapportano” col padre ?. Ma la domanda  che rivolse al Gufo fu un’altra: “ Queste teorie di Freud  non saranno un po’ vecchiotte , insomma  oggi ,cosa ne pensa la moderna psicanalisi? “ . Certo” rispose il Gufo , “queste teorie non potevano passare inosservate e  per quasi un secolo ,furono oggetto di serrati confronti e …scontri come nel caso di Carl Gustavo Jung.  Ma chi riprese  con molta serietà il tema di fondo della teoria edipea di Freud fu Jaques Lacan che ipotizzò  tre tempi diversi  dell’Edipo:
1)   Il primo tempo è caratterizzato dalla illusione  primaria ,detta della fase fallica  ovvero la “seduzione” reciproca tra la madre e il bambino, quest’ultimo si pone come colui che colmerà la mancanza della madre ,come fosse un bimbo tappo ,un bimbo fallo , mentre la madre lo vorrà “divorare “ fagocitare ,incorporarne l’esistenza,rendendola identica a se stessa. Lacan simboleggia questa confusa ed incestuosa , come perversione  primaria. Un mosaico indifferenziato che accomuna la madre-coccodrillo che si confronta con il bambino –vampiro , facendo un unico blocco, annullandone le differenze ,prossimità speculare,assenza di separazione.
2)   Nel secondo tempo  entra in scena il padre ,una apparizione traumatica ,(ma benefica), perché risveglia la coppia bambino- madre dal sonno incestuoso. Il padre interviene pronunciando due moniti distinti , alla madre: non puoi divorare il tuo frutto e al bambino: non puoi tornare da dove sei venuto. L’effetto benefico dell’intervento del padre  sottrae cosi all’impasto incestuoso del pericolo di una identificazione indifferenziata col proprio figlio. Ha un effetto traumatico perché spezza l’illusione di una continuità tra lUno e Altro. In questa fase delicata , La parola del padre  è assimilabile alla funzione della Legge , ma sarà molto importante il modo con il quale la madre parla ai suoi figli, del padre ovvero a rendere più o meno autorevole la parola del padre. Ora , nel bambino ,si tratta di  guidarlo attraverso due opposte “esigenze”:  da un lato far valere la “legge” paterna e il riconoscimento del NO , e nello stesso tempo senza per questo mortificare il desiderio  del piacere ,che in modo “soffice” deve percorrere altre strade, seguire vie diverse ed inediti,  ma forieri di sicure soddisfazioni
3)   Qui si apre il terzo tempo, ovvero  la capacità del padre  di introdurre un limite  e di “castrare “  la soddisfazione  incestuosa , trasmettere  assieme all’interdizione   il “desiderio”  congiunto  al dono, alla promessa e alla fede : Ora il padre non è più “trauma”  ma colui che sa trasmettere il testimone del desiderio”

“ Chiaro” disse Alice , ma come la mettiamo con il nostro Giorgio che crescerà senza padre,visto che il farfallone e volato anzitempo prima della  sua nascita?
“ Cara Alice  non sarei preoccupato più di tanto ,viviamo in una epoca dove il padre è “evaporato”  dopo il sessantotto la contestazione alla struttura sociale gerarchica non ha risparmiato il pater familias  e posso anticiparti  che “qualunque cosa” può svolgere la funzione paterna . Questo “qualunque”  a condizione che sappia rispondere il difficile  e complicato problema del desiderio, non tanto di cosa è in essenza il desiderio , ma di cosa può essere una esistenza di desiderio se vuoi di curiosità ,interesse ,attesa…. Mi spiego meglio il padre,che è tenuto a dare testimonianza del proprio desiderio  la può dare sullo sfondo di un …non sapere Non  deve essere il padre che “ha una risposta  su tutto” . E’ un padre piuttosto  che sa che il sapere  non racchiude  e non risolve  mai adeguatamente il mistero dell’esistenza  e della sua contingenza illimitata . Un padre che custodisce il vuoto,il non sapere “
  “Scusami” intervenne Alice con la  sua solita franchezza,” mi pare che questo tuo padre risponde alle domande con …altre domande, Giorgio crescerà con tanti ????? al posto dei capelli!
“Tu cara Alice “ rispose il Gufo “come tutti noi  d'altronde ,siamo stati educati ad una cultura positivista quasi orgogliosamente illuminista  che ha spazzato via i simboli e il suo retroterra culturale . Un padre lascia al figlio una eredità  che nella vulgata sono soldi ,case terreni , ma come descrive bene Philip Roth in “Patrimonio”  voleva sentirsi  incluso nell’eredità del padre quale riconoscimento simbolico , per l’importanza vitale di avere forte la percezione di una provenienza ,di discendere dal padre . Se il nostro tempo evapora o estingue il padre , non cancella  l’esigenza di sentirsi riconosciuti , della trasmissione del desiderio da una generazione all’altra . questa dialettica del riconoscimento non avviene solo tra genitori e figli vale  anche tra maestri e allievi , tra garzone e artigiano 
Alice , comprese il fondo del ragionamento , ma propose al Gufo un’ultima domanda: Cosa vuole dire Lacan quando asserisce “ fare a meno del padre a condizione di servirsene?”  Bè disse il gufo “ farne a meno vuol dire riconoscere la sua dissoluzione ,come dire  che nessun padre ci potrà  garantire che la nostra  vita sia al riparo da rischio  dello smarrimento della rovina e della disavventura .Servirsene  vuol dire accettarne l’eredità, riconoscere il valore di testimonianza. Il nostro rischio  opposto e quello di non servirsene,proprio perché non si riesce a farne a meno! . La condizione  di ogni eredità autentica ,implica la morte senza ritorno del padre ; se non si porta a termine questo lutto , idealizzazione critica rende impossibile il farne a menoe di conseguenza il servirsene: il soggetto resta schiacciato  sotto l’ombra spessa e cupa del padre ideale. ”
Alice aveva capito  che essere genitori oggi è una missione difficile quasi impossibile ma propose l’ultimo quesito al Gufo:” Come  riuscire a preservare la funzione educativa  propria del legame familiare  in un contesto perennemente in crisi? Come vi può essere educazione e quindi formazione  se l’imperativo che ci avvolge e soffoca  intona perversamente “Perché no?” che rende insensata ogni esperienza del limite? Come si può introdurre la funzione virtuosa  del limite  che assegna un senso possibile alla “rinuncia” se tutto tende a sospingerci  verso l’apologia cinica del consumo e l’appagamento senza differimenti? Oggi e subito’!
(fine seconda parte) 

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