giovedì 17 maggio 2018

Accamora


“Tutto su mia madre” Almodovar o Mannina
Di Peppino Bivona
Dopo aver visto la rappresentazione teatrale di Paolo Mannina proposta dal Comune di Menfi e dalla locale Consulta delle Donne,al centro civico di Menfi, proporrei al bravo autore (e attore) sambucese di modificare il sottotitolo della sua pièce  ovvero “ Tutto sulla mia mamma “.
La distinzione non è di poco conto, anzi direi che questa fatica teatrale è l’ultimo canto alla “mamma” cosi come c’è stato declinato  negli anni passati in tutte le versione canore o sdolcinatamente poetiche .
Mi dispiace, ma la” madre” è un’altra cosa : è qualcosa di più complesso , articolato ,problematico. Le prime  crepe o meglio rotture, c’è li propone Pier Paolo Pasolini con “ La Ballata delle Madri “ o la più toccante “ Lettera a mia madre” con questi versi dà una sonora mazzata al mammismo italico, alla sua stucchevole apologia su cui si erano abbeverate la retorica risorgimentale e successivamente il fascismo.
Tuttavia dobbiamo aspettare l’ultimo decennio perché una rilettura in chiave psicoanalitica del comportamento genitoriale potesse finalmente farci comprendere la complessità del ruolo materno.
La madre e, pertanto la donna, è la sola che fa esperienza dell’alterità, ovvero dell’altro da se,  la sola che sa “amare”. Quando veniamo al mondo la madre è la nostra prima soccorritrice , la prima a rispondere al primo vagito, al nostro angosciante  grido quando siamo “buttati “ fuori dalle sicure e comode pareti del grembo materno. Per mesi attraverso la nostra pelle a contatto con quella della madre proviamo ad esplorare il mondo circostante e attraverso i suoi  occhi scrutiamo le misteriose cose che ci circondano. C’i fidiamo di lei, del suo sguardo rassicurante , della benevolenza, dell’accoglienza, della sua dolcezza.
E’ cosi che esploriamo il mondo nei nostri primi anni di vita ,attraverso gli occhi e il viso della madre,  ne percepiamo la serenità cosi come ahimè anche, la tensione, lo stress. Poi, piano piano ,costruiamo le nostre mappe cognitive e pari passo quelle emotive. La madre in questo frangente non deve mancare assolutamente, deve rispondere ai nostri mille “perché”, soddisfare le nostre molteplici curiosità in un clima di sicuro affetto. Non ci sono surrogati che valgano a sostituirla: ne va della nostra personalità, della nostra identità!. Se non  riusciamo a costruire, entro i primi cinque anni di vita, le nostre mappe emotive ,non li ricostruiamo più!!
Poi arriva inesorabilmente il tempo “ dell’abbandono”, del taglio simbolico del cordone ombelicale : abbiamo il diritto dovere di vivere  la nostra vita senza il fiato sul collo della madre o dei genitori, vogliamo prenderci la nostra autonoma esistenza.
Qui entra prepotentemente in gioco la mamma di Mannina: non riesce ad “abbandonare “ non li vuole “perdere” i suoi figli. Persiste caparbiamente nel suo ruolo protettivo-possessivo:   non si può resistere a questo smisurato amore filiale!
Noi non conosciamo bene le vicende familiari della famiglia Mannino ma possiamo supporre che dopo la morte del padre, la madre abbia straripato tutto il suo amore sui figli. I figli rappresentano la sua unica e sola ragione di vivere, un senso alla sua stessa esistenza . Persa la speranza di vivere la dimensione femminile . non le resta  che aggrapparsi ai figli con un sofferente- godimento- attaccamento, li fagocita, li tiene strette tra le sue amorevoli fauci, quasi a togliere loro la stessa aria per respirare: tutto farcito da affettuose ,calde premure.
Nelle pieghe dei dialoghi tra madre e figlio aleggia il fantasma “incestuoso”, manca la simbolica della castrazione, insomma manca il padre, ovvero la legge su cui poggia il limite e da cui prende avvio il desiderio. Ma  oggi ,ahimè, il padre è “evaporato” e i nostri figli “vogliono” ma non desiderano!
Meno coinvolgente, almeno per lo spettatore, sembrano i rapporti chiaro-scuri tra  madre e figlia restano sommersi, sottesi, il tentativo di esprimere, quest’ultima, la sua femminilità  si scontra con l’immenso e spesso devastante enigma della sessualità.
Oggi, accade  che le madri, consapevolmente ma più spesso inconsapevolmente, declinano la maternità attraverso molteplice irregolarità, in tempi di emancipazione femminile e nell’età della tecnica,  quotidianamente assistiamo sempre più a comportamenti maschili aberranti ,fuori dalle norme del vivere civile, non riusciamo a darci una ragionevole spiegazione! Il dilemma sembra custodito tutto e per intero nel grembo e nella psiche della madre -donna.

Forse sulla parola amore  abbiamo attribuito contenuti  eccessivamente impegnativi, di tutto e di più , abbiamo inflazionato il suo significato fino  a svuotarlo dell’originaria espressione. Per non fala lunga e non annoiarvi suggeriamo alla mamma di Mannina  di riflettere su una definizione di Lacan : “ Amore è dare ciò che non si ha”, perché dare ciò che si ha è un semplice gesto di carità cristiana.  

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