martedì 22 ottobre 2024

L'Olio secondo Veronelli

  Riportiamo l’introduzione alla prima edizione della guida Gli Oli di Veronelli, anno 2000, o almeno,alcuni passaggi decisivi, a testimonianza dell'ancora attuale pensiero veronelliano.

 
"… Giornalista-contadino, i prodotti della terra erano e sono il mio solo argomento.Ho dato maggior spazio al vino – che è il canto della terra verso il cielo – perchè mi affascinava; avrebbe affascinato anche i lettori."

Quando iniziai a scriverne, 1956, il mercato era dominio di una decina, poco più, di aziende vinicole: ritiravano le uve dai vignaioli – assioma: i contadini non sanno vinificare – facevano pocciacchere bianche, rosse e cerasuole, e le vendevano con “la marca”. Venisse valutato – il vino – per il prestigio della Casa e non per la sua reale qualità.
L’Italia enologica, nei confronti di Francia, era meno, molto meno che di serie B.

Il contrario per l’olio.

Le poche produzioni artigianali d’olio d’oliva franto – meglio ancora “affiorato” – giunto sulla tavola degli esperti d’ogni luogo del mondo, ha stabilito – son anni ed anni – essere il nostro olio d’oliva di frantoio – per ragioni di terra, clima e uomini – di gran lunga il migliore.
Senza possibilità alcuna di contestazione e di dubbio. Com’è allora che la produzione oliandola è in crisi?
… mi telefonano, molti, dalle terre del Centro e del Sud: non raccoglieranno le olive; i mercanti gli offrono il 40% del niente dell’anno scorso.
Cerco di dargli spirito. Ricordo loro quel mio racconto mai scritto sul corridore che avrebbe preso parte ad ogni circuito, ovunque nel mondo, pur che fosse in discesa.
E gli dico: «Avete sempre amato le salite. Raccogliete».

Ahinoi, troppo impervia la salita. Gliel’hanno posta avanti, le multinazionali alimentari: acquistano le olive, quasi sempre pessime, di tutto l’arco mediterraneo, le frangono alla brutto dio, correggono quel che n’esce con artifizi millanta se non con “la chimica”, lo mettono in bottiglia in uno stabilimento c’abbia fondamenta italiane – che so, a Casalpusterlengo, a San Pietro Vernotico, a Collodi Terinese, ad Imperia – oplà, ecco negli scaffali: l’olio italiano.

Prezzo? Metà della metà del costo di un olio prodotto con olive, davvero italiane…

Uomo libero, anche dalla paura e dal danaro, ho deciso di pubblicare questa Guida sull’olio d’oliva di frantoio e sui migliori produttori.

Un’opera – nota bene – che nasce dalla rabbia e non, come era avvenuto per ogni altra mia, dall’amore…
Rabbia? La fine del secondo millennio e l’inizio del terzo hanno dimostrato, con segni univoci, la necessità del ritorno alla priorità della terra.
Pochi uomini, indemoniati dalla volontà di potenza e di danaro, non ne vogliono sapere.
Col potere e col danaro, condizionano gli altri uomini, miliardi di uomini. E sono disposti ad andare oltre, a renderli schiavi.
Gran fortuna vi siano quelli che io chiamo, al di là dell’età, i giovani estremi, ed a loro ricorro. Una minoranza infima quanto ai numeri, lodevolissima per ideale: la libertà dell’altro.

Rabbia contro gli infami – pochi, pochissimi – raccolti in stretta cerchia nelle cosiddette multinazionali, solo intesi ad acquisire potere e a spartirsi danaro.

E nel 2000 tentano di stabilire una schiavitù addirittura peggiore che nei tempi più bui. 
Ho scelto l’olio di oliva di frantoio – anziché i frutti, le verdure, gli altri prodotti primi o appena manufatti della terra – perché nessun altro alimento é più aggredito dalla protervia “multinazionale”.

In conseguenza della priorità terragna gli uomini si sono accorti dell’esigenza di scelte rigorose e naturali, sempre confermate dai valori della scienza. L’olio di oliva di frantoio eccelle su tutti i grassi disponibili negli usi di cucina e di nutrizione per la sua naturalità.

Ripeto, l’olio d’oliva di frantoio, inteso – come va inteso – quale liquido ottenuto dalla sola frangitura delle olive, italiano, se franto da olive italiane.

Le multinazionali, in ogni luogo del mondo, e soprattutto in Italia, madre elettiva per qualità e quantità dell’olio di oliva di frantoio, hanno operato con estrema determinazione e violenza, così da avocare a sé un mercato da cui dovrebbero essere – proprio per la loro marchia industriale – avulsi ed espulsi.
Ci sono riusciti con l’autorità orrorifica del potere e del danaro.
Hanno imposto – col diabolico operare di anno in anno per anni – infami leggi ai vari stati produttori e poi alla Comunità Europea.
E’ necessario io insista: infami leggi adottate in ogni stato e nella Comunità da servitor cortesi “d’incredibile onestà”.

Gli olivicoltori italiani sono – secondo dati ISTAT – che mi sembrano in eccesso – 1.250.000 (un milioneduecentocinquantamila)…
Nessun altro prodotto è stato tanto tradito da leggi, italiane prima, comunitarie poi.

Così come un tempo, per i vini, elenco i miei imperativi categorici.
Primo: si dica olio d’oliva, il solo olio di oliva. Il liquido ottenuto dalla sola frangitura nel frantoio. 
Ogni altro olio ottenuto da sanse, rettifiche, raffinazioni, miscele, continua continua, abbia definizioni diverse – olio di sansa o che altro – senza la benchè minima citazione del frutto.
Proporrei inoltre, di eliminare gli aggettivi nonsense extra-vergine e vergine. Una sola definizione: olio di oliva di frantoio se mai con un’aggiunta migliorativa da studiare – extra, super, sovrano ecc. – per l’attuale extra-vergine.
Secondo: i controlli siano demandati ai Comuni (anche nell’ambito delle denominazioni protette).
Terzo: diventi d’obbligo e non facoltativa, la segnalazone in etichetta, sia dei luoghi esatti e veritieri in cui sono state coltivate le olive, sia della qualifica e dell’ubicazione del frantoio…

I miei imperativi categorici non comporteranno – contro quanto si vorrà affermare – alcuna reale difficoltà.

Così come é avvenuto per i vini, si moltiplicheranno a difesa dei consumatori, e a vantaggio degli olivicoltori.
1.250.000  che, con l’accettazione delle mie proposte, si faranno imprenditori capaci sul piano economico, in primis di assunzione di manodopera.
Per buona parte dei Comuni dell’Italia Centrale e, soprattutto dell’Italia Meridionale e delle Isole, ciò significa far uscire la propria gente dalla miseria e dalla disoccupazione. E’ una battaglia. Sarà dura, la vinceremo…»

Luigi Veronelli

sabato 19 ottobre 2024

"Non si può essere ricchi in mezzo ai poveri”


 Tratto da "Il Diario di Peppino, l'eredità della memoria." 

 

              La sede del partito socialista italiano a Menfi in quegli anni era vicino il Collegio , (ovvero l'abbatia) , separato da un piccolo cortile. Il locale era angusto, infossato e modestamente arredato . I socialisti a Menfi non erano molti , ma-per contro molto combattivi.

Pietro Nenni in quei giorni era in Sicilia  e si diffuse la voce che in mattinata sarebbe passato da Menfi per un breve saluto ai compagni. Il segretario della sezione ,il signor Titone era euforico, qualcuno gli fece notare che l'orario era infelice, la gente impegnata nei lavori dei campi,non si poteva organizzare una accoglienza  come meritava. Il signor Titone ( inteso dai compagni “badilluni”), era irremovibile: costi quel che costi, il glorioso compagno Nenni, doveva fare il comizio!

Fu cosi che due possenti giovanotti uscirono dall'angusta sede il palchetto di legno(vancareddu), su cui salirono Titone e Pietro Nenni .Gli uditori eravamo pochi, ma pieni di orgoglio per vivere questo storico privilegio. Il segretario Titone pronunciò poche frasi di presentazione,rotte da una indicibile emozione, poi passò la parola a Nenni.

Mentre ascoltavo gli occhi  si indirizzarono  verso l'illustrazione del tabellone steso sulla porta in alto all'entrata della sezione:Partito Socialista Italiano poi l'effige con lo sfondo i raggi del sole(dell'avvenire), un libro aperto e sopra la falce e il martello. Poi sotto con caratteri più piccoli “ sez. di Menfi Peppino Bivona”.

A quel tempo il signor Titone, originario di Csstelvetrano, abitava con la sua famiglia al primo piano della casa di mia zia Lillina, di fronte al cinema Pirandello,dove al piano terra era allocata la bottega di calzolaio di mio zio.Per giorni non si fece che parlare dell'evento, ovvero la visita di Nenni, protagonista incontrastato era sempre Lui: il signor Titone,tempestato  di domande,anche le più curiose su Pietro Nenni.

Fu cosi che in una breve pausa,chiesi al segretario della sezione chi fosse quel personaggio il cui nome figurava sotto lo stemma del partito socialista. Il Titone si fece serio  si abbassò per portarsi alla mia altezza e con voce ferma e seria mi disse:”Pippinè, quell'uomo fu il difensore dei contadini, ed era una persona intelligente,  di buona famiglia, aveva capito che non si può essere ricchi in mezzo ai poveri!”.

Passarono gli anni  e occasionalmente ne sentii parlane di Peppino Bivona al “circolo” della biblioteca comunale dove l'anziano Giovinco e il vecchio Rotolo, avevano ricordi più “freschi”. Lo soprannominavano “ scupidda”  ed erano quasi stupiti e intimoriti della sua  vita cosi spericolata,impegnata avventurosa. In questi brandelli di memoria don” Minicheddu” Bucalo aveva un rammarico: questa scelta di “campo”  e di vita non fu compresa dalla famiglia!

Nei primi anni settanta i fratelli Taviani lanciarono due film a distanza di due anni:”San Michele aveva un Gallo e poi Allosanfan. I temi trattati dai due registi avevano in comune la reazione morale e politica dei protagonisti di origine borghese di fronte alle prevaricazioni del potere,alle condizioni di miseria in cui erano condannati gran parte della popolazione rurale. Rivendendo quei film  mi sembrò di vivere le vicissitudine del nostro maestro Peppino Bivona. L'ambientazione era il nostro mezzogiorno,l'epoca la seconda metà dell'ottocento,stessa estrazione sociale , media borghesia benestante. Il dramma dei nostri protagonisti virtuali e reali, era quello di aver sacrificati la propria vita ad un ideale ,ma raccogliendone delusioni e amarezze .Ma cosa spinge un intellettuale tutto sommato benestante, ad abbracciare la causa sovversiva o rivoluzionaria? Quali supremi ideali possono anteporsi agli affetti della famiglia ,dell'amore per la mamma?

Eppure sacrificano tutto questo e altro per una  causa e, l'ideale!  Rinunciano ad una vita agiata, sicura, un avvenire certo, in cambio di privazioni  , sacrifici, disagi, e non per ultimo il carcere e la morte stessa.

Tentare di comprenderne le ragioni è impossibile per il semplice motivo  che qualsiasi tentativo di riflettere su questa “scelta di vita” cozzerebbe con la ….ragione

Non dimeno  per questi “eroi”abbiamo un debito di riconoscenza: sono questi “inciampi” che fanno evolvere la società,gli accidenti che rompono la normalità,la mediocrità della vita ordinaria e ordinata.Il mio amico Saverio che insegna Fisica lo giudicherebbe un “salto quantico”  come dire  che un elettrone cambia orbita.

Qualche anno fa usci nelle sale cinematografiche un film” Commè bello lu murire uccise” interpretato da un magnifico Stefano Santaflores. Un film biografico su Carlo Pisacane   eroe risorgimentale  che narra l'eccidio consumatosi a Sapri. Qui c'è tutto: una buona dose di narcisismo, una sensibilità umana verso gli sfruttati , l'avversione per l'ingiustizia,l'anelito di libertà per la propria terra. Resta sotteso una strana “vocazione al martirio” una testimonianza forse ereditata dai primi cristiani, che offrivano le loro carni alle belve per  fortificare ed  estendere la loro fede in Cristo.  

Dopo più di due mill'enni ci chiediamo:c'è qualcosa o qualcono per cui valga la pena di sacrificare la propria vita?

Non c'è niente che valga più della nostra vita!

                        Peppino Bivona

 

mercoledì 9 ottobre 2024

In ricordo del collega Peppino

 

                      Lucia Vintaloro, Agronomo 

È stato un caloroso abbraccio fra noi, in una fredda ma soleggiata giornata del Marzo scorso, quando  Peppino, avendo accettato prontamente il mio invito a tenere una lezione durante un "Corso di corretta gestione e potatura dell'oliveto" organizzato dalla SOPAT 66 DI BISACQUINO , dove lavoro, si presento' puntuale, attrezzato per venire in un Azienda di alta collina a Bisacquino, e con uno sguardo che comunicava sapienza, passione e anche tanta gioia di vivere.  Con calma e con numerosi dati scientifici e tecnici ci dimostro'  come rispettare gli alberi d olivo e nella lezione pratica nell' oliveto, abbiamo potuto apprezzare come, prima di procedere alla potatura , accarezzava gli alberi, li guardava , apprezzava la corteccia, verificava ramo per ramo la loro sanità e la loro  potenza vegetativa, lui,  Massimo esperto  nel riconoscimento della varietà e delle loro manifestazioni fenotipiche.

Ho avuto il piacere di rivederlo ancora a Maggio, ospite graditissimo con il prof . Di Prima e Leonardo Cannata, in occasione della Giornata Campi Aperti  che la SOPAT organizza nei campi dimostrativi di Grano duro per condividere con gli imprenditori i risultati. 

Mi sono commossa quella volta al loro arrivo,  tutti se ne sono accorti. Ero molto presa dall organizzazione dell'evento,  con la tensione di condurre al meglio la Giornata,  perché tutto funzionasse al meglio, la vista di Peppino Bivona, per la sua levatura professionale, per  le sue doti umane, per il suo sguardo capace di dire più cose che altre mille parole, mi è apparsa come un premio, come la certezza che con lui al fianco, tutto sarebbe andato bene e quando ha preso la parola,  il rumorio di tanta gente venuta,  si tramutò in un silenzio interessato a sentire e cogliere anche le più piccole sfumature, di un discorso che non poteva che scaturire dalle grandi conoscenze del mondo agricolo, dalla esperienza diretta e dalla sua capacità di entrare nei sentimenti  di chi ascoltava. Io TI PORTERÒ con me, nei miei pensieri e cercherò di esserne all'altezza.

In ricordo di Peppino Bivona

                                      Michele Termine 

               Divulgatore 

Ho appreso con enorme dispiacere la scomparsa di Peppino,  che conoscevo da tantissimi anni e che per vari motivi ci incontravamo in vari convegni a dibattire di agricoltura e sviluppo del territorio, ma anche a parlare di viticoltura e olivicoltura.

 La nostra amicizia si rafforzò quando iniziai a fare Argos e lui dirigeva il campo sperimentale Campo Carboj dell'Esa, dove l'università di Palermo aveva piantato un campo di ulivi raccolto decine e decine di piante d'ulivo per farne un museo vivente. Negli tempi l'ho avuto ospite a Trs dove conducevo il programma la Giostra presentando i suoi libri, quello sull'ulivo saraceno, quello sui grani e quello sulla viticoltura. Un agronomo portato sia alla ricerca sul campo ma anche alla divulgazione.

martedì 8 ottobre 2024

In ricordo dell'amico Peppino

                             Prof Vito Raia 

Anche Peppino Bivona, un mio amico da sempre, se ne è andato, come tanti altri della mia generazione purtroppo!

Ci sentivamo spesso, ci incontravamo con piacere. L'ultima volta ci siamo visti velocemente all'inizio di settembre e ci siamo impegnati a rivederci davanti a una pizza per le nostre solite chiacchierate senza tema prefissato e senza pregiudizi.
Era un gran sognatore, un vero romantico ma con i piedi per terra. Mi aveva mandato le bozze dei suoi testi perché li leggessi in anteprima per avere il mio giudizio e per curarne la forma ma anche, penso, per avere un argomento da sviscerare nelle nostre chiacchierate.
Figlio di piccoli agricoltori, legato alla terra è rimasto con un rapporto autentico all'ambiente e alla natura, rispondendo in modo egregio all'atteggiamento sprezzante di una certa vecchia scuola che considerava studenti come lui "braccia strappate alla terra".
Ricordo con malinconia le lontane serate estive presso il campo sperimentale Carboj da lui gestito, impegnati in chiacchierate su argomenti i più vari, di politica, libri, agricoltura ecc., con grandi abbuffate di sarde alla brace, annaffiate con ottimo vino bianco bevuto quasi fosse acqua.
I suoi testi sono tutti da leggere e approfondire per scoprire i prodotti più tipici della nostra terra (grano, olio, vino), la visione di Peppino riguardo alla tradizione contadina, ai cambiamenti culturali e colturali avvenuti nel tempo, alla difficoltà di conciliare le forme dell'agricoltura tradizionale destinata a scomparire del tutto con le richieste pressanti di un sistema industriale e commerciale che spinge sempre più verso produzioni intensive in grandi aziende fortemente strutturate.
Ma soprattutto ritroviamo il suo malinconico riferimento al mondo dei miti agresti che sembrano conservarsi e vivere nelle pratiche lente e rispettose dell'ambiente e dei ritmi stagionali dei contadini di una volta.
Grazie Peppino per tutto quello che ci hai lasciato. Con grande affetto, R.I.P.

L'eredità della memoria, il Diario di Peppino

    “...Il passato è una sorgente che alimenta il fiume del presente e ci spinge verso il futuro”  Gianfranco Ravasi,                                

                                       NinoSutera

          .. 

              Nasce  uno spazio virtuale "L'eredità della memoria, il Diario di Peppino" un modo per materializzare e rendere reale la "linfa", ma anche per fare in modo che "il volto della statua è illuminato, mentre il lume è spento"   qui  

         Peppino, nel corso degli anni  avrà pubblicato 300 e forse più articoli, tre pubblicazioni, e una su cui stava lavorando sui personaggi famosi di Menfi,  tantissime partecipazioni a eventi culturali, alcune anche registrate, che intendiamo riproporre in questo blog.. Siamo stati insieme recentemente a Santa Margherita Belice, ospiti del comune durante un evento di enogastronomia, e i primi di settembre mi ha inviato la bozza del nuovo lavoro  Lo spazio "l'Eredità della memoria, il diario di Peppino" deve divenire uno spazio di tanti suoi amici, che voglio mantenere vivo il ricordo di un grande amico.  


domenica 6 ottobre 2024

San Francesco

                       

Per una curiosa coincidenza, tempo addietro, Peppino aveva dedicato una sua riflessione a San Francesco. (4 Ottobre) leggiamola...

Tutti nella vita hanno uguale quantità di ghiaccio. I ricchi d’estate i poveri d’inverno”

Bat Masterson


Quei cattolici osservanti non si chiedevano se il lusso delle chiese non insultasse la miseria dei poveri”

Margherite Yourcenar ( Archivi del nord)


Nonna Nina non aveva alcun dubbio, se c’era un santo a cui rivolgersi per chiedere una grazia, questo era di certo Sant’Antonio: al suo attivo il padovano annoverava ben tredici miracoli!

Eppure se c’era un eletto“ specifico” dei poveri e per i poveri questi era senza discussione, San Francesco il “più santo degli italiani, il più italiano dei santi”

Ora, a parte che un santo si qualifica essenzialmente per i miracoli compiuti e San Francesco, se si esclude la discutibile favoletta del lupo di Gubbio, non è che si fosse prodigato più di tanto per farsi notare con insoliti prodigi e meno che mai sensazionali miracoli. Ma quello che lasciava perplessi i poveracci, era la sua storia: un ragazzotto, figlio di papà che, annoiatosi della vita agiata, si “spoglia” di tutte le sue ricchezze e……predica la povertà come “valore”!? I poveri hanno alle spalle, oltre che la miseria, anche l’ingiustizia, alla quale ribellarsi costava quasi sempre la vita, ma soprattutto e sostanzialmente sono….. ignoranti!.

Ora il dilemma è cornuto: o San Francesco con il suo “pusillo” spargeva sale sulle ferite o i poveri non avevano capito niente del messaggio del frate di Assise.

Proviamo a comprenderci qualcosa.

Negli anni, più o meno, in cui visse Francesco, prese avvio una sorta di “rivoluzione occidentale” che pose le basi del mondo moderno. Un geniale rovesciamento dei rapporti tra produzione e consumo. Un vero ribaltamento sulla base del quale non fu più la produzione regolare i ritmi del consumo, come si era sempre verificato e avrebbe continuato a verificarsi in qualunque altra parte del mondo, bensì, questa a dover seguire il trend in definitivamente ascendente di quello di una travolgente corsa verso l’altrettanto indefinita crescita del profitto.

Questa rivoluzione accompagnata dalla riscoperta di valori nuovi, consente la nascita di un individualismo, sempre più assoluto assieme al primato dell’economia, sorretta dalle scoperte e invenzioni, che le stanno dietro.

Tutto ciò indusse,e per certi versi obbligò il mondo occidentale a farsi “padrone” della terra compresi i popoli che l’abitavano, istaurando l’economia-mondo e con esso lo scambio” ineguale”.

In questo contesto il povero di Assisi fu un santo radicalmente “antimoderno”. La povertà francescana, o meglio la paupertas è in perfetta linea con il discorso della Beatitudine di Gesù, anzi Francesco va oltre il puro e semplice rifiuto della ricchezza materiale, spingendosi verso la “mitezza”, la totale e radicale rinuncia verso qualunque tipo di “volontà di potenza” individuale a partire dalla sapienza e dalla cultura, a loro volta forme fondamentali di ricchezza e potere.

Il modello e l’esempio di San Francesco colpiscono al cuore la modernità col suo culto sfrenato e unidirezionale di qualunque forma di individualismo. Per capire Francesco dobbiamo sostituire alla nozione di “bene”, che domina il pensare comune con un nuovo paradigma retto dal “giusto”.

Ora, la povertà è la sola condizione per vivere con “giustizia” in questo mondo sorretto dall’eccesso, la ricchezza è una anomalia, una ipertrofia, la dismisura, l’arroganza che le leggi di natura non consentono a nessuna entità. Esiste, vero, l’abbondanza così come la scarsità, ma sono condizioni transitorie e meno che mai istituzionalizzate.

Non si può essere “ricchi” in mezzo ai poveri, né restare sempre “poveri” in mezzo ai ricchi.

Perciò Francesco resta per gli Italiani il più disatteso, il più tradito, il più incompreso dei santi!

Disatteso: il suo rapporto con gli enti di natura supera e spiana la concezione giudaica-cristiana: l’uomo è parte del tutto, gli esseri viventi hanno pari “dignità”, la correlazione tra gli esseri viventi è piena e totale.

Tradito, proprio da chi ogni anno il 4 ottobre monta il solenne scenario ricorrenziale, trasformatosi ormai in una oscena e blasfema parodia. La chiesa di oggi è priva di coraggio, ha perso la sua carica dirompente, secolarizzata è rimasta imbrigliata nella realtà della modernità, lascia da soli i sostenitori radicali dell’ecologia profonda, la nuova visione della economia della decrescita ,compresa la teoria del dono.

Il povero Francesco resta incompreso, dai poveri, i quali, poveracci, si illudono di combattere la loro povertà con la “ricchezza”, l’abbondanza come regola di vita. Eppure è la “mancanza” ciò che muove il mondo, la vita!



sabato 5 ottobre 2024

Buon viaggio

NinoSutera

Caro Peppino, pensiamo che il modo migliore per salutarti sia quello di prendere in prestito un tuo articolo che recentemente hai pubblicato su queste pagine. 


 Peppino infatti scriveva... 

" In una sua opera, ovvero, una istallazione, intitolata “a lume spento” il grande artista contemporaneo Claudio Parmiggiani, rappresenta   il volto di una statua  accanto ad un lume. La stranezza ci sorprende dal momento che il volto della statua è illuminato, mentre il lume è spento!  Ci chiediamo stupiti, da dove arriva la luce che illumina il volto statuario?


Parmigiani  prende spunto e si avvale di alcuni concetti di astrofisica secondo cui la luce che arriva a noi  dalle stelle, viene emessa da corpi celesti  morti o collassati  migliaia di anni fa! Insomma le stelle sono morte ma la loro luce “vive” e arriva a noi anche dopo milioni di anni

Ora noi siamo qui a chiederci, la vita umana finisce con la morte come una stella? Per noi laici e non credenti possiamo accettare che la morte sia l'ultima parola sulla vita? Possiamo vivere una trascendenza nell'immanenza?

La morte è la fine naturale di tutte le cose. Ma la vita umana pienamente vissuta, una vita viva, costellata di passioni, operosa, animata da desideri, eccedente la vita stessa... non muore!

             


Come scrisse il grande filosofo francese, Jan-Luc Nancy da poco scomparso  nel suo testamento:  “Portatemi con voi”  Ai suoi amici, ai suoi familiari non chiedeva preghiere ne suffragi  ”non venite a piangere sulla mia tomba, fatemi diventare linfa che possa dare vita  e alimentare agli alberi.”

Ai familiari le più sentite condoglianze.

martedì 1 ottobre 2024

PSP l'investimento nelle risorse immateriali

NinoSutera

 

Quando il trasferimento delle innovazioni e delle buone prassi, diventano  un opzional


Nell’ambito dei PSP, le Regioni e Province autonome hanno ormai definito le entità finanziarie da assegnare alle diverse AZIONI ed è quindi possibile fornire una prima considerazione anche con il supporto della rete rurale.  LINK

Come emerge, ci auguriamo che si possa ancora porre rimedio, l’impegno finanziario non è uniforme, forse perchè si ritiene che investire in termini di risorse immateriali rappresenta un'opzional, per alcune regioni. Interessane è anche il confronto sulle azioni ritenute necessarie e quelle superflue. 

 

Anche in questa programmazione, così come nelle precedenti, emerge un dato, le regioni che hanno una PLV corposa investo su AKIS, altre sono nella media, altre ancora, di gran lunga al di sotto della media nazionale, figuriamoci a quella europea.

L'analisi dei dati rende meglio l'idea.

l Piano Strategico Nazionale 2023-2027 prevede nove interventi afferenti all'Akis, non tutti però sono stati attivati dalle singole regioni o province autonome

(Fonte foto: Anna Vagnozzi, dirigente tecnologo presso il Crea Politiche e Bioeconomia)

Per vincere le sfide di un’economia sempre più globalizzata, occorre mentre investire in competenze, dare maggiore spazio alla produzione di idee e ai beni immateriali per uno sviluppo territoriale più innovativo e competitivo, promuovendo il trasferimento di conoscenze e l’innovazione nel settore agricolo e forestale e nelle zone rurali
L’olandese Roeling negli anni ’80 sottolineava come la conoscenza agricola non fosse un patrimonio dell’accademia o dei centri di ricerca, ma sia il combinato di una miriade di detentori di conoscenze che interagiscono, il cosiddetto Sistema di Conoscenze e Innovazione Agricola. Le crisi dell’agricoltura convenzionale, gli effetti collaterali della rivoluzione verde, l’inquinamento, etc. hanno spinto a teorizzare e praticare forme partecipative di ricerca applicata (ovviamente non di base), in cui le conoscenze degli agricoltori sono valorizzate. La necessità di percorrere vie nuove e diverse (il recupero della biodiversità, l’agricoltura biologica, l’agricoltura sociale, la vendita diretta, lo sviluppo rurale multisettoriale, ecc.), unitamente alla constatazione che l’agricoltura produce anche beni pubblici (protezione del suolo, paesaggio, assorbimento CO2, habitat naturali) spinge a cercare anche nuovi modelli di divulgazione e di consulenza, che almeno in un primo momento dovrebbero essere a carico del pubblico. Ecco quindi che negli ultimi tempi, nella stampa internazionale e anche negli ambienti più market oriented (USA, Olanda, Banca Mondiale, ecc.) vi è una riscoperta del ruolo pubblico nella divulgazione e consulenza, Si parla sempre di più di tecnici che siano animatori o facilitatori, che favoriscano la formazione di gruppi e di reti, collegando ricerca, pratica e istituzioni, stimolando così una crescita “dal basso verso l’alto” e la messa a punto di innovazioni appropriate (tecniche, organizzative, individuali e di gruppo, etc.). 
Ma si sa le mode in talune parti del mondo arrivano sempre con qualche anno di ritardo rispetto al continente.