lunedì 24 ottobre 2022

Quale sovranità alimentare?

 Uno dei primi lavori del  ERP  European Rural Parliament   https://terra.psrsicilia.it/parlamento-rurale-europeo-litalia-parla-siciliano-ai-lavori-di-kielce/     è stato l’avvio  dell’elaborazione del Manifesto della Neoruralità, che non rappresenta il vangelo, ma un quaderno work in progres.

  A distanza di  dieci  anni,  ritorna di gran moda o se volete di grande attualità, (…sovranità alimentare). L’ Italy Rural Parliament nel Manifesto ha preferito trattare prima  i contenuti, piuttosto che il contenitore, comunque la sostanza in estrema sintesi non cambia, c’è tanta voglia di riposizionare ogni cosa al posto giusto, e di riscrivere una politica agricola, rispettosa dei contadini, dei consumatori e del prossimo, se pur in un contesto europeo.



Il concetto di sovranità alimentare è un concetto molto più profondo di quello che potrebbe apparire a prima vista. Infatti  l’Italia è tra i Paesi che già oggi, con il suo banale ministero delle Politiche agricole,  protegge 315  prodotti con marchi Dop (denominazione di origine protetta), Igp (indicazione geografica protetta), Stg (specialità tradizionale garantita) per non parlare di Doc, Docg, Igt,  ect,ect Pensate davvero che non ci sia sufficiente sovranità?

La sovranità alimentare non và intesa come una “nuova montagna di carte” per affermarne il diritto di esistere.

Nel corso degli anni il concetto di «sovranità alimentare» è stato ripreso e diffuso da diverse organizzazioni, non esiste una definizione unanime o trasversalmente condivisa di questo concetto, ma per capire cosa significa può essere utile riferirsi  Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO).

Secondo la FAO  la sovranità alimentare è un modello di gestione delle risorse alimentari che ha come priorità e motore delle proprie politiche non la massimizzazione del profitto economico ma la soddisfazione delle esigenze alimentari delle persone; che promuove un tipo di produzione alimentare sostenibile e rispettosa del lavoro di chi produce il cibo; che punta a incoraggiare le economie alimentari locali, riducendo la distanza tra fornitori e consumatori, lo spreco e la dipendenza da società distanti dai luoghi in cui il cibo viene prodotto. In altre parole, la sovranità alimentare si propone di dare il controllo delle risorse alimentari soprattutto a chi le produce, le distribuisce e le consuma anziché a grandi aziende che le utilizzano come mezzo per arricchirsi.

La sovranità alimentare punta   a valorizzare le conoscenze tradizionali sulla produzione delle risorse alimentari e la loro trasmissione di generazione in generazione, e promuove l’utilizzo di metodi e mezzi di gestione delle risorse alimentari che siano sostenibili dal punto di vista ambientale, concetti che Veronelli ha codificato fin dagli inizi degli anni 90 con le De.Co. Denominazioni Comunali



Veronelli,   enologo, gastronomo e scrittore lombardo,   https://terra.psrsicilia.it/borghi-geniusloci-de-co-legame-fra-uomo-ambiente-clima-e-cultura-produttiva/   ha rappresentato e rappresenta il rinascimento dell’  ElaioEnoGastronomia  italiana in tutte le sue espressioni, ha aperto una strada, inventato un genere, vissuto e tracciato la via per l’affermazione dei territori, e i suoi prodotti identitari, una lezione di dedizione, onestà intellettuale, e sana partigianeria che ha rappresentato   l’antesignano  della sovranità alimentare .

                    Ha lottato contro i poteri forti a difesa dei piccoli produttori, a garanzia dei consumatori consapevoli, tra le sue battaglie, “con la trasparenza del prezzo sorgente, il consumatore verrebbe messo in grado di valutare il tipo di ricarico applicato dal rivenditore, e da questo  la sua onestà”

  Già nel lontano  1956   Luigi (Gino) Veronelli scriveva “L’agricoltura e il turismo sono le armi migliori per lo sviluppo e l’affermazione della nostra Italia”. Un’idea decisamente controcorrente considerando il pieno boom economico, cioè quel veloce sviluppo industriale che trasformò l’Italia, il suo modo di vivere, le abitudini, anche alimentari, della popolazione e modificò per sempre l’aspetto delle città, del paesaggio, delle campagne. Anni dopo, Veronelli è tornato sull’argomento precisando che “L’agricoltura di qualità e il turismo di qualità sono le armi per lo sviluppo della nostra patria”. Veronelli in questo come in tanti altri temi, è stato   un intellettuale a tutto campo, ricco di intuizioni, uno straordinario personaggio ricco di umanità, e di contraddizioni, capace di vedere lontano. I suoi pensieri sul turismo e sull’agricoltura, infatti, hanno del pionieristico se collocati nel contesto storico in cui sono stati enunciati. Ma d’altra parte il suo grande fascino era dovuto al fatto che nella sua vita, non hai mai smesso di essere curioso e attento a cogliere le novità, nel rispetto dell’identità territoriali.

Ecco, per noi tutto questo è sovranità alimentare.

 

italyeuropeanruralparliament@gmail.com

mercoledì 12 ottobre 2022

Riaffiorano le radici


  Peppino Bivona

                                A quel tempo la spiaggia di Porto Palo finiva alla foce Mirabile, quasi a simboleggiare le nostre colonne d’Ercole: oltre c’era l’ambio arenile, smisurato, aperto, sconfinato, sovrastato dall’immensa collina di sabbia: il “serrone Cipollazzo”,ricoperto qua e là da vegetazione di piante in via d’abbandono; poi il  mare, limpidissimo, basso ,esteso, calmo , comodo per raccogliere patelle. Chi osava avventurarsi oltre la foce rischiava di perdersi nel vasto “oceano”, dove la ragione latitava e spesso soccombeva alle passioni giovanili. 

Oggi gli spazi oltre la foce Mirabile sono densamente antropizzati, resi angusti dalla strettezza  di un malcelato  budello di terra , costipato  da un ammasso di case scriteriate  e goffe,  insomma, penose.  Ora tutto si è ridotto, divenuto a portata di mano: l’accesso comodo ma non facile. I cambiamenti in questo mezzo secolo non potevano risparmiare questo tratto di mare e la collina sovrastante, che per alcuni anni divenne oggetto di un acceso dibattito, culminato in vicende giudiziarie dai risvolti umani dolorosi. Ma alla fine, pur assediato ad est come ad ovest, dalla speculazione, viene riconosciuto e decretato come area d’interesse paesaggistico –ambientale. Eppure come se non bastasse, Il serrone Cipollazzo, subisce oggi più che mai, inesorabilmente gli attacchi violenti delle mareggiate, particolarmente dove non sono state allestite  protezioni, ovvero i pennelli. Questa immensa, stupenda duna di sabbia, forse unica nel bacino del mediterraneo, sembra un gigante dai piedi d’argilla!
Si, ogni anno di più sembra sgretolarsi, la furia del mare non ha pietà, l’assedia frontalmente e inesorabilmente avanzando ne mina le fondamenta! Ogni anni sembra restituirci strani reperti.
Quest’anno, per uno bizzarro sortilegio, i marosi ci hanno consegnato nuovi reperti, ovvero lunghe radici di vite immerse per diversi metri nella sabbia fino a raggiungere i profondi strati argillosi, forse di illite o di caolino. Uno spettacolo mozzafiato: pensate queste uniche e rare viti  europea,  franchi di piede ,ovvero non innestate, da quasi centocinquant’anni sono sopravvissute al caldo torrido della sabbia infuocata,  a pochi metri dal mare
.Ad una prima analisi dei seni peziolari  sembrano Catarrati, Inzolia e una vecchia verità di uva da tavola, forse Centorruote. Ora vi chiederete stupiti: ma cosa ci faceva questa coltivazione della vite in un contesto orografico cosi avverso o quantomeno singolare?
Per un momento accantoniamo l’emozione e lasciamo parlare la storia.




 Ebbene, dovete sapere che per millenni in Sicilia, come in tutto il bacino del Mediterraneo, la vite veniva coltivata con estrema semplicità, non avevamo alcun bisogno di praticare l’innesto né tanto meno difenderci da due pericolose malattie ovvero l’oidio e la peronospora. La vite produceva in abbondanza e viveva cento e passa anni. I nostri guai inizino con la “scoperta “dell’America, e in modo decisivo quando i mezzi di comunicazione divengono sempre più rapidi e veloci come accade con le navi a vapore. La seconda metà dell’ottocento segna l’avvio tragico del disastro della viticoltura europea : arriva dall’America la fillosser, uno strano afide che attacca e distrugge  le radici delle viti europee, franche di piede. Dalla Francia il flagello si espande in tutta Europa compresa la Sicilia , ……fino a Menfi. Qui, la vite  nell’economia agricola, aveva un posto di tutto rispetto, ne sono testimonianza i diversi “palmenti “ diffusi in contrada Bonera. Che fare?  Per anni i contadini videro  scemare sotto i loro occhi interi campi di vite coltivate. Finché  un giorno, qualche acuto osservatore, notò un fatto interessante, ovvero che le viti coltivate in terreni sciolti o molto sciolti, la forma radicicola della fillossera non manifestava la sua virulenza. Fu così che i contadini e i proprietari   decidono di spostarne la coltivazione della vite nei terreni sabbiosi.
Oltre alla collina del Cipollazzo, la vite si estese nelle aree delle dune di contrada Torrenuova ,attivando, per alcuni anni, un fiorente commercio. Le viti affondavano le radici per diversi metri, fino agli strati argillosi,  mentre la vegetazione veniva protetta da cannucce perfettamente ordinate. L’uva raccolta veniva trasportata in cesti di canne spaccate, a basto con i muli. Tutto durò alcuni decenni fino a quando non fu introdotta la tecnica dell’innesto, utilizzando le viti americane le cui radici resistevano all’attacco della fillossera. Adesso il mare trascina via, assieme alle radici, i nostri ricordi giovanili.