domenica 16 giugno 2013

Le radici profonde dell’identità


Giuseppe Bivona

Nella cultura popolare contadina i prodotti della terra ,in particolare l’olio,il vino,il formaggio e il pane, erano considerati  “sacri” in quanto espressioni autentici della terra,  portavano inconfondibilmente impressa la traccia del “luogo”  ovvero la qualità essenziale.

Cosi, ad esempio, mangiare i prodotti della terra che si attraversava o si visitava era un rito  quasi sacrale,  perché significava  arricchirsi  dell’energia  del luogo.
La scena ci rimanda alla figura del viandante , curioso ed insaziabile “ricercatore” colui che in ogni terra/luogo incontra ciò che è  sempre uguale e sempre diverso: la natura autentica della vita e  l’emozioni.
I prodotti del luogo si guadagnano nel tempo le loro identità attraverso  un lento processo  di “deposito” ed “ accumulazione” a cui partecipano intere generazioni delle popolazioni locali che costantemente  e diligentemente  hanno saputo  felicemente coniugare il  prodotto  con il processo, in una fusione quasi inscindibile che qualsiasi scellerato tentativo  di decolonizzarlo vanificherebbe i peculiari aspetti qualitativi.
Ma quali segreti meccanismi  legano cosi  strettamente il prodotto alla terra/luogo?
Quali  complessi e complicati processi  biochimici  si intrecciano in un sincronismo  cosi perfetto   da rendere unici , inimitabili , intrasferibili  certi prodotti  alimentari?
Se mi consentite , mi avvarrò di alcuni esempi  tratti  dalla realtà  di un angolo della nostra Sicilia, nella Valle del Belice : il pane nero di Castelvetrano, le olive verdi della Nocellara del Belice, la “vastedda” del Belice.
Il pane nero di Castelvetrano è stato l’orgoglio e vanto delle casalinghe di questo centro agricolo localizzato a pochi passi dalla greca Selinus. Qui per generazioni le “comare” all’interno dei cortili  si scambiavano  il “crescente”  ovvero il lievito madre  da cui prendeva avvio il complesso processo di acidificazione-levitazione. Le farine provenivano dalla molitura  di grani tradizionali , Capeiti, Biancolillo, Timilia  macinate con il mulino di pietra , lentamente  , per non surriscaldare e mantenere integri i “granuli “ di amido. La legna era quasi sempre la fascina proveniente dalla pota delle olive. I tempi  lunghi dell’impasto e una oculata  gestione del forno  ci regalano  questo eccezionale prodotto di questa terra.
L’olivo , varietà Nocellara del Belice, cresce  rigoglioso  in un triangolo  costituito dai  comuni di Partanna, Castelvetrano e Campobello di Mazara.  Qui il sottosuolo è prevalentemente costituito da calcarenite  che assicura alle drupe   una consistenza  tale da sopportare il processo  di conservazione in salamoia ,anche “schiacciata” per più di un anno senza mai perdere la croccantezza della polpa . Ma il suo inconfondibile flavuer  assicurato  da ceppi di batteri  indigeni  che attivandosi  avviano il processo di “ addolcimento “ al naturale   regalandoci  queste prelibate olive da mensa.
L’ allevamento della pecora nella Valle del Belice è abbastanza diffuso  e prevale quasi esclusivamente la razza locale. Ebbene in questi luoghi nei mesi più caldi dell’anno si raggiungono punte di 40-45 C con il frequente rischio  che i formaggi si guastano , perciò i pastori  li  rilavorano  in acqua calda e come per miracolo il formaggio inizia a “filare” e fanno  assumere successivamente la forma  rotondeggiante , come la pagnotta del pane.
Questi pochi esempi  che vi ho brevemente descritto,  servono a comprendere come  nel lungo tempo ,in questi  luoghi, si sono  differenziati e selezionati  ceppi di batteri  che in stretta coevoluzione con le tipiche produzioni locali  hanno permesso  si definire un “unicum”  a cui  restano indissolubilmente legati il luogo, il prodotto e il processo . Le popolazioni locali hanno nel tempo  adattato , modificato  fino all’ottimizzazione i diversi componenti , cercando ,più che stravolgere la natura , di assecondarla, piegarla , giusto quanto fosse necessario , anzi rispettandola  e spesso assicurandosi una sinergia con essa.

Molte elaborazioni di prodotti tradizionali  sono assecondate da un discreto , riservato , rituale , quasi che le popolazioni agricole volessero conciliare il difficile rapporto tra natura e cultura , sapevano che i lenti e complessi processi che coinvolgevano  le “ fermentazioni” subivano  l’influenza di molti fattori per cui era buona norma un rituale ben augurale.  Valga per tutti il segno della croce  delle massaie appena terminato l’impasto della farina  e l’avvio della lievitazione 

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