Giuseppe
Bivona
Ci sono due
categorie di persone che credono nello crescita illimitata: i pazzi e gli
…economisti
Quel mattino tutto il villaggio era in festa, il
vecchio capo tribù africano era impaziente di riabbracciare il suo primogenito
di ritorno dopo 5 anni di lontananza. Era andato ragazzino a studiare a Londra,
voleva imparare la lingua dei bianchi e capire i loro usi e costumi, carpire il
segreto del loro successo….
Il
giovanotto , aveva l’aria intelligente, osservava con curiosità la vita nel
villaggio, in particolare le fatiche quotidiane a cui erano
sottoposti uomini e donne per attingere l’acqua dal pozzo poco profondo ,
insufficiente in alcune annate siccitose a dissetare pure il bestiame.
“
Padre “ disse il giovane studente “
perché non proviamo a trivellare un pozzo cosi abbiamo acqua sufficiente per
tutti, uomini, animali ed irrigare anche buona parte della terra per produrre
foraggio!”
Il
vecchio capo africano rimase per qualche minuto in silenzio, quasi pensieroso,
poi rispose:
“
Vedi figliolo, l’idea non è di per se cattiva, anzi ammiro la tua sensibilità
verso la sofferenza del tuo popolo, ma più acqua noi disponiamo, più foraggio
possiamo produrre , cosi possiamo allevare più bestiame, il quale chiederà più erba per nutrirsi e noi dobbiamo
scavare altri pozzi, come dire più soddisfi il bisogno più questo si accresce.
E’ una strana legge della natura, c’è sempre qualcosa di troppo in confronto a quell’altro, un
fattore che abbonda che si alterna alla
scarsità di un altro. Una strenua rincorsa
verso la ricerca del suo
improbabile equilibrio!”
Noi
invece non abbiamo avuto alcun dubbio: lo sviluppo, la crescita,
nonostante conseguenze devastanti sulla società e l’ambiente, resta il
principale obbiettivo dei politici, delle agenzie internazionali, dei governi.
La tesi esposta in tutte le salse non
cambia: lo sviluppo ed il libero commercio globale che lo alimenta, può sradicare la povertà!
Ma cosi non è, tanto che, poco dopo la seconda guerra mondiale, abbiamo avuto una performance senza
precedenti. Appare evidente che se questi processi fossero veramente una risposta alla povertà mondiale,
allora questa dovrebbe essere stata ridotta
a poco più di un vago ricordo.
Stranamente per i
fautori della crescita, la povertà non è vista come un problema isolato in un preciso contesto, ma come la causa di
tutti gli altri problemi, così se la gente ha fame è perché è povera e non può
permettersi di comprare il cibo di cui ha bisogno, oppure se si ammala e muore giovane, è perché
è povera e non può permettersi di comprare le medicine.
La risposta più ovvia
sia alla fame che alle malattie è perciò lo sradicamento della povertà, e
dunque lo sviluppo.
Da qui l’ovvia
conclusione che la povertà è equiparata al “sottosviluppo”, e solo lo sviluppo
può eradicarla.
Nelle condizioni
economiche in cui viviamo definiamo la
povertà in termini puramente monetari, un requisito indispensabile per
soddisfare i bisogni reali. Ne siamo talmente convinti che guardiamo tutti i nostri problemi con
l’aberrante esperienza di questa nostra
realtà che ci hanno insegnato a considerare come ovvia e normale. E se
ribaltassimo la “frittata”? E se fosse invece lo sviluppo, l’illusione della
crescita, ad accrescere la povertà?
Per buona parte della
vita sulla terra le famiglie e le comunità tradizionali progettavano villaggi, costruivano case, il
cibo veniva prodotto, preparato e distribuito, i bambini erano allevati ed
istruiti, ci si prendeva cura dei vecchi e malati, si organizzavano e
celebravano cerimonie religiose, si
svolgevano funzioni di governo, e tutto questo in forma completamente gratuita.
Ciò era possibile perché, come sostiene lo storico dell’economia Karl Polary: “
in tali società l’economia era incastrata nelle relazioni
sociali “. Tutte le funzioni che oggi consideriamo economiche erano compiute
per ragioni sociali, vuoi per soddisfare
relazioni di parentela che per ottenere prestigio sociale.
Lo sviluppo cambia e sovverte tutto, inizia con
il graduale scioglimento dal loro contesto sociale di tutte quelle funzioni svolte
gratuitamente, monetizzandole e assorbite dallo stato e dalle corporazioni.
D’ora in poi chi non ha soldi non può pagarsi il cibo, non può disporre di una
casa e di altre necessità della vita. Così lo sviluppo ha creato a livello
mondiale sempre più miserabili e disgraziati, e il loro numero è destinato a
crescere con il progredire della
globalizzazione e dello sviluppo.
Ovviamente siamo stati
addestrati a credere che i popoli pre-industriali erano poveri, malati e infelici. Invece, quei
popoli, avevano una vita culturale e
cerimoniale ricca, e nel complesso vivevano in un ambiente non guastato, di
solito erano ben nutriti e in perfetta salute, fino a quando i loro modelli
sociali ed organizzativi non furono scombussolati dalla colonizzazione, e poi dallo sviluppo
economico occidentale, e il loro ambiente naturale distrutto.
Quei popoli non si
sentivano “poveri” malgrado vivessero in ambiente difficile e possedessero pochi
beni. Povertà non significa, sostiene Latouche,
avere pochi beni, né è una relazione tra mezzi e fini, ma è soprattutto una relazione tra persone, la
povertà è uno stato sociale e come tale una invenzione della nostra società.
In questo senso la povertà
non è associata alla mancanza di denaro, ma
piuttosto all’assenza di un rapporto sociale che trova il suo terreno di coltura nella
società individualista, possessiva, vogliosa di accumulare ricchezze.
I veri poveri sono gli
anziani in gran parte abbandonati dalle famiglie e dipendenti da una miserabile
pensione statale. Sono poveri le madri separati senza reddito. Sono tutte le
persone che –secondo Durkheim- soffrono
di anomia, ovvero, quando le loro vite
sono vuote e senza scopo, prive di significative relazioni umane.
Ma il principale contributo dello sviluppo economico all’aumento della povertà nel mondo è la produzione di sempre più grandi quantità di
gas responsabili dell’effetto serra che causano il riscaldamento globale del pianeta, è l’inquinamento del suolo,
dell’aria, dei fiumi, del mare! Di certo lo sviluppo avrà eliminato la
povertà perché di fatto la terra sarà
inabitabile dagli esseri umani: ricchi e
poveri saranno incapaci di sopravvivere.
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