di Peppino Bivona
(Terza parte)
Oggi l’agricoltura non ha bisogno della presenza e dall’attività
svolta dai contadini. La modernizzazione,
attraverso lo sviluppo della tecnica, si
avvale della meccanizzazione, della fertilizzazione chimica, della
genetica per produrre cibo, alimenti a
buon mercato. Anzi ritiene anacronistico
continuare a porsi il problema dei contadini, sono sole zavorre
da abbandonare il più presto possibile,
perché la mongolfiera dello sviluppo,
della crescita, del godimento illimitato ,possa dispiegare liberamente
le propri ali.
Per raggiungere questi obbiettivi bisogna agire attraverso la pressione economica ,
utilizzando la caduta del valore di mercato delle produzioni agricole . Basti pensare che oggi
il prezzo di un quintale di grano è tre
volte inferiore a quello di cinquanta anni fa. Eppure i contadini rimangono i soli a resistere all’onda lunga del consumismo . Bisognava
disintegrare questo mondo chiuso
,arcaico ,arretrato , solo cosi il mercato può espandersi.
In gran parte del mondo il possesso della terra e detenuto
all’1% dei proprietari terrieri i
quali investono nel nel patrimonio
fondiario le sole monocolture , attivano
un florido commercio , garantendosi negli anni il massimo della rendita
fondiaria con il minimo rischio .Il capitale monopolistico delle multinazionali controlla il mercato, la
produzione, la trasformazione, il confezionamento, la vendita, il consumo.La
penetrazione di questo modello, sta mettendo in serio pericolo la sopravvivenza
dei contadini.
Ma per espugnare
questo solido modello economico,
sociale e culturale eretto a baluardo
dal mondo contadino bisognava, come sostiene il sociologo portoghese
Boanaventura de Sousa Santos ,annientare totalmente e radicalmente tutti i giacimenti colturali che sorreggevano il modello di vita a cui faceva riferimento
il contadino.
Ovvero un processo di decolonizzazione del sapere intimamente legato al fare, un e radicamento
delle consuetudini , dei riti , dei processi di acquisizione delle conoscenze.
Quello che negli ultimi cinquant’anni è accaduto può essere
sintetizzato come un “epistemicidio”, come
sterminio di conoscenze, di saggezze, di
patrimonio consolidato per la vita. La stessa
violenza culturale che si è
espressa in tante parti del mondo con diverse popolazioni.
Il sogno dell’abbondanza, del benessere, del bene ,del
bello, del progresso, ovvero del positivo , comincia a mostrare le prime crepe,
alcune certezze si sfaldano, il “male “ che avevamo estromesso dal nostro
mondo ci riempie le notti
di incubi .
Ormai da più di mezzo secolo
viviamo con la certezza del
futuro equivalente alla positività, con
la tecnica che ci garantisce ogni soluzione. Il dramma o se volete la tragedia è che non siamo
preparati ad eventi nefasti e a tutto
ciò che può ascriversi al “negativo” ,non abbiamo gli attrezzi , gli strumenti
cognitivi ed intellettuali. .
Il contadino avevano la consapevolezza che potevano esserci
buone annate intercalate da cattivi raccolti ,
chiedeva al signore di dargli la forza per affrontare le vicende che
poteva “modificare” , pregava perché gli desse la vitalità di sopportare gli
accadimenti che non poteva cambiare .Ma
quello che più desiderava era la
saggezza capace di discernere le cose che poteva cambiare da quelle che non
poteva cambiare.
(continua)
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