L'inchiesta di Pagina99
Non ho mai compreso fino in fondo, perché al sud
si continuano a inseguire mode, che ormai
sono passate di moda nel resto del paese.
Ne tanto meno ho mai capito, perché per esempio nel Veneto, in tutto il Veneto, ci
sono solo pochi presìdi e nella "ricca Sicilia" 46 o forse più.......
E’ ancora non mi è chiaro, perché mai nel Veneto
hanno puntato su altri strumenti,per promuovere il territorio, mentre nella " ricca Sicilia" si continuano ad inseguire mode fuori
moda, spacciandole come trovate .......geniali.
Il confronto comunque, come sanno pure i bambini,
vede una delle due regioni, con una crescita invidiabile, l’altra mentre con
una crisi senza precedenti, del settore.
Esternando queste considerazioni in occasione di una tavola
rotonda, qualche tempo addietro,un "bravissimo" rappresentate del popolo, mi ha detto, pubblicamente, il suo problema è che
frequenta troppo il nord, il sud è il sud, e non ha nessuna voglia di emulare il nord.
E’ forse aveva anche ragione, ma la platea attenta, se messa a ridere, da una affermazione tanto lungimirante quanto stupida. !!!!
Eppure, eppure basterebbe osservare, studiare, ma sopratutto comprendere, come intendono le strategie dello sviluppo le regioni virtuose.
...Eppure non è così, non è mai stato così "semplice".
Eppure, eppure basterebbe osservare, studiare, ma sopratutto comprendere, come intendono le strategie dello sviluppo le regioni virtuose.
...Eppure non è così, non è mai stato così "semplice".
Ritorniamo all'inchiesta
di Pagina99, che aiuterà forse a comprendere meglio.....
C’era una volta la
rivoluzione gastronomica di Slow Food. E il suo ideologo, Carlin Petrini,
finiva nelle classifiche di Time Magazine e Guardian fra gli innovatori
“dell’epoca”. Ora l’uomo del momento — in tavola e sui giornali — è Oscar
Farinetti. E col suo colosso, Eataly, oscura tutti gli altri. Oggi in edicola Pagina99 interpreta così la staffetta fra Carlo
“Carlin” Petrini di Slow Food (“nata contro efficienza e frenesia, a favore del
localismo”), e Natale “Oscar” Farinetti, l’imprenditore di Eataly,
“un’efficiente rete di vendita, da Tokyo a New York”. Col primo convinto
dall’approccio didattico alla gastronomia abbracciato dal secondo. Una
staffetta ‘cannibale’?
“Il tesoro di storie e territori […] Farinetti lo ha trovato già
pronto. Raccolto e mappato da Carlo Petrini […]. L’idea del primo Eataly, a
Torino, era proprio dare a quel patrimonio a rischio estinzione, i presidi, una
dimensione commerciale […]. "Io so vendere, ma senza i vostri prodotti non
ce la farò", disse Oscar. Carlin accettò. Da quel brindisi ne è passato di
Barolo sotto i ponti”.
Dal chilometro zero — dichiaratamente maldigerito da Farinetti —
si vola quindi a 25 negozi (metà oltre confine), e in due anni si arriverà ai
quaranta. Alle spalle una rete di quasi duemila aziende, molte delle quali
piuttosto piccole, soprattutto rispetto al pantagruelico titano farinettiano.
Che proprio in virtù della loro realtà local si accinge ad entrare nel cuore
del mondo global: la Borsa.
“Un approdo dichiarato da tempo, orizzonte 2016 o 2017. Ma dallo
scorso 10 marzo, quando il fondo milanese Tamburi ha annunciato il suo
investimento nella società, ha assunto l’urgenza dell’ufficialità. […] A fine
2014 il fatturato dovrebbe arrivare a quota 400 milioni di euro, dal 2009
cresce in media del 30% ogni anno. Ma i soci dell’operazione Tamburi, tra gli
altri Marzotto, Lavazza e Ferrero, si aspettano che possa accelerare ancora,
almeno a giudicare dai 120 milioni di euro che hanno sborsato per il 20% di
Eatinvest, capogruppo della galassia Farinetti. Valutata dunque 600 milioni,
ben tredici volte il margine operativo”.
L’ossimoro glocal di Farinetti non è però del tutto ignorato da
Slow Food:
“Il nostro ideale non corrisponde al suo — riconosce il
presidente di Slow Food Roberto Burdese — ma dobbiamo confrontarci con realtà
diverse, non isolarci. E dai nostri associati che vendono a Eataly non sono mai
arrivate grosse lamentele". Qualcuno, a dire il vero, protesta, pur non
esponendo il proprio nome [ma] tanti piccoli artigiani, in effetti, la
descrivono come una grande opportunità di arrivare su mercati che con le
proprie gambe non sarebbero mai riusciti a raggiungere
In prospettiva, si legge su Pagina99,
“quanto alle lumachine, i produttori artigianali, tenerli a bordo richiederà
uno sforzo sempre maggiore”. E nel frattempo sugli scaffali Eataliani entrano
Peroni, Barilla e Ferrero, che pure nel migliore delle ipotesi, di ‘slow’ — si
osserva — hanno ben poco.
E Slow Food? Nel pezzo di corredo,
Burdese pare non sentirsi propriamente ‘divorato’. Anzi. "Il bilancio di
questa alleanza è positivo, per noi, per i produttori della rete e per il
sistema", dichiara. Poteva esserlo ancora di più se Slow Food, come
Farinetti aveva proposto, fosse entrata nel capitale di Eataly.
"L’avessimo saputo allora dei 600 milioni — scherza il presidente — ma è
stato giusto così, dovevamo rimanere indipendenti".
https://www.huffingtonpost.it/2014/04/05/oscar-farinetti-eataly-oscurato-slow-food-inchiesta-pagina99_n_5095930.html
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