domenica 17 dicembre 2023

I motivi della protesta tra realtà e popolismo

       L’80% dei finanziamenti PAC va al 20% degli imprenditori agricoli e premia l’agricoltura intensiva.

Sui trattori vediamo, gli uni accanto agli altri, agricoltori che praticano un’agricoltura intensiva, sostenuta da milioni di euro, che impoverisce la terra senza peraltro arricchirli, e allevatori e contadini virtuosi, lasciati soli e senza futuro, come senza prospettive sono spesso le terre dalle quali provengono, quel 70% di aree interne e del sud italia trascurato da ogni governo. Quel territorio che ci presenta il conto a ogni evento climatico estremo

Come per magia la protesta mette insieme interessi contrapposti

L’incendio che divampa in questi giorni in tutta Europa è il frutto di decenni in cui la politica ha trascurato l’agricoltura, le condizioni di vita e di lavoro di chi produce cibo soprattutto nelle aree interne e delle aree del sud. 

Oggi gruppi finanziari e di multinazionali controlla gran parte della produzione alimentare industriale: i semi, i fertilizzanti, i pesticidi, la genetica delle razze animali, la trasformazione delle materie prime, la distribuzione. Il nostro sistema alimentare non protegge le sue fondamenta (la terra e chi la lavora), ma annienta proprio gli agricoltori più virtuosi e genera sprechi intollerabili (quasi un terzo del cibo prodotto). Abbiamo chiuso gli occhi per anni davanti a contadini costretti a lasciar marcire la frutta sugli alberi, perché sarebbe stato più costoso raccoglierla; allevatori che per disperazione sono arrivati a versare per strada il latte; agricoltori che vendono il frumento fermo allo stesso prezzo di dieci anni fa; produttori stritolati dalla grande distribuzione.

 

 Così il disagio è esploso, indirizzato (ad arte) al bersaglio sbagliato: la transizione ecologica e le sacrosante misure a tutela dell’ambiente. Come diceva l’ambientalista Alexander Langer, “la transizione ecologica sarà prima di tutto sociale, o non sarà”».

Il Green Deal è un percorso necessario  questi anni sono decisivi. Dobbiamo agire ora per contrastare la crisi climatica, ricostruire una relazione armonica e sensata con la natura, ripristinare la fertilità dei suoli europei, produrre e allevare con rispetto per gli animali e per l’ambiente. Come molti studi dimostrano, a partire dal report Ipbes-Ipcc, soltanto la biodiversità ci consentirà di adattarci agli effetti della crisi climatica. Ma dobbiamo sostenere e accompagnare chi produce il nostro cibo seguendo pratiche agroecologiche e supportare tutti gli altri, attivando percorsi condivisi. 

Si parla degli ingenti sussidi europei all’agricoltura, ma si dimentica che i soldi delle Pac continuano ad andare a poche grandi aziende: l’80% dei finanziamenti va al 20% degli imprenditori agricoli e premia l’agricoltura intensiva. E a elargire questi fondi in maniera così poco lungimirante sono le istituzioni politiche, costituite da persone che noi stessi scegliamo attraverso il voto. Senza una transizione e rigenerazione ecologica e al contempo sociale, la nostra agricoltura perderà e sarà sempre più in balia delle multinazionali e degli umori del mercato.

In una Regione come la Sicilia nella programmazione 2014-2022 ha beneficiato di oltre tremiliardi di euro, sostenere che l'Europa è stata assente e a dir poco ingeneroso, solo i neofiti possono spingersi in una affermazione tanto qualunquista quanto stupida.

Certo è sempre possibile fare di più. ...Come? semplice, raddoppiare in questa programmazione 2024-2027 la dotazione finanziaria da tre miliardi, in  sei miliardi, ...così saranno tutti contenti. Per fare ciò però è indispensabile che gli azionisti di maggioranza del bilancio EU, cioè i cittadini europei, accettino di pagare il doppio di tasse, per raddoppiare l'assistenza al mondo rurale. Sembrerebbe infatti che non tutti sanno da dove provengono le provvidenze per sostenere le politiche europee. 

     In molti anzi in tantissimi, non hanno compreso, che la protesta ha il solo obiettivo di spostare voti alle prossime elezioni europee,  verso l'estrema destra europea da sempre antieuropeista. 

Alcune pretese sono giustissime, ma il perimetro è totalmente fuori luogo.

Le strategie del Green Deal, come la Strategia Farm to Fork e la Strategia Biodiversità 2030, sono politiche lungimiranti, malgrado qualche agitatore senza scrupolo sostiene il contrario.


Tra il 2021 e il 2027 sono stati stanziati quasi 390 miliardi di euro   

Da qualche settimana sono in corso in vari paesi europei, tra cui FranciaGermania e anche Italia, estese proteste organizzate dagli agricoltori, che si sono fatti notare soprattutto perché in molte occasioni hanno bloccato strade e autostrade con trattori e altri mezzi agricoli. Giovedì c’è stata anche una grossa manifestazione vicino ai palazzi delle istituzioni europee a Bruxelles, dove intanto era in corso una seduta straordinaria del Consiglio Europeo.

Gli agricoltori protestano per diversi motivi, che spesso hanno a che fare con la situazione politica e normativa dei vari paesi in cui vivono e lavorano. Le loro richieste sono accumunate da una critica generale nei confronti della Politica agricola comune (PAC), l’insieme di norme che regolano l’erogazione dei fondi europei per l’agricoltura, considerata eccessivamente ambientalista e poco attenta alle necessità dei lavoratori. Storicamente però il settore dell’agricoltura è sempre stato uno dei più sussidiati, e oggi buona parte delle fattorie e delle aziende agricole europee riesce a sostenersi proprio grazie ai fondi europei per l’agricoltura.

La PAC viene aggiornata ogni cinque anni: l’ultima è entrata in vigore nel 2023, e sarà valida fino al 2027. È un pacchetto di norme molto corposo, che viene concordato durante lunghe negoziazioni tra tutti gli stati membri dell’Unione. Si basa su alcuni obiettivi fondamentali: tra gli altri garantire un reddito equo agli agricoltori, proteggere la qualità dell’alimentazione e della salute, tutelare l’ambiente e contrastare i cambiamenti climatici.

L’ultima PAC è stata finanziata con 386,6 miliardi di euro, ossia il 31 per cento di tutto il bilancio europeo per il periodo 2021-2027, che vale più di 1.200 miliardi euro. La percentuale scende al 23,5 per cento se comprendiamo nel totale del bilancio anche i circa 800 miliardi di euro forniti dal Next Generation EU, il piano di aiuti economici per i paesi colpiti dalla pandemia, spesso chiamato Recovery Fund. Le cifre utilizzate per questi calcoli rispecchiano i prezzi vigenti ad aprile del 2023: possono variare in base all’inflazione, ma l’ordine di grandezza generale rimane questo.

I fondi della PAC sono divisi in due pilastri fondamentali: il Fondo europeo agricolo di garanzia (FEAGA) e il Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR). Il primo ha una dotazione complessiva da 291 miliardi di euro, e il secondo di 95,5 miliardi, di cui 8 miliardi forniti dal Next Generation EU.

Complessivamente tra il 2023 e il 2027 la maggior parte dei fondi europei per l’agricoltura sarà usata per dare dei sussidi diretti agli agricoltori: riceveranno quasi 190 miliardi di euro, il 72 per cento del totale. La parte restante sarà divisa in progetti per lo sviluppo rurale (25 per cento) e interventi in specifici settori, tra cui quelli del vino, dell’olio d’oliva e dell’apicoltura (3 per cento dei fondi).

L’agricoltura riceverà quindi quasi un quarto dei fondi previsti dal bilancio europeo. È senza dubbio una componente molto rilevante, che però in passato era ancora più alta: all’inizio degli anni Ottanta la quota di fondi dedicata all’agricoltura era del 66 per cento, ed è poi scesa gradualmente fino a raggiungere il 38 per cento nel periodo 2014-2020 e infine al 31 per cento dell’ultimo bilancio approvato. A partire dal 1992 la quota dedicata ai contributi diretti per gli agricoltori ha cominciato ad aumentare moltissimo, a scapito degli altri settori finanziati, come i sussidi alle esportazioni o alle attività educative e promozionali, i cui finanziamenti sono stati ridotti.

I fondi europei vanno divisi tra tutti i 27 paesi membri dell’Unione (ed erano 28 fino al gennaio del 2020, quando c’era ancora il Regno Unito). Secondo gli ultimi dati disponibili, nel 2019 la Francia ricevette la quota più alta dei fondi del FEAGA, pari al 17,3 per cento del totale, seguita da Spagna, Germania e Italia, con il 10,4 per cento. Anche dell’altro fondo, il FEASR, beneficiarono soprattutto la Francia e l’Italia, che ricevettero rispettivamente il 15 e il 10,4 per cento dei fondi.

 

La maggior parte degli agricoltori che nel 2019 beneficiò dei contributi diretti ricevette meno di 5mila euro, mentre una parte – circa il 2 per cento del totale – incassò più di 50mila euro. Con la nuova PAC sono stati modificati i criteri di distribuzione dei contributi e le modalità per accedervi, inserendo nuovi vincoli per la tutela dell’ambiente: agli agricoltori che non li rispettano possono essere ridotti o anche sospesi i pagamenti.

Secondo l’Unione Europea, i sussidi sono necessari perché nella maggior parte dei casi le aziende agricole hanno redditi inferiori a quelli degli altri settori produttivi: secondo i dati della Commissione Europea, nel 2022 gli agricoltori hanno guadagnato poco più del 60 per cento del reddito medio dei dipendenti nell’Unione. È una situazione che sta migliorando, considerando per esempio che nel 2005 il reddito medio degli agricoltori era pari al 30 per cento di quello degli altri dipendenti.

Inoltre il settore deve fare i conti con molte incertezze: i prezzi sono volatili e le normative continuano a cambiare, così come le condizioni climatiche e i vincoli per ottenere i sostegni pubblici, fattori che nel complesso rendono molto difficile fare programmi a lungo termine. Anche per questo il settore agricolo è così sussidiato.

Allo stesso tempo, però, gli agricoltori si oppongono a molti cambiamenti che l’Unione Europea sta cercando di introdurre per salvaguardare l’ambiente, e in alcuni casi avanzano richieste poco concrete o comunque molto difficili da realizzare. Tra le altre cose, in Italia chi sta partecipando alle proteste chiede il blocco delle importazioni dei prodotti agricoli da paesi con standard produttivi e sanitari meno rigidi rispetto a quelli europei, che farebbero concorrenza sleale; il divieto di vendita e produzione per i cosiddetti “cibi sintetici”; una riqualificazione della figura pubblica dell’agricoltore, che dal loro punto di vista sarebbe troppo spesso additata «come responsabile dell’inquinamento ambientale».

 

 

 

 

 

 

 

 

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