Giuseppe Bivona
Circa 10-12 mila anni fa, nel neolitico,
l’uomo da raccoglitore e cacciatore si
dedica all’agricoltura ed all’allevamento, con l’obbiettivo di assicurarsi più proficuamente il cibo per il suo sostentamento.
In questi millenni i cambiamenti delle tecniche
colturali in agricoltura, hanno fatto
variare di poco o niente, la qualità degli alimenti.
Dalla fine della 2° guerra mondiale, invece, la
nostra agricoltura, ha subito un cambiamento profondo e radicale, dalla
meccanizzazione alla genetica, dalla concimazione alla difesa delle piante, fino
alla gestione del suolo. Ma ancora più incisiva è stata la trasformazione e gli
interventi che gli alimenti subiscono prima di arrivare sulla tavola.
Ora siamo qui a chiederci: ma questi
cambiamenti cosi marcati, hanno
modificato la qualità dei prodotti agricoli? L’incremento quantitativo ha avuto
riflessi negativi sulla qualità? Insomma,
i cibi che consumiamo oggi, hanno la stessa valenza nutrizionale di quelli
consumati dai nostri nonni?
Fino a qualche anno fa potevamo solo affermare
che i cibi e, in generale, gli alimenti di una volta erano
più gustosi, profumati, insomma più appetitosi, anche se non dobbiamo escludere
che in questo giudizio, non era estranea l’influenza di una atavica fame!
Tuttavia oggi disponiamo di risultati della
ricerca che confermano come la qualità degli alimenti è intimamente legata alla
fertilità del suolo e allo stato sanitario delle piante che vi si coltivano e
queste agli animali che vi si nutrono
compreso l’uomo nella duplice veste di consumatore finale, sia come vegetariano
che carnivoro.
Abbiamo scavalcato e reciso tutti i complessi
legami che legavano la pianta al suolo con tutta la ricchezza di batteri,
funghi, micorrizie e lombrichi,
alterandone il suo equilibrio. Perciò le piante oggi sono meno
resistenti alle malattie e conseguentemente hanno ridotto le loro qualità
nutracetiche.
Le piante che coltiviamo sono selezionate al
fine di incrementare le rese e soddisfare le sole esigenze “caloriche”, ma hanno
ridotto il loro contenuto in vitamine, amminoacidi essenziali, enzimi e fattori
di crescita.
Un esempio abbastanza eloquente ci viene dai sistemi di allevamento degli
animali domestici. Ebbene, i prodotti ottenuti dagli animali allevati allo
stato brado con erba fresca e quelli a stabulazione permanente e nutriti con
sfarinati, possono essere comparabili soltanto nel tenore proteico.
Di fatto, i contenuti di CLA (acido linoleico coniugato)
e omega3 contenuti nella carne, latte, formaggio e uova ottenuti dagli animali allevati
con sistema estensivo sono nettamente superiori a quelli ottenuti dagli
allevamenti di tipo intensivo.
Alcuni processi nell’agroindustria “snaturalizzano”
radicalmente gli alimenti. Un esempio ci viene dal metodo di lavorazione delle
olive da mensa. Sono state analizzate e confrontate le olive proveniente da un
processo industriale di conservazione attraverso
la deamarizzazione con soda o metodo “marsigliese” e olive conservate al
naturale col solo sale. Ebbene le prime erano quasi prive di amminoacidi, minerali e altri componenti
“funzionali”, mentre le seconde risultavano ricche di tutti i componenti compresi i probiotici.
E ancora, processi di essiccazione naturale,
dai fichi secchi all’uva, dai pomodori secchi alla salsa di pomidoro concentrato,
sono oggi sostituiti dalle più sbrigative operazione di essiccamento attraverso la ventilazione nei forni. Tuttavia
le lente trasformazioni che avvenivano all’aria e in presenza del sole, ne preservavano gli elementi nutracetici, integrando
alcuni componenti e facilitandone l’assimilazione.
Oggi il
valore di “scambio” prevale sul valore d’”uso” perciò abbiamo la necessità di
allungare la “vita di scaffale” a tutti i nostri prodotti di generi alimentari.
Alla
fine degli anni sessanta i ricercatori scoprirono che negli alimenti naturali sono
presenti i “food enzimy” sostanze in grado di contribuire alla digestione degli stessi. Come dire che se il cavolo crudo per essere
digerito e assimilato dal nostro corpo impiega un’ora, per quello cotto sono
richieste due ore.
Gli enzimi
contenuti nella frutta e verdura e negli alimenti naturali sono
termolabili ovvero si denaturano alla temperatura di 60-70 C°
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