Dall’olivo
all’olivastro (seconda parte)
di Peppinp Bivona
Le colonie greche, che si erano insediate nei luoghi dove oggi
ci portano le amare constatazioni consoliane, avevano fornito «le loro
credenze, i loro costumi e linguaggi . In conformità ad un progetto
urbanistico, propugnato dalle esigenze identitarie della madrepatria e
condiviso dai coloni, gli ecisti avevano geometrizzato lo spazio, proprio come
Consolo ci ricorda: «Occuparono i fertili
campi, ricchi di acque, seminarono il frumento, piantarono le viti, gli ulivi,
costruì ciascuna famiglia la propria casa. Spazi centrali destinarono al culto,
ad azioni e bisogni comuni, spazi per i templi e le piazze delle loro
assemblee, cisterne per le loro granaglie, strade agevoli e sicure, luoghi dove
interrare e venerare i morti (…). Costruirono con un'idea di uguaglianza e
progresso, con una convinzione di tolleranza e rispetto di ogni diversità
culturale, linguistica, la volontà di coesione, di sinecismo delle varie
fratrie, delle varie stirpi» . Questo era secondo Consolo il passato, il
basamento sul quale l'isola doveva costruire la propria identità e dal quale
doveva mutuare gli insegnamenti per imprimere un tratto distintivo alla propria
storia futura.
Le aspirazioni di uguaglianza e progresso, le esigenze di
condivisione, tolleranza e rispetto delle diversità culturali, i bisogni di
sinecismo non sono stati continuati ed incrementati, ma mortificati ed
oltraggiati. Conseguentemente, per progresso si è inteso lo sviluppo edilizio
ed il sovraffollamento sul territorio di «villette, condomìni, alberghi e
trattorie» . Per esigenze di uguaglianza si è inteso l'affidamento, da leggere
come cieca fiducia, alle tecniche della corruzione, dell'imbarbarimento, del
saccheggio, delle speculazioni, della mafia.
In antitesi al rispetto delle diversità culturali si è insinuata
e fissata l'attivazione di un dibattito finalizzato all'accrescimento di
atteggiamenti e comportamenti. Tra gli olivastri siciliani, oltre a quelli già
citati, Consolo annovera, attribuendogli una posizione privilegiata, anche
Gela, «estremo disumano, (…) olivastro,
(…) frutto amaro, (…) feto osceno del potere e del progresso , dove oggi, nei
luoghi in cui prima nascevano i tesori dei coloni, i campi di frumento e i cavalli,
e dove il poeta Eschilo passeggiava e traeva ispirazione, si è sviluppato «il
teatro dell'abbaglio e dell'inganno, del petrolio favoloso, (…)qui il Gela1,
Gela2, Gela3 (...) accesero Mattei di forza e di speranza, lo spinsero alla
sfide dell'ENI statuale al duro capitalismo dei privati, al Gulf Italia
Company, alla Montecatini, infusero (…) retorica industriale, (…) posero sopra
le facce malariche dei contadini i bianchi caschi di plastica operaia. Da quei
pozzi, da quelle ciminiere sopra templi e necropoli, da quei sottosuoli
d'ammassi di madrepore e di ossa, di tufi scanalati, cocci dipinti,
dall'acropoli sul colle difesa da muraglie, dalla spiaggia aperta a ogni
sbarco, dal secco paese povero (…) partì lo sconvolgimento, partì l'inferno
d'oggi.
Nacque la Gela repentina e nuova della separazione tra i
tecnici, i geologi e i contabili giunti da Metanopoli, chiusi nei lindi recinti
coloniali, palme, pitosfori e buganvillee dietro le reti, guardie armate ai
cancelli, e gli indigeni dell'edilizia selvaggia e abusiva, delle case di
mattoni e tondini lebbrosi in mezzo al fango e all'immondizia di quartieri
incatastati, di strade innominate, la Gela del mare grasso d'oli, dai
frangiflutti di cemento, dal porto di navi incagliate nei fondali, inclinate
sopra un fianco, isole di ruggini, di plastiche e di ratti; nacque la Gela
della perdita d'ogni memoria e senso, del gelo della mente e dell'afasìa, del
linguaggio turpe della siringa e del coltello, della marmitta fragorosa e del
tritolo»
Ciò che addolora il viandante consoliano è proprio la
consapevolezza della natura di questo passaggio, di questo balzo che non ha
voluto prevedere un inglobamento delle matrici culturali, nobili ed illustri,
ma ha voluto assicurare il superamento nichilistico delle strutture fondanti
dell'identità culturale. Come ha potuto Siracusa, ritornando ancora una volta a
questa città, dimenticare di essere stata la scuola del passato, la
trasposizione della cultura di Atene ed Argo, come ha potuto oscurare i propri
interessi, che ruotavano attorno alla letteratura con poeti del calibro di
Pindaro, Simonide, Bacchilide? Come ha potuto dimenticare il sincretismo
religioso che aveva previsto la trasformazione della dea Atena in Santa Lucia?
«Esce per la sua festa la vergine bianca,
la Fòtina, la Lucifera, la Palladia, rigida nel suo corpo d’argento, alta sopra
l’argento della cassa, esce nell’ellissi dello spazio, nello spazio dell’occhio
smisurato, nel barocco anfiteatro dove s’erge la fronte della badìa nel nome
suo edificata» . Perché ha mutato la vivacità culturale nell'immobilità della
miseria e dell'abbandono? Perché ha sacrificato i templi coi suoi altari, il
teatro, le strade dei sepolcri? Come ha potuto profanare con l'olio delle
industrie delle attività petrolifere il mare che nel tempo mitologico fu
solcato da Odisseo e nel tempo storico dai Corinzi? Quale insegnamento ha
assorbito, a livello urbanistico, artistico ed estetico, per realizzare il
santuario della Madonna delle Lacrime?
«In costruzione da
trent’anni, la chiesa non è ancora ultimata; coi suoi settanta metri di
altezza, piantato nel cuore di un parco archeologico, l’edificio, col grigio
del suo cemento contro il cielo livido, faceva pensare a una rampa per il
lancio di navi spaziali, ma la sua forma di cono scanalato, di campana
assottigliata in alto, voleva simboleggiare, per gli architetti francesi che
l’avevano ideato, la stilla lacrimosa che, dall’occhio sgorgando, nella caduta
s’allarga, si fa goccia. A pianto di una Madonna di gesso colorato, alle
lacrime di questa squallida immagine nella casa di un operaio comunista, a
questo miracoloso evento accaduto nell’imminenza di una tornata elettorale
degli anni Cinquanta, è legato il nuovo santuario» . Dove sono finiti il senso
dell'armonia spaziale, della compostezza delle forme e il bisogno
dell'adattamento alle peculiarità del territorio?» » .
Le domande di Consolo agli improduttivi e sterili olivastri
proseguono, nonostante rendano inefficaci ed insensati finanche gli stessi
interrogativi, toccando la Conca d'oro: chi ha voluto che il giardino delle
arance divenisse un «sudario di cemento» ? Perché Palermo, luogo che, come
suggerisce la sua etimologia, accoglie, ha deciso di accettare, conservare e
proteggere univocamente la corruzione, prodotta dall'intrigo, dal ricatto? Cosa
ha fatto confondere il senso del bene con quello del male? «Non volle entrare il viaggiatore, sostare
nella Palermo che aveva amato, ora città della corruzione e del massacro. Non
volle fermarsi in quel luogo dell'agguato, del crepitìo dei kalashnikov e del
fragore del tritolo (...), delle strade di crateri e di sangue, dell'intrigo e
del ricatto, delle massonerie e delle cosche, in quel luogo dell'Opus Dei,
degli eterni Gesuiti del potere e dei politici di retorica e spettacolo (...).
Via, via, lontano da quella città che ha disprezzato probità ed intelligenza,
memoria, eredità di storia, arte, ha ucciso i deboli e i giusti”.
Questo è l’amore smisurato di Consolo per la sua Sicilia Egli
non pretendeva nei confronti del passato una devozione ed un'imitazione
meccanica, incorrendo, così, nella pratica pericolosa della reificazione dei
dati culturali, ma auspicava un'evoluzione storica responsabile, la quale, dopo
aver letto e compreso i significati simbolici del passato, li utilizzasse per
modificarli, per ricavarne i principi universali, di indiscussa validità,
classici appunto del passato, li utilizzasse per modificarli, per ricavarne i
principi universali, di indiscussa validità, classici appunto.
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