Giuseppe Bivona
Nella cultura popolare contadina i prodotti della terra ,in particolare l’olio,il vino,il formaggio e il pane, erano considerati “sacri” in quanto espressioni autentici della terra, portavano inconfondibilmente impressa la traccia del “luogo” ovvero la qualità essenziale.
Cosi, ad esempio, mangiare i prodotti della terra che si
attraversava o si visitava era un rito
quasi sacrale, perché
significava arricchirsi dell’energia
del luogo.
La scena ci rimanda alla figura del viandante , curioso ed
insaziabile “ricercatore” colui che in ogni terra/luogo incontra ciò che è sempre uguale e sempre diverso: la natura
autentica della vita e l’emozioni.
I prodotti del luogo si guadagnano nel tempo le loro
identità attraverso un lento
processo di “deposito” ed “
accumulazione” a cui partecipano intere generazioni delle popolazioni locali
che costantemente e diligentemente hanno saputo
felicemente coniugare il prodotto
con il processo, in una fusione quasi inscindibile che qualsiasi
scellerato tentativo di decolonizzarlo
vanificherebbe i peculiari aspetti qualitativi.
Ma quali segreti meccanismi
legano cosi strettamente il
prodotto alla terra/luogo?
Quali complessi e
complicati processi biochimici si intrecciano in un sincronismo cosi perfetto da rendere unici , inimitabili ,
intrasferibili certi prodotti alimentari?
Se mi consentite , mi avvarrò di alcuni esempi tratti
dalla realtà di un angolo della
nostra Sicilia, nella Valle del Belice : il pane nero di Castelvetrano, le
olive verdi della Nocellara del Belice, la “vastedda” del Belice.
Il pane nero di Castelvetrano è stato l’orgoglio e vanto
delle casalinghe di questo centro agricolo localizzato a pochi passi dalla
greca Selinus. Qui per generazioni le “comare” all’interno dei cortili si scambiavano il “crescente”
ovvero il lievito madre da cui
prendeva avvio il complesso processo di acidificazione-levitazione. Le farine
provenivano dalla molitura di grani
tradizionali , Capeiti, Biancolillo, Timilia
macinate con il mulino di pietra , lentamente , per non surriscaldare e mantenere integri i
“granuli “ di amido. La legna era quasi sempre la fascina proveniente dalla
pota delle olive. I tempi lunghi
dell’impasto e una oculata gestione del
forno ci regalano questo eccezionale prodotto di questa terra.
L’olivo , varietà Nocellara del Belice, cresce rigoglioso
in un triangolo costituito
dai comuni di Partanna, Castelvetrano e
Campobello di Mazara. Qui il sottosuolo
è prevalentemente costituito da calcarenite
che assicura alle drupe una consistenza tale da sopportare il processo di conservazione in salamoia ,anche
“schiacciata” per più di un anno senza mai perdere la croccantezza della polpa
. Ma il suo inconfondibile flavuer
assicurato da ceppi di
batteri indigeni che attivandosi avviano il processo di “ addolcimento “ al
naturale regalandoci queste prelibate olive da mensa.
L’ allevamento della pecora nella Valle del Belice è
abbastanza diffuso e prevale quasi
esclusivamente la razza locale. Ebbene in questi luoghi nei mesi più caldi
dell’anno si raggiungono punte di 40-45 C con il frequente rischio che i formaggi si guastano , perciò i
pastori li rilavorano
in acqua calda e come per miracolo il formaggio inizia a “filare” e fanno
assumere successivamente la forma rotondeggiante , come la pagnotta del pane.
Questi pochi esempi
che vi ho brevemente descritto,
servono a comprendere come nel
lungo tempo ,in questi luoghi, si
sono differenziati e selezionati ceppi di batteri che in stretta coevoluzione con le tipiche
produzioni locali hanno permesso si definire un “unicum” a cui
restano indissolubilmente legati il luogo, il prodotto e il processo .
Le popolazioni locali hanno nel tempo
adattato , modificato fino
all’ottimizzazione i diversi componenti , cercando ,più che stravolgere la
natura , di assecondarla, piegarla , giusto quanto fosse necessario , anzi
rispettandola e spesso assicurandosi una
sinergia con essa.
Molte elaborazioni di prodotti tradizionali sono assecondate da un discreto , riservato ,
rituale , quasi che le popolazioni agricole volessero conciliare il difficile
rapporto tra natura e cultura , sapevano che i lenti e complessi processi che
coinvolgevano le “ fermentazioni” subivano l’influenza di molti fattori per cui era
buona norma un rituale ben augurale.
Valga per tutti il segno della croce
delle massaie appena terminato l’impasto della farina e l’avvio della lievitazione
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