Spravviverano i contadini ancora una volta?
(ultima parte)
di Peppino Bivona
Per parlare dei
contadini bisogna amarli, rispettarli, conoscere il loro lavoro e con esso il
suo valore. Bisogna stare ore ed ore ad ascoltarli, senza perdere neanche una
pausa, parlano attraverso lunghi silenzi.
Solo cosi possiamo
comprendere la ricchezza di questi uomini, i soli che sono in grado di leggere i segreti
della natura, carpirne le poche essenziali leggi , vivere in perenne rispetto
di essa. Li osserviamo mentre sono impegnati ad assolvere ai loro compiti nei
campi accompagnati dai pensieri più
intimi e profondi.
Quanti lavorano a contatto con i contadini scoprono dei veri
immensi “giacimenti di conoscenza”. Conoscenze che oggi sono particolarmente
indispensabili per rispondere alla triplice crisi che stiamo attraversando: sociale
,economica, ambientale.
I contadini rappresentano la “forza motrice” di una
trasformazione che dai campi investe l’intera struttura sociale, non mettono in
discussione solo il modello agricolo convenzionale, ma sollecitano una
interrogazione generale sulla società in cui viviamo, ovvero sulle ideologie
dello sviluppo, del progresso, della scienza, dell’economia, e della
produttività.
Oggi , siamo ancora sicuri che la natura debba essere
considerata innanzi tutto, una risorsa da sfruttare? Siamo convinti, senza
alcuna ombra di dubbio, che la competitività sia il “motore” della società a
scapito della solidarietà e della complementarietà?
I contadini rappresentano oggi “l’antisistema” per
eccellenza. Il loro grado di autonomia infastidisce le multinazionali
dell’agro-alimentare, cosi ad esempio se mettono in piedi delle reti di sementi
vernacolari, entrano direttamente in urto con il modello agro-scientifico che
passa per le sementi migliorate o gli O.G.M. Accade lo stesso quando
decidono di coltivare le piantagioni
utilizzando pratiche poco invasive, spesso articolate su sapere-fare ancestrali,
di fatto entrano in conflitto con la logica della modernizzazione agricola che
vorrebbe invece spingerli ad usare sempre di più i fertilizzanti chimici e
macchine costose Non di meno, quando i
nostri contadini mettono in piedi delle filiere corte di commercializzazione ,
praticano una proposta alternativa a quella imperante della mondializzazione
degli scambi commercia
Alla base della cultura contadina c’è una particolare
“razionalità” che caratterizza il suo rapporto con la terra
La terra non è solo la base produttiva, ma viene investita
da una serie di funzioni non meno importanti: da quella sociale, alla simbolica
ed anche religiosa.
Con queste funzioni
costruisce una sua “razionalità” che non ha niente a che vedere con la
logica della moderna agricoltura. Basta osservare un campo o un orto coltivato
dal contadino: si osservano numerose e diverse piante che, se valutate a prima
vista, non sembrano avere alcuna validità commerciale. Infatti poche dozzine
sono vendibili e persino commestibil, eppure tutte hanno per il contadino una
qualche utilità: quella determinata pianta permette di compensare il deficit
nutrizionale del terreno, quell’altra trattiene l’acqua , l’altra ancora ospita
il predatore di un certo insetto, quella è “indicatrice” di malattie crittogame,
l’altra fa ombra , quella guarisce dalle malattie e infine quella è bella a
guardarsi.
Per questo contadino la priorità non è quella di assicurare
un attivo bilancio economico, ma un altro bilancio non disgiunto da un
equilibrio, più ricco, più vario, più complesso. E’ questo equilibrio che
soddisfa le funzioni vitali degli uomini e della natura , non è l’equilibrio
degli economisti.
I contadini proponendo il concetto di “limite” attivano con
le loro pratiche quotidiane alcuni obbiettivi che costituiscono una vera e
propria alternativa sociale politica ed economica,
ovvero.Ridurre,Riutilizzare,Riciclare.
Avevamo iniziato questa riflessione sul mondo contadino
chiedendoci se riusciranno ancora una
volta a sopravvivere.
La risposta sta nel capovolgere la domanda ovvero ci
salveremo se diventiamo un po' tutti “contadini”!
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