scritto da Angelo Greco | 04/06/2025
Devi pagare i contributi al consorzio di bonifica?
Con la nuova legge (L. 130/2022), l’onere di provare i benefici specifici per
il tuo immobile spetta al consorzio. Analisi e novità.
I contributi richiesti dai consorzi
di bonifica ai proprietari di immobili rappresentano da tempo una questione
dibattuta, spesso fonte di contenzioso. Il nodo centrale della discussione
ruota attorno a una domanda fondamentale: il
contributo di bonifica è sempre obbligatorio? Chi deve dimostrare che le
opere di bonifica realizzate dal consorzio hanno effettivamente apportato un
beneficio concreto e specifico all’immobile per il quale si chiede il
contributo? Una recente modifica legislativa e alcune significative pronunce
giurisprudenziali stanno cambiando le regole del gioco, spostando l’onere della
prova. Se ti stai chiedendo quando non pagare i contributi di bonifica per il tuo fondo, questa guida si propone di
fare chiarezza, analizzando le novità normative e le più recenti
interpretazioni dei giudici tributari.
Cosa sono i contributi dei consorzi di bonifica e perché si pagano?
I consorzi di
bonifica sono enti pubblici economici che hanno il compito di realizzare e
gestire opere di bonifica idraulica, di miglioramento fondiario e di tutela del
territorio. Queste opere possono includere la manutenzione di canali di scolo,
la regimazione delle acque, la difesa del suolo, l’irrigazione e altre attività
volte a rendere più sicuro e produttivo un determinato comprensorio
territoriale.
Per finanziare
queste attività, i consorzi hanno il potere di imporre ai proprietari degli immobili
(terreni e fabbricati) situati all’interno del comprensorio consortile (il cosiddetto “perimetro di contribuenza”) dei contributi consortili.
Il presupposto
teorico per l’imposizione di tali contributi è che gli immobili inclusi nel
perimetro traggano un beneficio, diretto o indiretto, dalle opere e
dall’attività svolta dal consorzio. Questo beneficio dovrebbe tradursi in un
miglioramento delle condizioni del fondo, in un aumento del suo valore o in una
maggiore sicurezza idrogeologica.
Quali condizioni giustificano la richiesta di contributi di bonifica?
Secondo un
principio consolidato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione (si
vedano, ad esempio, le ordinanze n. 36246 e n. 36273 del 2023), l’obbligo di
contribuire alle spese per le opere eseguite da un consorzio di bonifica, e
quindi l’assoggettamento al potere impositivo del consorzio, postula la
contemporanea presenza di due condizioni fondamentali:
1.
la proprietà di
un immobile (terreno o fabbricato) che sia incluso nel perimetro consortile di intervento. Questo perimetro è
definito dal consorzio attraverso un atto specifico, spesso denominato “piano
di classifica degli immobili”, che individua le aree soggette a contribuzione;
2.
il fatto che tale immobile tragga un vantaggio diretto e specifico dalle
opere di bonifica realizzate o dall’attività di manutenzione svolta dal consorzio.
Cosa si intende per beneficio “diretto e specifico” al mio immobile?
La Corte di
Cassazione ha costantemente ribadito che il vantaggio che giustifica
l’imposizione del contributo consortile deve essere diretto e specifico per il
singolo fondo, e non un generico beneficio che riguarda l’intero territorio
consortile e che ricade sull’immobile solo di riflesso, per il semplice fatto
di essere incluso in tale territorio.
Il beneficio deve essere:
conseguito o conseguibile: può essere un vantaggio attuale o potenziale, purché reale e concreto;
idoneo
a tradursi in una qualità positiva del fondo: ad esempio, un aumento del
valore di mercato, una maggiore produttività agricola, una riduzione del
rischio idraulico che grava specificamente su quel terreno o fabbricato, un
miglioramento dell’accessibilità o della salubrità. Non è sufficiente, quindi,
che il consorzio svolga un’attività di manutenzione generale del territorio se
questa non si traduce in un vantaggio tangibile e particolare per l’immobile
del contribuente.
Cosa è cambiato con
la nuova legge sull’onere della prova (L. 130/2022)?
Una svolta
significativa nella questione dell’onere della prova è intervenuta con
l’articolo 6, comma 1, della Legge n. 130 del 2022. Questa legge ha inserito il
comma 5-bis all’articolo 7 del Decreto Legislativo n. 546 del 1992 (che
disciplina il processo tributario).
Questa nuova
disposizione ha avuto un impatto diretto sulla ripartizione dell’onere
probatorio nelle controversie relative ai contributi consortili. Sebbene il
testo fornito si concentri sull’interpretazione giurisprudenziale di questa
novità, è chiaro che il legislatore ha inteso modificare gli equilibri
precedenti.
Ora chi deve
dimostrare che il mio fondo ha beneficiato delle opere?
Secondo
l’interpretazione data alla nuova normativa da recenti sentenze dei giudici tributari di merito (come la
sentenza n. 235/3/2025 della Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di
Latina e la sentenza n. 243 del 9 gennaio 2024 della CGT di secondo grado del
Lazio), a seguito dell’entrata in vigore del citato comma 5-bis dell’art. 7 del
D.Lgs. 546/1992, l’onere della prova grava sempre e comunque sul consorzio di
bonifica.
Questo significa
che è il consorzio, quando richiede il pagamento del contributo, a dover
dimostrare in giudizio (se il contribuente contesta la pretesa) che l’immobile
del contribuente ha effettivamente tratto un beneficio diretto e specifico
dalle opere di bonifica. Questa prova deve essere fornita a prescindere
dall’esistenza di un “piano di classifica” approvato e dall’insistenza
dell’immobile nel “perimetro di contribuenza” definito dal consorzio.
Il
“piano di classifica” del consorzio presume ancora il beneficio?
Secondo l’interpretazione innovativa valorizzata dalla CGT di Latina nella
sentenza
n. 235/3/2025, la
cosiddetta “presunzione di vantaggiosità” dell’attività svolta dal consorzio,
che in passato si riteneva derivasse automaticamente dall’adozione del “piano
di classifica” e dall’inclusione dell’immobile nel perimetro di contribuenza,
non è più applicabile.
Il nuovo comma
5-bis dell’art. 7 del D.Lgs. 546/1992 avrebbe, di fatto, superato questa
presunzione, imponendo al consorzio un onere probatorio pieno e diretto circa il beneficio specifico. Il semplice fatto che un immobile sia inserito in un piano di classifica, che è un atto
amministrativo generale di pianificazione, non è più sufficiente a far
presumere il vantaggio e a invertire l’onere della prova sul contribuente.
Come era prima
della riforma l’onere
della prova sui benefici?
Prima
dell’entrata in vigore della Legge n. 130/2022 e dell’interpretazione che ne stanno dando
alcune corti tributarie, l’orientamento prevalente della giurisprudenza,
sia di merito che di legittimità (Corte di Cassazione, si vedano ad esempio le
sentenze n. 9573/2023, n. 11431/2022; ordinanza n. 20359/2021; sentenza n.
8079/2020), era diverso.
In presenza di un
“piano di classifica” regolarmente approvato e dell’inclusione dell’immobile
nel “perimetro di contribuenza”, si tendeva a far operare una presunzione
relativa di beneficio. Di conseguenza:
1.
spettava inizialmente al contribuente l’onere di fornire la prova contraria, ossia
dimostrare l’inadempimento del consorzio agli obblighi derivanti dal piano di
classifica o l’assenza di qualsiasi beneficio per il proprio fondo;
2.
solo una volta che il contribuente avesse fornito tale
prova contraria, l’onere si sarebbe spostato nuovamente sul consorzio, il quale avrebbe dovuto
allora dimostrare i concreti e specifici benefici apportati al singolo fondo
dalle opere eseguite. Questo meccanismo, che di fatto agevolava il consorzio,
sembra ora essere stato superato dalla nuova disposizione e dalle recenti interpretazioni.
Cosa
dice la giurisprudenza sul contributo di bonifica obbligatorio?
Le sentenze citate
(CGT di primo grado di Latina n. 235/3/2025 e CGT di secondo grado del Lazio
n. 243 del 9 gennaio 2024) sono
molto importanti perché rappresentano
alcune delle prime applicazioni interpretative del nuovo comma 5- bis
dell’articolo 7 del D.Lgs. 546/1992.
Entrambe le
pronunce si pongono sulla stessa linea: valorizzano
la portata innovativa della
nuova norma, ritenendo che essa abbia determinato una chiara inversione
dell’onere della prova, ponendolo integralmente a carico del consorzio di bonifica.
Il consorzio, quindi, non può più fare affidamento sulla presunzione di beneficio
derivante dal piano
di classifica o dall’inclusione nel perimetro, ma deve attivamente dimostrare,
in caso di contestazione da parte del contribuente, che l’immobile di quest’ultimo ha tratto un vantaggio diretto,
specifico e concreto
dalle opere consortili. Nel caso specifico deciso dalla CGT di Latina,
il ricorso del contribuente, che contestava la richiesta di pagamento dei
contributi proprio per l’assenza di benefici al suo immobile, è stato accolto
proprio in virtù di questo nuovo principio.
Cosa
posso fare se il consorzio mi chiede contributi senza benefici?
Se ricevi una
richiesta di pagamento di contributi da un consorzio di bonifica e ritieni che
il tuo immobile non abbia ricevuto alcun beneficio diretto e specifico dalle
opere o dall’attività del consorzio, alla luce delle recenti novità normative e
giurisprudenziali hai validi argomenti per difenderti:
1.
chiedi al consorzio di specificare quali opere sono
state realizzate e quali benefici diretti e specifici il tuo immobile
ne avrebbe tratto;
2.
se la richiesta di pagamento è contenuta in un avviso
di pagamento o in una cartella
esattoriale, puoi presentare un’istanza di annullamento in autotutela al
consorzio (o all’ente che ha emesso l’atto), eccependo la mancanza di beneficio
e l’onere della prova a carico del consorzio;
3.
se l’istanza di autotutela non viene accolta o se
ricevi un diniego, puoi impugnare l’atto impositivo (avviso di liquidazione,
cartella di pagamento) davanti alla Corte di Giustizia Tributaria di primo
grado competente per territorio. Nel ricorso, dovrai
contestare la pretesa del consorzio, sostenendo l’assenza di un beneficio diretto e
specifico per il tuo fondo e richiamando il principio secondo cui spetta al
consorzio fornire la prova di tale beneficio, ai sensi del nuovo art. 7, comma
5-bis, del D.Lgs. 546/1992 e delle recenti interpretazioni giurisprudenziali. È
sempre consigliabile, data la tecnicità della materia, farsi assistere da un
professionista esperto in diritto tributario (commercialista o avvocato
tributarista) per valutare la situazione specifica e intraprendere le azioni
più appropriate.
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