martedì 19 marzo 2024

Still Life

 

Still Life

(natura morta)

Peppino Bivona      


Come tutti i martedì sera RAI cinque ci propone dei film di notevole interesse, premiate dalle più famose giurie di Festival Cinematografici , senza interruzione pubblicitaria, perciò opere da non perdere. Così lo scorso martedì era in programmazione il film” Still Life” di Umberto Pasolini, vincitore al concorso per il “Leone D’oro” a Venezia.

La stessa sera e alla stessa ora ,su una rete televisiva si giocava una partita con il Napoli. I miei amici del Circolo non ebbero dubbi: scelsero il godimento pulsionale offerto dalla partita di calcio anziché le delicate emozioni, i profondi sentimenti promessi dal film. Ai tanti che hanno perso questa occasione li invito , qualora venisse riprogrammato a vederlo!

Ma cosa aveva di particolare questo film?Perché la Giuria di Venezia ha assegnato questo alto riconoscimento?

Narra la storia di un comunissimo impiegato comunale della South London, negli anni ottanta,di nome John May il cui compito era la ricerca dei parenti, ove fosse possibile,delle persone morte in solitudine e provvedere al funerale e la tumulazione ,ovviamente a totale carico del comune. John è un uomo meticoloso, raccoglie sul defunto tutte le informazioni possibili da quante persone lo avessero conosciuto e poi il prete ne tracciava l’omelia . Ma John faceva ancora di più: sceglieva le musiche da suonare in chiesa in funzione del loro orientamento religioso. Poi accompagnava il feretro, spesso e quasi sempre solo , fino alla tumulazione dove i poveretti riposavano in una tomba messa a disposizione del comune. Era la “cura” dovuta ai morti, alla pietas, alla misericordia , al doveroso omaggio che i vivi dobbiamo ai morti, accompagnandoli all’altra riva. Diversamente da Foscolo, John è convinto che, “ all’ombra dei cipressi e dentro l’urna confortato di pianto” il sonno della morte possa essere meno duro! Ma la morte non è l’ultima parola sulla vita.

Un tempo da noi nei funerali era uso che i parenti o gli amici offrissero al defunto un “ cruna” ovvero una corona di fiori sorretta da due leggeri sostegni a forma di triangolo. Intorno vi era cinta un nastro nero su cui spiccavano i caratteri giallo-oro. Erano scritte le ultime parole che i vivi affidavano ai cari defunti. Il contrasto del colore della luce, il giallo oro della vita e la base nera del nastro ,il buio imperscrutabile della morte. Queste crune accompagnavano il carro funebre portati a spalla da “ciccinupistapipi” e dall’inseparabile “ pippinaladdazza” e qualche altro. Precedevano il feretro , questi poveri cristi quasi a simboleggiare il vuoto della ragione ,l’insensatezza della morte o l’implosione di tutti i sensi che illusoriamente ci siamo costruiti nella vita terrena!

Ma la ritualità funeraria aveva come obbiettivo la “Elaborazione del lutto” ovvero la possibilità per chi resta di sopportare,superare, metabolizzare, il lutto ,il trauma della morte , ritornare a ri vivere. Tutto prendeva il via in chiesa, dai paramenti, decisamente viola, dalla lingua ,naturalmente il latino,e poi i canti che la chiesa da secoli aveva selezionato: i canti gregoriani. Direte,ma non si capiva niente! Ebbe, che cosa c’era da capire? Che parole puoi trovare per descrivere o commentare una tragedia? Cosa vuoi comprendere sul mistero della vita e della morte?Rimaneva questa “atmosfera” di colori, voci , note che ci coinvolge,ci trascendeva verso una dimensione quasi irreale . Non prima di lasciare il posto alle parole dell’Ecclesiaste” Polvere siamo e polvere ritorneremo”.

Dopo la chiesa il corteo funebre si allungava verso via della Vittoria ,il lungo budello di strada che conduceva al cimitero:la metabolizzazione del lutto richiedeva “tempo” e “spazio”. Al passaggio i negozi abbassavano le serrande .Fino all’abbraccio ,la “stretta di mano” finale al cimitero. Per chi restava, rimaneva l’obbligo di “ segnalare” , mostrare il lutto, Il nero della camicia,poi la coppola nera, la fascia al braccio sinistro,infine il bottone sempre nero sul petto. La elaborazione del lutto aveva anche i suoi tempi: dieci anni per il padre,cinque per un fratello. Se moriva un figlio il lutto era per tutta la vita: era l’evento più innaturale che si possa concepire!. Se le donne restavano vedove le chiamavano “cattive” ovvero prigioniere :Lutto per tutta la vita!

Poi arrivò la modernità ,non c’era tempo da perdere,sono tempi”morti” , il tempo è denaro ,siamo pratici!Non si può fermare il traffico per lasciar passare un carro funebre! Le musiche vibranti ed emozionanti li abbiamo sostituite con quelle noiose cantilene senza fine recitate a più non posso e infine un sbrigativo applauso finale ci riporta tutti alle nostre faccende giornaliere. Fu così che una ordinanza del sindaco rese i funerali più sbrigativi, pratici, con indiscusso risparmio di tempo. Ai pochi che si opposero ci fu il mio amico Giovanni che preoccupato, più o meno mi disse:


Si inizia a non aver rispetto per le cose,si passa poi a non curarsi degli altri e…si finisce per non rispettare neanche di 9se stessi”


Ma ci siamo dimenticati del film. Volevo segnalarvi una scena che mi ha colpito.

Nel suo lavoro quotidiano un giorno, John fu chiamato dal portiere di uno stabile dove da poco era morta una anziana donna. I due con discrezione visitano l’appartamento in cerca di indizi su qualche eventuale parente, anche se il portiere giura che la vecchia signora non aveva ricevuto nessuna visita. “Aspetta” disse John” Questa mi sembra una lettera indirizzata , credo alla figlia leggi: cara Dolly, ti voglio un bene dell’anima……”Il portiere restò perplesso,ma John ne trovò altre “ Cara mamma ti voglio….” Ma stranamente la lettera non era firmata, il portiere la prese tra le mani, si avvicinò alla luce della finestra e cosa vide…l’impronta della zampina della gatta che la signora chiamava Dolly.


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