venerdì 26 gennaio 2018

Spravviverano i contadini ancora una volta?

Spravviverano i contadini ancora una volta?
(ultima parte)

di Peppino Bivona

 Per parlare dei contadini bisogna amarli, rispettarli, conoscere il loro lavoro e con esso il suo valore. Bisogna stare ore ed ore ad ascoltarli, senza perdere neanche una pausa, parlano attraverso lunghi silenzi.



Solo cosi possiamo  comprendere la ricchezza di questi uomini,  i soli che sono in grado di leggere i segreti della natura, carpirne le poche essenziali leggi , vivere in perenne rispetto di essa. Li osserviamo mentre sono impegnati ad assolvere ai loro compiti nei campi accompagnati dai pensieri  più intimi e profondi.
Quanti lavorano a contatto con i contadini scoprono dei veri immensi “giacimenti di conoscenza”. Conoscenze che oggi sono particolarmente indispensabili per rispondere alla triplice crisi che stiamo attraversando: sociale ,economica, ambientale.
I contadini rappresentano la “forza motrice” di una trasformazione che dai campi investe l’intera struttura sociale, non mettono in discussione solo il modello agricolo convenzionale, ma sollecitano una interrogazione generale sulla società in cui viviamo, ovvero sulle ideologie dello sviluppo, del progresso, della scienza, dell’economia, e della produttività.
Oggi , siamo ancora sicuri che la natura debba essere considerata innanzi tutto, una risorsa da sfruttare? Siamo convinti, senza alcuna ombra di dubbio, che la competitività sia il “motore” della società a scapito della solidarietà e della complementarietà?
I contadini rappresentano oggi “l’antisistema” per eccellenza. Il loro grado di autonomia infastidisce le multinazionali dell’agro-alimentare, cosi ad esempio se mettono in piedi delle reti di sementi vernacolari, entrano direttamente in urto con il modello agro-scientifico che passa per le sementi migliorate o gli O.G.M. Accade lo stesso quando decidono  di coltivare le piantagioni utilizzando pratiche poco invasive, spesso articolate su sapere-fare ancestrali, di fatto entrano in conflitto con la logica della modernizzazione agricola che vorrebbe invece spingerli ad usare sempre di più i fertilizzanti chimici e macchine costose Non di meno, quando  i nostri contadini mettono in piedi delle filiere corte di commercializzazione , praticano una proposta alternativa a quella imperante della mondializzazione degli scambi commercia
Alla base della cultura contadina c’è una particolare “razionalità” che caratterizza il suo rapporto con la terra
La terra non è solo la base produttiva, ma viene investita da una serie di funzioni non meno importanti: da quella sociale, alla simbolica ed anche religiosa.
Con queste funzioni  costruisce una sua “razionalità” che non ha niente a che vedere con la logica della moderna agricoltura. Basta osservare un campo o un orto coltivato dal contadino: si osservano numerose e diverse piante che, se valutate a prima vista, non sembrano avere alcuna validità commerciale. Infatti poche dozzine sono vendibili e persino commestibil, eppure tutte hanno per il contadino una qualche utilità: quella determinata pianta permette di compensare il deficit nutrizionale del terreno, quell’altra trattiene l’acqua , l’altra ancora ospita il predatore di un certo insetto, quella è “indicatrice” di malattie crittogame, l’altra fa ombra , quella guarisce dalle malattie e infine quella è bella a guardarsi.
Per questo contadino la priorità non è quella di assicurare un attivo bilancio economico, ma un altro bilancio non disgiunto da un equilibrio, più ricco, più vario, più complesso. E’ questo equilibrio che soddisfa le funzioni vitali degli uomini e della natura , non è l’equilibrio degli economisti.
I contadini proponendo il concetto di “limite” attivano con le loro pratiche quotidiane alcuni obbiettivi che costituiscono una vera e propria alternativa sociale politica ed economica, ovvero.Ridurre,Riutilizzare,Riciclare.
Avevamo iniziato questa riflessione sul mondo contadino chiedendoci  se riusciranno ancora una volta a sopravvivere.

La risposta sta nel capovolgere la domanda ovvero ci salveremo se diventiamo un po' tutti “contadini”!    

sabato 6 gennaio 2018

Sopravvivranno i contadini ancora una volta?


di Peppino Bivona
(Terza parte)

                                       Oggi l’agricoltura non ha bisogno della presenza e dall’attività svolta dai contadini.  La modernizzazione, attraverso lo sviluppo della tecnica,  si avvale della meccanizzazione, della fertilizzazione chimica, della genetica  per produrre cibo, alimenti a buon mercato. Anzi ritiene  anacronistico  continuare a porsi il  problema dei contadini, sono sole zavorre da  abbandonare il più presto possibile, perché la mongolfiera dello sviluppo,  della crescita, del godimento illimitato ,possa dispiegare liberamente le propri ali.
Per raggiungere questi obbiettivi bisogna agire  attraverso la pressione economica , utilizzando la caduta del valore di mercato delle  produzioni agricole . Basti pensare che oggi il prezzo di un quintale di grano  è tre volte inferiore a quello di cinquanta anni fa. Eppure i contadini  rimangono i soli a resistere  all’onda lunga del consumismo . Bisognava disintegrare questo mondo  chiuso ,arcaico ,arretrato , solo cosi il mercato può espandersi.
In gran parte del mondo il possesso della terra e detenuto all’1% dei proprietari terrieri  i quali  investono nel nel patrimonio fondiario  le sole monocolture , attivano un florido commercio , garantendosi negli anni il massimo della rendita fondiaria con il minimo rischio .Il capitale monopolistico  delle multinazionali controlla il mercato, la produzione, la trasformazione, il confezionamento, la vendita, il consumo.La penetrazione di questo modello, sta mettendo in serio pericolo la sopravvivenza dei contadini.

Ma per espugnare  questo solido modello  economico, sociale e culturale eretto  a baluardo dal mondo contadino bisognava, come sostiene il sociologo portoghese Boanaventura de Sousa Santos ,annientare totalmente e radicalmente  tutti i giacimenti colturali  che sorreggevano  il modello di vita a cui faceva riferimento il contadino.
Ovvero un processo di decolonizzazione del sapere  intimamente legato al fare, un e radicamento delle consuetudini , dei riti , dei processi di acquisizione delle conoscenze.
Quello che negli ultimi cinquant’anni è accaduto può essere sintetizzato come  un “epistemicidio”, come sterminio  di conoscenze, di saggezze, di patrimonio consolidato per la vita. La stessa  violenza  culturale che si è espressa in tante parti del mondo con diverse popolazioni.
Il sogno dell’abbondanza, del benessere, del bene ,del bello, del progresso, ovvero del positivo , comincia a mostrare le prime crepe, alcune certezze si sfaldano, il “male “ che avevamo estromesso dal nostro mondo  ci riempie  le notti  di incubi .
Ormai da più di mezzo secolo  viviamo  con la certezza del futuro  equivalente alla positività, con la tecnica che ci garantisce ogni soluzione. Il dramma  o se volete la tragedia è che non siamo preparati ad eventi  nefasti e a tutto ciò che può ascriversi al “negativo” ,non abbiamo gli attrezzi , gli strumenti cognitivi ed intellettuali. .
Il contadino avevano la consapevolezza che potevano esserci buone annate intercalate da cattivi raccolti ,  chiedeva al signore di dargli la forza per affrontare le vicende che poteva “modificare” , pregava perché gli desse la vitalità di sopportare gli accadimenti che non poteva  cambiare .Ma quello che più desiderava  era la saggezza capace di discernere le cose che poteva cambiare da quelle che non poteva cambiare.
Ritorneranno i contadini?
(continua)