Giuseppe Bivona
Nel Paleolitico la religiosità più diffusa e prevalente è
quella della Grande Madre,espressione teologica dell’archetipo dell’eterno
femminino. Una grande dea senza volto
,raffigurata con i simboli che si sono
profondamente radicati
nell’inconscio collettivo e interiorizzati nell’immaginario umano( vedi la Grande Madre junghiana)
L’uomo paleolitico
sente impellente l’esigenza di ricercare
un “principio” ovvero la fonte della
vita. Incredulo osserva la donna, la sola a possedere il segreto della vita ,
il potere di generare , nutrire accudire. L’uomo non ha ancora la piena consapevolezza del suo ruolo nel processo
fecondativo ,non connette alcuna correlazione tra l’atto copulatorio e l’ingravidamento , tanto che considera agenti fecondanti il raggio della luna, o eventi atmosferici quali , il vento ,l’acqua…
Cosi nei graffiti
rinvenuti nelle caverne, l’uomo
si ispira alle divinità , raffigura con particolari tratti iconografici le Veneri
del Paleolitico, oppure le modella :
tutte comunque ritratte gravide e
dai seni prosperosi e prorompenti . Una
divinità onnipotente , onnisciente , una dea partenogenetica che crea dal nulla la vita , perpetua la specie, assicura la
continuità dell’esistenza.
Perciò il Paleolitico
è dominato dal matriarcato ovvero dal ” potere” femminile .
Con il passaggio dal
Paleolitico al Neolitico accade una
rivoluzione epocale. L’ uomo affina le
sue capacità di addomesticare alcuni animali , alleva in cattività il
bestiame e curiosamente nell’assistere all’ accoppiamento tra i sessi ,
prende coscienza del suo ruolo
decisivo nel generare una nuova vita , correla l’atto sessuale con
la fecondità femminile. Il disincanto ha un prezzo non indifferente .La
figura dell’antica Madre senza volto
viene rielaborata , trasformandosi in divinità poliedrica che si carica di
valenze simboliche . Nascono d’ora in poi le figure maschili divine : il
“paredro” della dea , suo figlio e fecondatore
che muore come spirito della vegetazione , per rinascere la primavera successiva.
Lentamente ma inesorabilmente prelude il passaggio dalla società
matriarcale a quella patriarcale
Ora , prende avvio la divisione sessuale del lavoro. L’uomo si dedica alla
caccia, mentre la donna oltre ad accudire la prole, diviene raccoglitrice, di
frutti, tuberi, radici e semi. Sono in particolare questi ultimi ad attrarre l’interesse perché costituiscono una riserva strategica
per la sopravvivenza della comunità nei lunghi mesi invernali. Tuttavia i
cereali selvatici mal si prestavano alla raccolta ,nel loro habitat naturale ,
ovvero spontanee, non sono in grado di
trattenere i semi, li lasciano cadere
facilmente, basta una leggera brezza .Le donne raccoglitrice,
camminando nei campi aperti , malgrado
tutte le attenzioni e le accortezze del caso , non riuscivano che a raccogliere
il 10-20% della reale disponibilità messa a disposizione dalla natura .
Finchè un giorno una
donna ,successivamente poi divinizzata Demetra , non scorse tra le migliaia di
spighe “una” in
particolare caratterizzata da una peculiarità, ossia non-disperdeva i suoi semi. Essi
restavano attaccati al rachide , avvolti
e protetti dentro gli involucri, anche se venivano scosse con forza
.Questo fu il dono
che Demetra fece agli uomini!
Questa apparente banale
osservazione della donna-Demetra
è la vera grande rivoluzione del neolitico. Appare ovvio che questo carattere
non-disperdente dei nuovi semi di grano
non poteva sopravvivere senza la coltivazione , ossia senza l’operosità
dell’uomo, per la semplice ragione che i
“nuovi” chicchi hanno perso molti meccanismi di sopravvivenza
,in particolare la capacità di
disperdere i semi .
I semi del grano di
Demetra , sono di dimensioni maggiore,
maturano uniformemente, ma hanno perso alcuni dispositivi di difesa, compreso i
necessari tempi di quiescenza. Ecco, allora, che interviene un’altra donna, successivamente
divinizzata Kore, figlia di Demetra. Il seme va sotterrato in autunno-inverno per poi
risvegliarsi rinato, come nuova pianta , in primavera. Prende avvio cosi il
“ciclo del grano”. La semina, le prime mietiture con la rozza falce di selce,
il trasporto al villaggio , la battitura e poi il vento che ripuliva i dorati
chicchi dalla pula….. Ma cosa sarebbero mai i Misteri eleusini se non le pratiche agricole che avviavano
l’iniziazione verso i primi modelli che compendiassero le pratiche agricole?
I miti , i riti e i simboli , nascondono pratiche estremamente concrete Eppure ogni atto, può e deve essere il supporto di una elevazione interiore,
perciò era estremamente importante per i primi raccoglitori- contadini essere
in sintonia con le forze cosmiche, con le quattro fasi della luna e con quelle del sole, con i ritmi delle
stagioni . L’origine “sacra” dell’agricoltura.
Il culto di Demetra si radicò profondamente e si diffuse
capillarmente in Sicilia , in modo
particolare,in quelle aree feraci di messi che facevano dell’isola una delle terre più
note per la produzione di grano.
La dea di Morgantina
è di certo Demetra , la dea dalle braccia “giunoniche “, non ha alcuna identificazione con Afrodite
. manca quella prorompente
sensualità. Quel chitone che maliziosamente scivola sulla spalla .
Demetra di Morgantina
ha una fisicità matura , lontana dalla snellezza sensuale della dea dell’amore , la sola a cui sembra
rendersi funzionale. No. Demetra ha una
bellezza “organica” la sua possenza corporea non
inficia l’armonia del fisico , il vento
sembra accarezzare la veste ,sospingendola dal di dietro, senza comprometterne il pudore.
Demetra , è l’archetipo femminile delle nostre “giovani” nonne , belle, mature dal fascino materno , segnate ,non più di tanto, dalle fatiche domestiche o dai lavori dei campi, dai capelli naturalmente cenerei ,segni indelebili di una vita vissuta E noi, nell’ammirarli ,li fissavamo estasiati . Ad ogni trascorso , sembrava che la loro bellezza da “fuori “ migrasse lentamente, con grazia ,verso “dentro”. Si arricchivano di una bellezza interiore fatta di saggezza, equilibrio ,armonia,bontà…..
Demetra , è l’archetipo femminile delle nostre “giovani” nonne , belle, mature dal fascino materno , segnate ,non più di tanto, dalle fatiche domestiche o dai lavori dei campi, dai capelli naturalmente cenerei ,segni indelebili di una vita vissuta E noi, nell’ammirarli ,li fissavamo estasiati . Ad ogni trascorso , sembrava che la loro bellezza da “fuori “ migrasse lentamente, con grazia ,verso “dentro”. Si arricchivano di una bellezza interiore fatta di saggezza, equilibrio ,armonia,bontà…..
Nessun commento:
Posta un commento