sabato 6 gennaio 2018

Sopravvivranno i contadini ancora una volta?


di Peppino Bivona
(Terza parte)

                                       Oggi l’agricoltura non ha bisogno della presenza e dall’attività svolta dai contadini.  La modernizzazione, attraverso lo sviluppo della tecnica,  si avvale della meccanizzazione, della fertilizzazione chimica, della genetica  per produrre cibo, alimenti a buon mercato. Anzi ritiene  anacronistico  continuare a porsi il  problema dei contadini, sono sole zavorre da  abbandonare il più presto possibile, perché la mongolfiera dello sviluppo,  della crescita, del godimento illimitato ,possa dispiegare liberamente le propri ali.
Per raggiungere questi obbiettivi bisogna agire  attraverso la pressione economica , utilizzando la caduta del valore di mercato delle  produzioni agricole . Basti pensare che oggi il prezzo di un quintale di grano  è tre volte inferiore a quello di cinquanta anni fa. Eppure i contadini  rimangono i soli a resistere  all’onda lunga del consumismo . Bisognava disintegrare questo mondo  chiuso ,arcaico ,arretrato , solo cosi il mercato può espandersi.
In gran parte del mondo il possesso della terra e detenuto all’1% dei proprietari terrieri  i quali  investono nel nel patrimonio fondiario  le sole monocolture , attivano un florido commercio , garantendosi negli anni il massimo della rendita fondiaria con il minimo rischio .Il capitale monopolistico  delle multinazionali controlla il mercato, la produzione, la trasformazione, il confezionamento, la vendita, il consumo.La penetrazione di questo modello, sta mettendo in serio pericolo la sopravvivenza dei contadini.

Ma per espugnare  questo solido modello  economico, sociale e culturale eretto  a baluardo dal mondo contadino bisognava, come sostiene il sociologo portoghese Boanaventura de Sousa Santos ,annientare totalmente e radicalmente  tutti i giacimenti colturali  che sorreggevano  il modello di vita a cui faceva riferimento il contadino.
Ovvero un processo di decolonizzazione del sapere  intimamente legato al fare, un e radicamento delle consuetudini , dei riti , dei processi di acquisizione delle conoscenze.
Quello che negli ultimi cinquant’anni è accaduto può essere sintetizzato come  un “epistemicidio”, come sterminio  di conoscenze, di saggezze, di patrimonio consolidato per la vita. La stessa  violenza  culturale che si è espressa in tante parti del mondo con diverse popolazioni.
Il sogno dell’abbondanza, del benessere, del bene ,del bello, del progresso, ovvero del positivo , comincia a mostrare le prime crepe, alcune certezze si sfaldano, il “male “ che avevamo estromesso dal nostro mondo  ci riempie  le notti  di incubi .
Ormai da più di mezzo secolo  viviamo  con la certezza del futuro  equivalente alla positività, con la tecnica che ci garantisce ogni soluzione. Il dramma  o se volete la tragedia è che non siamo preparati ad eventi  nefasti e a tutto ciò che può ascriversi al “negativo” ,non abbiamo gli attrezzi , gli strumenti cognitivi ed intellettuali. .
Il contadino avevano la consapevolezza che potevano esserci buone annate intercalate da cattivi raccolti ,  chiedeva al signore di dargli la forza per affrontare le vicende che poteva “modificare” , pregava perché gli desse la vitalità di sopportare gli accadimenti che non poteva  cambiare .Ma quello che più desiderava  era la saggezza capace di discernere le cose che poteva cambiare da quelle che non poteva cambiare.
Ritorneranno i contadini?
(continua)          

      

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