lunedì 11 febbraio 2013

Il cibo, tra tradizione ed innovazione



Giuseppe Bivona


Circa 10-12 mila anni fa, nel neolitico, l’uomo  da raccoglitore e cacciatore si dedica all’agricoltura ed all’allevamento, con l’obbiettivo di assicurarsi  più proficuamente il cibo per il suo sostentamento.
In questi millenni i cambiamenti delle tecniche colturali in agricoltura, hanno  fatto variare di poco o niente, la qualità degli alimenti.

Dalla fine della 2° guerra mondiale, invece, la nostra agricoltura, ha subito un cambiamento profondo e radicale, dalla meccanizzazione alla genetica, dalla concimazione alla difesa delle piante, fino alla gestione del suolo. Ma ancora più incisiva è stata la trasformazione e gli interventi che gli alimenti subiscono prima di arrivare sulla tavola.

Ora siamo qui a chiederci: ma questi cambiamenti  cosi marcati, hanno modificato la qualità dei prodotti agricoli? L’incremento quantitativo ha avuto riflessi negativi  sulla qualità? Insomma, i cibi che consumiamo oggi, hanno la stessa valenza nutrizionale di quelli consumati dai nostri nonni?

Fino a qualche anno fa potevamo solo affermare che i cibi  e,  in generale, gli alimenti di una volta erano più gustosi, profumati, insomma più appetitosi, anche se non dobbiamo escludere che in questo giudizio, non era estranea l’influenza di una atavica fame!
Tuttavia oggi disponiamo di risultati della ricerca che confermano come la qualità degli alimenti è intimamente legata alla fertilità del suolo e allo stato sanitario delle piante che vi si coltivano e queste agli animali  che vi si nutrono compreso l’uomo nella duplice veste di consumatore finale, sia come vegetariano che carnivoro.

Abbiamo scavalcato e reciso tutti i complessi legami che legavano la pianta al suolo con tutta la ricchezza di batteri, funghi, micorrizie e lombrichi,  alterandone il suo equilibrio. Perciò le piante oggi sono meno resistenti alle malattie e conseguentemente hanno ridotto le loro qualità nutracetiche.
 
Le piante che coltiviamo sono selezionate al fine di incrementare le rese e soddisfare le sole esigenze “caloriche”, ma hanno ridotto il loro contenuto in vitamine, amminoacidi essenziali, enzimi e fattori di crescita.

Un esempio abbastanza eloquente  ci viene dai sistemi di allevamento degli animali domestici. Ebbene, i prodotti ottenuti dagli animali allevati allo stato brado con erba fresca e quelli a stabulazione permanente e nutriti con sfarinati, possono essere comparabili soltanto nel tenore proteico.

Di fatto,  i contenuti di CLA (acido linoleico coniugato) e omega3 contenuti nella carne, latte, formaggio e uova ottenuti dagli animali allevati con sistema estensivo sono nettamente superiori a quelli ottenuti dagli allevamenti di tipo intensivo.

Alcuni processi nell’agroindustria “snaturalizzano” radicalmente gli alimenti. Un esempio ci viene dal metodo di lavorazione delle olive da mensa. Sono state analizzate e confrontate le olive proveniente da un processo industriale  di conservazione attraverso la deamarizzazione con soda o metodo “marsigliese” e olive conservate al naturale col solo sale. Ebbene le prime erano quasi prive  di amminoacidi, minerali e altri componenti “funzionali”, mentre le seconde risultavano ricche di tutti i componenti  compresi i probiotici.

E ancora, processi di essiccazione naturale, dai fichi secchi all’uva, dai pomodori secchi alla salsa di pomidoro concentrato, sono oggi sostituiti dalle più sbrigative operazione di essiccamento  attraverso la ventilazione nei forni. Tuttavia le lente trasformazioni che avvenivano all’aria e in presenza del sole,  ne preservavano gli elementi nutracetici, integrando alcuni componenti e facilitandone l’assimilazione.
 Oggi il valore di “scambio” prevale sul valore d’”uso” perciò abbiamo la necessità di allungare la “vita di scaffale” a tutti i nostri prodotti di generi alimentari.

 Alla fine degli anni sessanta i ricercatori scoprirono che negli alimenti naturali sono presenti i “food enzimy” sostanze in grado di contribuire alla digestione  degli stessi.  Come dire che se il cavolo crudo per essere digerito e assimilato dal nostro corpo impiega un’ora, per quello cotto sono richieste due ore.
Gli enzimi  contenuti nella frutta e verdura e negli alimenti naturali sono termolabili ovvero si denaturano alla temperatura di 60-70 C°

Oggi, quindi, la grande sfida che attiene l’alimentazione sta  nella capacità di coniugare sapientemente  le emozionanti sensazioni del gusto con la bontà, ovvero, appagare i nostri organi sensoriali, quali  l’olfatto e il gusto,  nel rispetto dei  processi metabolici di cui il fegato, il pancreas, la milza sono i protagonisti chiamati ad assolvere alla difficile  funzione digestiva

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