lunedì 20 ottobre 2025

Alimentazione, mangiare è ancora un atto agricolo?

 Peppino Bivona

Belìce di Mare Gennaio 2024

                                           “Der  mensch ist vas er isst “ l’uomo è ciò che mangia dice  Ludwig Feuerbach. Le nostre popolazioni rurali con altrettanto praticità  rispondevano:  “adinghi la panza , adinghila  puru di spini “ ( riempi la pancia , riempila anche se,di spine) .  


Un motto che nella sua semplicità   assicurava che tutto ciò che era naturale poteva essere considerato alimento,  era commestibile ,insomma il “cibo” era tutto ciò che poteva essere mangiato .  C’erto erano tempi in cui l’ingiustizia sociale faceva da corollario alla  povertà e alla  fame. Eppure  la povertà alimentare rurale spesso non era disgiunta da una “abbondanza frugale”  un apparente ossimoro ma  contrariamente alle condizioni di oggi ,che  pur paradossale che possa sembrare, al limite della illogicità , siamo perennemente  satolli e sovralimentati, ma  …sottonutriti.. La quantità primeggia sulla qualità ,i macronutrienti prevalgono  sui micronutrienti. Insomma in questi nostri  tempi moderni non abbiamo un buon  rapporto  col cibo, ( e non solo!) un giusto e misurato equilibrio:  viviamo  in  una perenne  esasperata apprensione  ,una fame insaziabile!.Le ragioni sono molte e complesse, le dinamiche economiche  che caratterizzano le vicende storiche dell’ultimo secolo ,non hanno risparmiato il cibo, l’alimento, che da un bene atto a soddisfare un bisogno diviene merce , cosi il suo valore di scambio prevale  o sopprime il valore d’uso.
Ma che cosa è successo alla nostra agricoltura? Quali profonde modifiche abbiamo apportato alla filiera alimentare?Cosa hanno di diverso i nostri alimenti rispetto a quelli consumati dalle nostre nonne?  Comprendere  la natura di tali cambiamenti  può aiutarci  a capire  come potremmo modificare il nostro rapporto con il cibo, per il nostro benessere e la nostra salute. Fin dai tempi fondativi dell’evoluzione degli ecosistemi, convergenti verso una sempre maggiore complessità, l’atto del “mangiare” è stato una relazione tra specie all’interno di sistemi che oggi chiamiamo catene o reti alimentari, oggi, vanno dall’uomo  e scendono giù fino al terreno. Le specie vegetali ed animali  sono entrati in una interattività ,  una relazione”coevolutiva” , si evolvono congiuntamente con quelle di cui si nutrono, sviluppando un legame di interdipendenza.
 Dicono le piante : “io ti nutrirò se tu propagherai i miei geni” . Un adattamento reciproco trasforma progressivamente una mela  in un frutto nutriente e gustoso  per un animale, e col tempo  attraverso tentativi ed errori  la pianta in generale  diventa più appetitosa ,dolce e attraente  al fine di catturare l’attenzione dell’animale e appagare i suoi bisogni, i suoi  desideri .Al tempo stesso l’animale acquisisce gradualmente gli strumenti digestivi come ad esempio gli enzimi. Nella catena alimentare è fondamentale  che gli elementi abbiano un buon grado di benessere  perché un disturbo potrebbe ripercuotersi su tutti gli altri organismi che  ne fanno parte. Cosi, se un suolo è malato   non strutturato o in qualche modo carente di qualche elemento nutritivo, si ripercuoterà sull’erba che vi cresce sopra, debole e malaticcia . La stesso varrà per le mucche che brucano quell’erba  e infine per le persone che bevono il loro latte .La lunga familiarità  tra certi alimenti e i loro consumatori ha dato luogo ad elaborati sistemi di comunicazione,sia verso l’alto che verso il basso della catena ,cosicché gli organi di senso finiscono per riconoscere i cibi che conviene mangiare dall’odore ,dal colore dal sapore .Perciò la maturazione dei frutti e spesso segnalata da un odore caratteristico,un colore brillante,un sapore tipicamente dolce, ma che opportunamente corrisponde al momento in cui i semi della pianta sono pronti  per andare via e germinare e non a caso coincide con la massima concentrazione di nutrienti e digeribilità . Oggi ,invece i cibi sono espressamente progettati  per ingannare i nostri sensi, attraverso aromi artificiali e dolcificanti sintetici depistando  il nostro odorato e l’olfatto .Con l’avvento dell’agricoltura ,diecimila anni fa , avvenne un grande mutamento  che peggiorò la salute  dell’uomo,provocando ogni sorta di carenza nutrizionale e non poche malattie infettive , messe sotto controllo solo nell’ultimo secolo. Ma il vero disastro lo abbiamo commesso nell’ultimo secolo : dal terreno fino ad arrivare al piatto sulla tavola, l’agricoltura industrializzata ha operato in una sola direzione , ovvero la semplificazione sia chimica che biologica . La nutrizione delle piante è affidata a tre macronutrienti  N,P,K , trascurando l’importanza dell’attività biologica del suolo , il contributo alla salute delle piante, dal complesso sistema sotterraneo  di batteri ,lombrichi ,funghi micorrizici. Le piante oggi sono più vulnerabili ai parassiti e alle malattie  e sembra si siano ridotte le loro qualità nutrizionali . Questa agricoltura ha “estratto “ dalla terra i macronutrienti  con un apporto di calorie non indifferente , ma questo guadagno quantitativo è avvenuto a spese della qualità Cosi  la vitamina C è diminuita del 20%  il ferro del 15% ,il calcio del 16% e le riboflavine del 38% , una vera inflazione nutrizionale  tanto che  tra qualche tempo dovremmo mangiare tre mele per avere la stessa quantità  micronutriente di una . Ma al declino della qualità  ha contribuito  la genetica e la selezione, indirizzata prevalentemente in funzione delle rese .Le nuove varietà di frumento nell’ultimo mezzo secolo hanno triplicato le rese  ma ridotto ,per esempio il ferro del 28%  ,lo stesso dicasi per gli ortaggi  come per le  mucche da latte . Ma non è finita , perché al peggio non c’è limite! La sciagura alimentare l’abbiamo compiuto negli ultimi decenni ,passando dalla “foglia” al seme” ovvero dall’utilizzo a fine alimentare  dalle strutture foto sintetiche “dirette”  alle  strutture conservative tipo  cariossidi delle piante
Ebbene, ci siamo chiesti perché il 75% del fabbisogno calorico e soddisfatto da 4 colture : mais, soia, grano e riso  e le loro coltivazioni interessano buona parte della superficie del pianeta? Per la semplice ragione che sono particolarmente adatti alle esigenze del capitalismo agroindustriale in particolare il mais e la soia . Queste piante sono eccezionalmente efficienti (mais c4) nel trasformare  l’energia del sole , i fertilizzanti ,l’anidrite carbonica e l’acqua in carboidrati ,lipidi e proteine racchiuse nel seme  i quali possono essere vantaggiosamente convertiti in carne, latticini, uova ecc. I semi possono essere facilmente trasportati per lunghe distanze , stoccati  per prolungati periodi e lavorati  nei modi più disparati ( vedi mais)
Ma, il diavolo fa le pentole ma si dimentica i coperchi, infatti la convenienza dell’agroindustria non coincide con le esigenze nutrizionali dell’essere umano che si è visto stravolto il modello alimentare  dalle fondamenta ,le cui conseguenze solo da poco tempo riusciamo a coglierne le implicazioni   . Ma cosa hanno di particolare le “foglie” intese nella loro eccezione di frutta ,verdura ortaggi che i semi (cariossidi ) non hanno?
 Le foglie forniscono nutrienti essenziali al nostro organismo  come antiossidanti ,fitonutrienti, fibre e soprattutto acidi grassi omega 3 . Ma gli omega 3 non si trovano nel pesce?  Si ma la ricchezza di questi acido grasso lo troviamo in alcuni tipi di pesce( azzurro) che  si nutrono di piante verdi  specificatamente di alghe .Ma, benedetto iddio, se lo producono le alghe, piante primitive  perché non dovrebbero produrlo le foglie di cavolo ,lattuga o spinacio? Ebbene ,si ,le foglie delle piante verdi producono questi acidi grassi nella membrana cellulare dei cloroplasti  dove contribuiscono alla captazione delle radiazioni luminose . Invece  i semi ,i cereali in genere sono ricchi  di omega 6 che servono come riserva di energia per lo sviluppo dell’embrione, ovvero della futura piantina.
Per  capire il  ruolo di questi due acidi, omega 3 e omega 6 bisogna leggere l’affascinante libro  di  Susan Allport :”The Queen of fats “. Questi due acidi essenziali hanno funzioni diversi nel nostro organismo . gli omega 3  hanno un ruolo importante nello sviluppo funzionamento del cervello nella permeabilità delle pareti cellulari, nel metabolismo del glucosio , nel controllo delle infiammazioni ecc. . Gli omega 6 sono implicati nell’accumulo dei grassi nella rigidità delle pareti cellulari  nella coagulazione del sangue . Poiché i due acidi competono tra di loro per lo spazio nelle membrane e per l’attivazione dei vari enzimi , è di estrema importanza è il mantenimento di un giusto rapporto tra i due acidi. Ebbene nella dieta delle nostre nonne il loro rapporto era di 1/3 , oggi siamo  arrivati a 1/12.
Ciò che vale per noi  e valso per gli animale ,i quali  sono stati privati del loro cibo naturale ovvero erba e foglie e sono stati rimpiazzati con sfarinati ipercalorici a base di mais e soia. Con quale risultato?  A parte lo stato di salute precario e il costante ricorso a sulfamidici e antibiotici,sono diminuiti ,nelle carni ,nel latte e nelle uova  gli omega 3 e aumentate gli omega 6 , inoltre spesso la selezione  delle piante coltivate ha un tenore in omega 3 nettamente inferiore a quelle spontanee vedi il caso della Portulaca o di alcune chenopodiacee.
Molti studiosi sono convinti    che questi livelli storicamente bassi di omega 3  e di contro,invece sensibilmente alti per gli omega 6 , siano responsabili di buona parte delle malattie croniche( cardiovascolari, diabete ecc.), sono da  associare esclusivamente al  nostro modello  di agricoltura e allo stile alimentare .
Una alimentazione degli animali a base di erba ,ovvero pascoli ,magari polifite cambiano radicalmente il profilo nutrizionale dei prodotti  come la carne, il latte formaggi e le uova . Non sono assolutamente commensurabili con quelli provenienti da allevamenti a stabulazione fissa e nutriti con sfarinati di soia e mais , perennemente ammalati e imbottiti preventivamente di antibiotici.
“ mangiare è un atto agricolo” disse con felice espressione Wendell Berry . Noi possiamo non essere solo semplici consumatori passivi, ma compartecipi  della creazione dei sistemi che ci nutrono
Secondo come spendiamo il nostro denaro nell’acquisto dei cibi, possiamo sostenere una agricoltura industriale  indirizzata alla quantità ,alla sola  convenienza, i cui “valori”  sono indifferenziati ,omogeneizzati ,banalizzati. Possiamo, di contro, spendere il nostro denaro per alimenti  trasparenti  intrisi di “valori” come la qualità e  salute .Si, salute, nel senso più ambio del termine. 

sabato 11 ottobre 2025

Il cavaliere Giuseppe Volpe


Il cavaliere Giuseppe Volpe
(Peppi  Vurpi)





di Peppino Bivona   
Belice  di Mare  2018
  
Al circolo Universitario quel pomeriggio  le ore trascorrevano   lente e pigre, quando in lontananza sentimmo il rumore delle
saracinesche abbassarsi con  sincronica sequenza, l’ultima, quella più rimbombante, che destò i più intorpiditi, arrivò dalla
rivendita di tabacchi  di don Lillo  Tavormina, di fronte al nostro Circolo.  
 Ricordo che la buonanima di Filippo Alesi,a cui la curiosità non faceva difetto, si alzò, apri l’ampia  vetrata che dava sulla strada ed esclamò 
“Si portano a Peppi Vurpi|!”
 I più, noncuranti, non si distrassero più di tanto, continuarono la lettura del giornale, ma Filippo mi rivolse lo sguardo e dal segno della testa, compresi ch’era doveroso tributare un ultimo saluto a questo singolare personaggio che per più di mezzo secolo fu protagonista delle vicende menfitane .
Ci accodammo allo striminzito corteo funebre , poche persone , ancor meno la presenza di  parenti.
  
Di Peppi Vurpi eravamo attratti  da una singolare curiosità, in modo   particolare dopo aver letto la sua intervista rilasciata a Danilo Dolci in “ Spreco” .Una personalità  dall’aspetto modesto e dai modi semplici, ma che inevitabilmente lo troviamo al centro dei nodi cruciali della vita politica menfitana, tra vicende storiche complesse  e talvolta complicate ,che per anni hanno animato  accesi
dibattiti  dando luogo a giudizi contrastanti.
Per anni lo abbiamo visto seduto dietro il bancone della rivendita di tabacchi in via della Vittoria, con lo scialle sulle gambe, premurosamente accudito dalla moglie e dalla
cognata santamariganterese.
 “ Cavalè ,una nazionale ed una esportazione senza filtro”  e lui calmo e docile apriva la bustina ed introduceva le due sigarette per 20lire. Dietro il bancone sembrava piccolo ,piccolo, eppure  per questo paese  era stato un “Gigante”
La lunga strada che porta al cimitero conta un paio di kilometri , non molti  ma neanche pochi ,in verità sufficienti a meditare sulla vita del defunto, quasi a consentirne un singolare bilancio, certo disgiunto  dalla pietà che si deve  per chi lascia  questo mondo.
“Resta nella storia” dissi rivolgendomi a Filippo e rompendo il silenzio “Che un ammanco di grano di diversi quintali sottratti alla Cooperativa Colajanni, nel dopoguerra, possa essere imputabile ai  passeracei voraci che ,cip cip ,giorno e notte  trasportavano attraverso una finestrella ,nei loro nidi gran parte del grano stoccato in magazzino”
Filippo, rallentò un poco il passo, poi riprese” La verità è che voi comunisti non l’avete mai “digerito” un uomo che non fosse legato ad alcuna ideologia, fuori dagli apparati, che pensa con la sua testa: vi risulta alquanto scomodo. L’esproprio del feudo Fiore  resta il suo vero “capolavoro” .Ti sei mai chiesto perché solo a Menfi il movimento “Reduci e Combattenti” divenne vincente? Perché a Ribera come in altri paesi non avvennero alcun esproprio? Peppi Vurpi ebbe l’intelligenza di motivare l’esproprio del feudo Fiore non solo per distribuire le terre ai combattenti ( come era stato promesso da Diaz sul fronte del  Carso) ma legarla ad una giustificazione di natura sanitaria ,ovvero quei terreni incolti o scarsamente coltivati erano la vera e principale fonte di malaria”
Restammo un po’ indietro  in previsione che la discussione potesse accendersi.
Replicai:”L’esproprio del feudo Fiore è ancora tutto da scrivere. Resta comunque il fatto che Peppe Vurpi non ha mai creduto alla Riforma Agraria, neanche quando nel dopoguerra militò nelle file del partito Comunista. Anzi molte delle sue azioni furono indirizzate a contrastare i pur minimi tentativi di espropriazione di terreni incolti o scarsamente coltivati”. Filippo si fermò accese la sigaretta e replicò “ Se dobbiamo dire la verità, e si eccettua qualche dirigente regionale ,come Li Causi, il partito Comunista nazionale non aveva capito niente dei problemi della terra e dei contadini. In fondo restava prigioniero della visione marxista-leninista, dove la classe operaia era la sola designata a realizzare la rivoluzione”
Ora si vedevano i primi alberi lungo la strada del camposanto. Capii che Peppi Vurpi, per meglio “decifrare” la sua vita avevamo bisogno di molti altri Kilometri            

 Il corteo si arrestò al cancello del cimitero , tra i pochi che si avvicinarono alla bara  scorsi
l’ingengnere “Sasa” Li Petri.  Alzo il suo lungo braccio, come a chiedere attenzione e con voce commossa rotta dall’emozione esclamò :
“ Peppe questo paese  ti ha lasciato  solo   non ha  avuto il “coraggio”  di riconoscere i tuoi meriti,il tanto bene che hai fatto per loro.
Sono rimasti a casa  hanno avuto “paura” di tributarti  l’ultimo saluto!
 Ma io sono certo  che un giorno i loro figli e nipoti ti saranno grati per quanto  hai saputo fare per questa  comunità.”
Il geometra Rosario Li Petri non parlava molto ma quel pomeriggio  aveva una gran voglia di raccontare come erano andati i fatti !
Tra i tanti che erano rimasti a casa c’erano alcuni che non hanno mai condiviso il trasformismo di Peppi Vurpi ,  considerandolo privo di una coerenza ideale e politica.
Resta innegabile che Il nostro Peppe da vero contadino  aveva saputo interpretare quell’atavica “fame “ di terra , Quella terra che quei “dannati “ se la sentivano addosso come una seconda pelle.  Questa terra da lavorare , che esigeva
fatiche quasi disumane,  da mattina a sera , col cado e con la pioggia o col vento, tutti i santi giorni:  doveva
essere  Sua,aveva il sacrosanto diritto di averne il pieno e totale possesso!
 Il frutto del suo sudore non andava spartito con nessuno!
 Oggi  a distanza di molti anni  attraversiamo  distratti  queste nostre campagne menfitane, godiamo di un paesaggio agricolo unico ed inconfondibile, espressione di una ruralità ,un  tessuto  sociale,  di una struttura  economica   felicemente  e armoniosamente  combinati.
Ebbene, Si, questo piccolo miracolo  lo dobbiamo in buona parte  a questo piccolo modesto lungimirante contadino

martedì 7 ottobre 2025

I barbari domestici

 


Peppino Bivona

Belice di Mare, Agosto 2024

 


   Il viandante che attraversa le nostre contrade è attratto  dalla campagna menfitana per un suo particolare  ed irresistibile fascino: interagisce,si articola, si lascia coinvolgere con lo sfondo azzurro del mare africano.

 Un panorama particolare,una scenografia accattivante  che si lascia godere appena si  abbandona l’entroterra  e si scende verso la costa. Un susseguirsi  ininterrotto di  ampi gradoni ovvero  di terrazze marine che leggermente degradano verso  il  mare aperto.

Se invece il viandante percorre la vecchia statale 115 da est ad ovest e viceversa , la scena appare più intrigante. Al susseguirsi di docili colline  che si alternano a fondovalle, si distendono  piccoli  appezzamenti regolari, delimitanti  i carciofeti, i pochi seminativi, qualche uliveto  e le ampie distese di vigneti.

Il mare, come per gioco, vi  appare e poi subito scompare, ad una curva si cela per poi inaspettatamente  svelarsi ,mostrando tutta la sua calma distesa, il suo inconfondibile colore. Questa magia ci viene regalata  grazie  ai dodici kilometri di costa, che sommati  a quelli belicini,  fanno un tratto di campagna-costiera, dal Belice al Carboj , decisamente unico. Il verde dei  vigneti o il giallo dei seminati “sfociano “ nell’azzurro del mare.

Se la campagna mostra il suo fascino,l’agricoltura  di questi luoghi deve fare i conti con le frequenti mareggiate  che, trasportando goccioline di salsedine, non risparmiano  le coltivazioni litoranee. Perciò i contadini  hanno studiato tutta una serie di apprestamenti per difendere le loro coltivazioni. 

Lo chiamavano Peppe di Mare, un curioso soprannome ,perché  non era  un pescatore bensì un contadino , povero quanto e forse più dei marinai del luogo. Possedeva buona parte della collina che sovrastava l’antico borgo marinaro che come un ampio terrazzo, si affacciava nello stupendo mare tra le “ Solette” e la “Conca della regina”.

Suo nonno l’aveva comprata dai principi Pignatelli per pochi denari ,nessuno  aspirava  a possedere quella  “bella” ma sterile collina. Ma al povero Peppe  quella “ bellezza “ non  lo incuriosiva più di tanto, in fondo l’incanto  suscitato  per le attrattive paesaggistiche  è stata  tutta una” invenzione” della modernità. Peppe come suo padre non si lasciava incantare né  distrarre da questo paesaggio mozzafiato, impegnati  come erano,  da mattina a sera,con la schiena curva, a zappettare il grano  in primavera  o a mieterlo nel mese di giugno. Quel grano cresceva a stento,vuoi per la cattiva natura del terreno, prevalentemente argillosa , ma ancor più, per le sferzate di vento carico di salsedine che flagellava la coltura. Così come  la vegetazione costiera per  difendersi cresceva  poco e restava  bassa quasi strisciante, raramente le spighe di grano riuscivano ad arrivare a buon fine . Le buone annate nella vita di Peppe si contavano come le dita della mano !

 All’epoca  c’era un tempo per ogni cosa:  dopo la mietitura e la successiva trebbiatura, i lavori agricoli  si placavano, perciò arrivava il tempo   di “andare al mare” .

La partenza era sempre  animata, movimentata , al vocio chiassoso di noi ragazzi ,si imponeva l’ordine perentorio degli adulti ai quali spettava il compito di caricare sulla mula la brocca  con l’acqua, gli ombrelli grandi e neri, le seggiole basse  e tante altre cose  ritenute di pratica utilità. Dalla vecchia casa posta sulla sommità della collina la “carovana” seguiva il vecchio Peppe che con la sua mula faceva da battistrada giù per lo stretto  viottolo  e si snodava  tra gli asfodeli e le palme nane,  i giunchi,   sospeso tra cielo e mare. Dopo infinite curve, finiva, quasi di sorpresa,a ridosso della  mitica spiaggia delle “ solette”. Un tratto di arenile a forma di  mezzaluna che si estendeva alla fine di una profonda vallata, mentre poco distante, nel mare aperto, una serie di rocce affioranti   piatte e irregolari  si allungavano  di fronte a noi  come tante piccole isolette( o come diceva il vecchio Peppe “solette” ovvero come le  suole delle scarpe).

Questi “luoghi” appartenevano a Peppe e ai   pochi abitanti  della zona.

Era  tutto il suo mondo. ”Suoi” erano le  fredde giornate invernali,  quando  la pioggia insistente e violenta , si abbatteva  inesorabilmente sul suo volto e su quel sottile strato  di  suolo  argilloso  mentre cercava di affidare il seme al terreno.”Suoi”  i venti  infuocati di tramontana che puntualmente arrivavano nei mesi più caldi  ad abbrustolire le poche stoppie. “Suoi” le  raffiche  di scirocco  carichi  di salsedine che danneggiavano irreparabilmente la vegetazione. “Suoi” le fatiche quotidiane ,il sudore per strappare a questa avara terra un misero raccolto.

Così come  “Sue” erano  le prime brezze che nelle giornate più assolate sentiva salire dalla costa,cariche di profumo di mare, sature  di essenze floreali.  “Suoi” erano i   chiarori di luna che scopriva  la mattina presto,una luna piena e rotonda,che  prima di tramontare,   di tuffarsi , si specchiava  nell’argenteo mare .”Suo” era il silenzio , tanto silenzio , interrotto a tratti dal  canto degli uccelli o dal rumoreggiare del mare. “Suo” era questo piccolo  tratto di spiaggia,questo mare….

Tutto questo rappresentava per il vecchio contadino il suo   patrimonio  materiale e spirituale, tutto quanto costituiva la sua unica ricchezza che un giorno avrebbe trasmesso  per intero  ai suoi figli e nipoti.  Questa terra ,diceva il vecchio Peppe ,era  la sua “croce e delizia”.

Se i luoghi hanno un’anima, come dice Hillman, di certo sono sedi di uno spirito  del luogo,il”genius loci”.

Peppe di Mare e i suoi si erano  “guadagnati”  l’anima di questi luoghi  attraverso la lenta ma costante  accumulazione e deposito degli affetti, operata  per decenni  da diverse generazioni che li  l’avevano vissuto, rispettandone la natura, il senso del limite, la sobrietà , l’interiorità ,la forma.

 Peppe possedeva un rapporto intimo e cosciente con quel “luogo”, aveva consolidato una cultura stabile e “sostenibile” che aveva alle spalle una visione conservativa, la sua esistenza era segnata dalla ciclicità, costellata da una intensa vita cerimoniale e rituale. Per Peppe abitare voleva  dire permettere all’anima dei luoghi di manifestarsi  in chi vive in quel posto, assorbirla in sé, rispettandola e rilasciandola in modo creativo , cosi che l’abitare diviene un atto “sacro”.

 Molto probabilmente gli antenati di Peppe  circondavano di pietre i luoghi che ritenevano sacri per proteggerne lo spirito e  la sua identità : cosi nascevano i templi consacrati alle divinità.

 

 Di certo  questo scenario sembrava non dovesse avere mai fine .

Ma un giorno all’improvviso arrivarono i barbari,  alcuni venivano da lontano  ma i più erano nostrani .Predoni, come uccelli rapaci calarono dall’alto, comprarono tutto, si appropriarono delle “delizie”, il meglio che quei luoghi potessero esprimere. Scavarono, livellarono, costruirono con razionalità strumentale, con praticità riduttiva  e in nome della funzionalità squarciarono l’interiorità dei luoghi.

Ora ne fruiscono per soli pochi mesi estivi,distratti, annoiati :efflorescenze  senza radici!

 I barbari nostrani, non hanno “storia”, sono senza passato né memoria ,sono portatori  di un modello “civilizzato”  che privatizza il panorama che reprime la “bellezza”,  impedisce le emozioni offende il sentimento , prepara il deserto!