IL GOVERNO HA LICENZIATO IMPORTANTI PROVVEDIMENTI PER IL MONDO AGRICOLO, RESI ESECUTIVI ESSENDO PUBBLICATI IN GAZZETTA UFFICIALE DELLA REPUBBLICA
venerdì 29 dicembre 2023
Provvedimenti URGENTI E IMPORTANTISSIMI per l'AGRICOLTURA
domenica 17 dicembre 2023
I motivi della protesta tra realtà e popolismo
L’80% dei finanziamenti PAC va al 20% degli imprenditori agricoli e premia l’agricoltura intensiva.
Sui trattori vediamo, gli uni accanto agli altri, agricoltori che praticano un’agricoltura intensiva, sostenuta da milioni di euro, che impoverisce la terra senza peraltro arricchirli, e allevatori e contadini virtuosi, lasciati soli e senza futuro, come senza prospettive sono spesso le terre dalle quali provengono, quel 70% di aree interne e del sud italia trascurato da ogni governo. Quel territorio che ci presenta il conto a ogni evento climatico estremo
Come per magia la protesta mette insieme interessi contrapposti
L’incendio che divampa in questi giorni in tutta Europa è il frutto di decenni in cui la politica ha trascurato l’agricoltura, le condizioni di vita e di lavoro di chi produce cibo soprattutto nelle aree interne e delle aree del sud.
Oggi gruppi finanziari e di multinazionali controlla gran parte della produzione alimentare industriale: i semi, i fertilizzanti, i pesticidi, la genetica delle razze animali, la trasformazione delle materie prime, la distribuzione. Il nostro sistema alimentare non protegge le sue fondamenta (la terra e chi la lavora), ma annienta proprio gli agricoltori più virtuosi e genera sprechi intollerabili (quasi un terzo del cibo prodotto). Abbiamo chiuso gli occhi per anni davanti a contadini costretti a lasciar marcire la frutta sugli alberi, perché sarebbe stato più costoso raccoglierla; allevatori che per disperazione sono arrivati a versare per strada il latte; agricoltori che vendono il frumento fermo allo stesso prezzo di dieci anni fa; produttori stritolati dalla grande distribuzione.
Così il disagio è esploso, indirizzato (ad arte) al bersaglio sbagliato: la transizione ecologica e le sacrosante misure a tutela dell’ambiente. Come diceva l’ambientalista Alexander Langer, “la transizione ecologica sarà prima di tutto sociale, o non sarà”».
Il Green Deal è un percorso necessario questi anni sono decisivi. Dobbiamo agire ora per contrastare la crisi climatica, ricostruire una relazione armonica e sensata con la natura, ripristinare la fertilità dei suoli europei, produrre e allevare con rispetto per gli animali e per l’ambiente. Come molti studi dimostrano, a partire dal report Ipbes-Ipcc, soltanto la biodiversità ci consentirà di adattarci agli effetti della crisi climatica. Ma dobbiamo sostenere e accompagnare chi produce il nostro cibo seguendo pratiche agroecologiche e supportare tutti gli altri, attivando percorsi condivisi.
Si parla degli ingenti sussidi europei all’agricoltura, ma si dimentica che i soldi delle Pac continuano ad andare a poche grandi aziende: l’80% dei finanziamenti va al 20% degli imprenditori agricoli e premia l’agricoltura intensiva. E a elargire questi fondi in maniera così poco lungimirante sono le istituzioni politiche, costituite da persone che noi stessi scegliamo attraverso il voto. Senza una transizione e rigenerazione ecologica e al contempo sociale, la nostra agricoltura perderà e sarà sempre più in balia delle multinazionali e degli umori del mercato.
In una Regione come la Sicilia, sostenere che l'Europa è stata assente e a dir poco ingeneroso, solo i neofiti possono spingersi in una affermazione tanto qualunquista
In molti anzi in tantissimi, non hanno compreso, che la protesta ha il solo obiettivo di spostare voti alle prossime elezioni europee, verso l'estrema destra europea da sempre antieuropeista.
Alcune pretese sono giustissime, ma il perimetro è totalmente fuori luogo.
Le
strategie del Green Deal, come la Strategia Farm to Fork e
la Strategia Biodiversità 2030, sono politiche lungimiranti,
malgrado qualche agitatore senza scrupolo sostiene il contrario.
Tra il 2021 e il 2027 sono stati stanziati quasi 390 miliardi di euro
Da qualche settimana sono in corso in vari paesi europei, tra cui Francia, Germania e anche Italia, estese proteste organizzate dagli agricoltori, che si sono fatti notare soprattutto perché in molte occasioni hanno bloccato strade e autostrade con trattori e altri mezzi agricoli. Giovedì c’è stata anche una grossa manifestazione vicino ai palazzi delle istituzioni europee a Bruxelles, dove intanto era in corso una seduta straordinaria del Consiglio Europeo.
Gli agricoltori protestano per diversi motivi, che spesso hanno a che fare con la situazione politica e normativa dei vari paesi in cui vivono e lavorano. Le loro richieste sono accumunate da una critica generale nei confronti della Politica agricola comune (PAC), l’insieme di norme che regolano l’erogazione dei fondi europei per l’agricoltura, considerata eccessivamente ambientalista e poco attenta alle necessità dei lavoratori. Storicamente però il settore dell’agricoltura è sempre stato uno dei più sussidiati, e oggi buona parte delle fattorie e delle aziende agricole europee riesce a sostenersi proprio grazie ai fondi europei per l’agricoltura.
La PAC viene aggiornata ogni cinque anni: l’ultima è entrata in vigore nel 2023, e sarà valida fino al 2027. È un pacchetto di norme molto corposo, che viene concordato durante lunghe negoziazioni tra tutti gli stati membri dell’Unione. Si basa su alcuni obiettivi fondamentali: tra gli altri garantire un reddito equo agli agricoltori, proteggere la qualità dell’alimentazione e della salute, tutelare l’ambiente e contrastare i cambiamenti climatici.
L’ultima PAC è stata finanziata con 386,6 miliardi di euro, ossia il 31 per cento di tutto il bilancio europeo per il periodo 2021-2027, che vale più di 1.200 miliardi euro. La percentuale scende al 23,5 per cento se comprendiamo nel totale del bilancio anche i circa 800 miliardi di euro forniti dal Next Generation EU, il piano di aiuti economici per i paesi colpiti dalla pandemia, spesso chiamato Recovery Fund. Le cifre utilizzate per questi calcoli rispecchiano i prezzi vigenti ad aprile del 2023: possono variare in base all’inflazione, ma l’ordine di grandezza generale rimane questo.
I fondi della PAC sono divisi in due pilastri fondamentali: il Fondo europeo agricolo di garanzia (FEAGA) e il Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR). Il primo ha una dotazione complessiva da 291 miliardi di euro, e il secondo di 95,5 miliardi, di cui 8 miliardi forniti dal Next Generation EU.
Complessivamente tra il 2023 e il 2027 la maggior parte dei fondi europei per l’agricoltura sarà usata per dare dei sussidi diretti agli agricoltori: riceveranno quasi 190 miliardi di euro, il 72 per cento del totale. La parte restante sarà divisa in progetti per lo sviluppo rurale (25 per cento) e interventi in specifici settori, tra cui quelli del vino, dell’olio d’oliva e dell’apicoltura (3 per cento dei fondi).
L’agricoltura riceverà quindi quasi un quarto dei fondi previsti dal bilancio europeo. È senza dubbio una componente molto rilevante, che però in passato era ancora più alta: all’inizio degli anni Ottanta la quota di fondi dedicata all’agricoltura era del 66 per cento, ed è poi scesa gradualmente fino a raggiungere il 38 per cento nel periodo 2014-2020 e infine al 31 per cento dell’ultimo bilancio approvato. A partire dal 1992 la quota dedicata ai contributi diretti per gli agricoltori ha cominciato ad aumentare moltissimo, a scapito degli altri settori finanziati, come i sussidi alle esportazioni o alle attività educative e promozionali, i cui finanziamenti sono stati ridotti.
I fondi europei vanno divisi tra tutti i 27 paesi membri dell’Unione (ed erano 28 fino al gennaio del 2020, quando c’era ancora il Regno Unito). Secondo gli ultimi dati disponibili, nel 2019 la Francia ricevette la quota più alta dei fondi del FEAGA, pari al 17,3 per cento del totale, seguita da Spagna, Germania e Italia, con il 10,4 per cento. Anche dell’altro fondo, il FEASR, beneficiarono soprattutto la Francia e l’Italia, che ricevettero rispettivamente il 15 e il 10,4 per cento dei fondi.
La maggior parte degli agricoltori che nel 2019 beneficiò dei contributi diretti ricevette meno di 5mila euro, mentre una parte – circa il 2 per cento del totale – incassò più di 50mila euro. Con la nuova PAC sono stati modificati i criteri di distribuzione dei contributi e le modalità per accedervi, inserendo nuovi vincoli per la tutela dell’ambiente: agli agricoltori che non li rispettano possono essere ridotti o anche sospesi i pagamenti.
Secondo l’Unione Europea, i sussidi sono necessari perché nella maggior parte dei casi le aziende agricole hanno redditi inferiori a quelli degli altri settori produttivi: secondo i dati della Commissione Europea, nel 2022 gli agricoltori hanno guadagnato poco più del 60 per cento del reddito medio dei dipendenti nell’Unione. È una situazione che sta migliorando, considerando per esempio che nel 2005 il reddito medio degli agricoltori era pari al 30 per cento di quello degli altri dipendenti.
Inoltre il settore deve fare i conti con molte incertezze: i prezzi sono volatili e le normative continuano a cambiare, così come le condizioni climatiche e i vincoli per ottenere i sostegni pubblici, fattori che nel complesso rendono molto difficile fare programmi a lungo termine. Anche per questo il settore agricolo è così sussidiato.
Allo stesso tempo, però, gli agricoltori si oppongono a molti cambiamenti che l’Unione Europea sta cercando di introdurre per salvaguardare l’ambiente, e in alcuni casi avanzano richieste poco concrete o comunque molto difficili da realizzare. Tra le altre cose, in Italia chi sta partecipando alle proteste chiede il blocco delle importazioni dei prodotti agricoli da paesi con standard produttivi e sanitari meno rigidi rispetto a quelli europei, che farebbero concorrenza sleale; il divieto di vendita e produzione per i cosiddetti “cibi sintetici”; una riqualificazione della figura pubblica dell’agricoltore, che dal loro punto di vista sarebbe troppo spesso additata «come responsabile dell’inquinamento ambientale».
venerdì 15 dicembre 2023
Danilo Dolci e il cardinale Ruffini
mercoledì 13 dicembre 2023
L'eredità della memoria
Un libro, uno scritto, sono una garanzia e come tale non hanno alcuna scadenza, non sono impazienti, perchè si rinnovano ogni volta che li leggiamo o rileggiamo, anche da angolature diverse.
Si riscontra la necessità di rappresentare una riflessione ampia e diffusa sugli avvenimenti storici, che hanno visto protagonisti uomini lungimiranti animati da un profondo ideale, lasciando il segno indelebile della loro presenza e del loro operato. Come Libera Università Rurale intendiamo accogliere le richieste di favorire un confronto anche attraverso le pagine di questo blog,
lunedì 11 dicembre 2023
Diario dell’ulivo saraceno
Peppino Bivona
Diario dell’ulivo saraceno
PREMESSA di Gaetano Basile
Peppino Bivona con l’ulivo ha un rapporto antico. Meglio ancora è antico il suo rapporto con la terra tanto da averne fatto il suo lavoro, la sua professione. Nessuno come lui conosce i mille segreti degli ulivi, delle drupe, dell’olio e di come giudicarlo. Ed a lui ricorro sempre quando mille dubbi mi assalgono su questa pianta misteriosa, strana, bizzarra. Biennale, ma tanto antica e sacra da accreditarne l’invenzione ad una divinità,Atena la saggia. Confesso di aver conosciuto tardi sia la pianta che l’olio d’oliva. In casa nostra, cittadini palermitani d’antan, si cucinava al burro oppure con lo strutto. Che chiamavamo “saìmi”, come giustamente si dice nella nostra lingua. L’olio d’oliva nostrano ci arrivava una volta l’anno dalle campagne di Castelvetrano o Carini in otri puzzolentissimi da cui si riversava in una enorme giara. Recipiente di un bel colore nocciola lucido, panciuto ed elegante, che mi riportava sempre a Pirandello e al suo Don Lollò Zirafa in lite con Zi’ Dima.
Ricordo che ogni anno c’era la solita disputa su
quanti “cafisi” occorressero per i dodici mesi successivi. La disputa non era
peregrina in quanto il “cafisu”, da quanto ne dedussi, era più che una unità di
misura per l’olio, un concetto astratto, quasi filosofico, giacché quello palermitano,
pari a 16 litri, raramente coincideva con quello di altri paesi o province
siciliane. E da qui discussioni a non finire…
Quell’olio paesano si usava soltanto per preparare salse e per friggere il pesce tre volte a settimana come era d’uso, e i tocchetti di melanzana per le solenni caponate estive. Pure come lubri- ficante generico e medicina per “ingorghi di stomaco”. Bastava attaccarsi alla bottiglia fino a quando qualcuno decideva che bastasse.
Per le cotolette panate si usava una padella in
ferro, sempre la stessa, in cui si mettevano sempre un paio di cucchiai di
strut- to; per le arancine era previsto un particolare tegamino che ne
conteneva tre alla volta in abbondante strutto che ribollendo le ricopriva. Poi
si mettevano a scolare sulla “carta paglia” per quelle due ore circa che
secondo tradizione servivano a portarle alla temperatura ritenuta “giusta” per
essere mangiate. Perché ci insegnavano fin da piccoli che le arancine vanno
mangiate tiepide e mai calde. Lo stesso pentolino veniva usato per la frittura
delle “scorze” dei cannoli. Che si facevano in casa.
L’olio d’oliva “buono” della mia infanzia fu in pratica soltanto quello che si usava a crudo sulle insalate e che i miei nonni facevano venire dalla Toscana o dalla Liguria tramite un tortuoso giro di amicizie e parentele. Pure questo arrivava una volta l’anno, spedito per ferrovia, e contenuto in eleganti “buattoni” di latta con belle immagini a colori: Garibaldi, Mazzini, Cavour e re Vittorio Ema- nuele “Padri della Patria”, oppure le eroiche gesta dei Garibaldini, gli Alpini con le montagne innevate sullo sfondo, i Bersaglieri a Porta Pia, Napoli e il Vesuvio, la basilica di san Pietro, il Duomo di Milano…anche se quell’olio veniva da regioni che non c’entravano per nulla con le belle illustrazioni. Che capimmo tutti dovevano portare in giro per il mondo, assieme all’olio, il buon nome della nostra Patria.Che si scriveva sempre con la maiuscola.A quell’epoca. Oltre alla bellezza artistica/promozionale patriottarda del contenitore, quel liquido limpidissimo e giallino aveva il pregio di non puzzare, e l’altro non trascurabile di non “rovinare lo stomaco”, come dicevano i grandi, a causa dell’eccessiva acidità. Naturalmente le cameriere, tutte di estrazione contadina, lo giudicavano “acqua di cannolu” per la leggerezza e mancanza di odore forte. Capace di rovinare pure il sapore di una bella zuppa di ceci o di lenticchie come dicevano i grandi.
Quella delizia settentrionale aveva il pregio di costare tanto e doveva servire esclusivamente sulla pasta, per le insalate,le verdure assassunate e qualche volta, “un filino appena appena”, sul pesce lesso o infornato.La parsimonia era d’obbligo. Poi venne la guerra e pure la nostra numerosa famiglia fu costretta a “sfollare” come si diceva. In pratica finimmo tutti quanti nelle campagne attorno alla città, ospiti di parenti e amici per sfuggire ai bombardamenti che si facevano ogni giorno più intensi.
Per noi bambini fu una sorta di liberazione dalla
scuola, dal “vestito buono”, dalle scarpe che “guai se ci giochi a pallone” e
pure dal pettine giacché fummo tosati come misura precauzio- nale contro i
pidocchi. Nuovi spazi per giocare, nuove amicizie e naturalmente nuove regole
alimentari. La palermitanissima mafalda con burro e marmellata fu sostituita da
una bella fetta di pane casereccio con un filo d’olio sopra. Sì, in pratica
quell’olio puzzolentissimo e acido finì per accompagnare le nostre merende
pomeridiane. Non ci facemmo caso perché la fame era tanta a quell’età e non
andavamo per il sottile.
Scoprimmo, con le gioie di une fetta di pane con
l’olio, an- che la campagna: asini e muli, il latte appena munto da vacche o
capre, insalate di gusto nuovo raccolte in giro per i viottoli e pure la fatica
dei vecchi contadini rimasti a casa mentre tutti gli uomini validi erano sotto
le armi. Erano loro che lavorava- no le campagne, si occupavano di greggi,
facevano il cacio e ci raccontavano pure tante belle storie.
Fu allora che conobbi gli ulivi. Solenni enormi,
con tronchi ritorti, sofferenti, pieni di cicatrici. E quelle foglie di un
colore sempre cangiante, belle da vedere soprattutto quando il vento le
smuoveva. Era fantastico salirci sopra e guardare il mondo dall’alto, come
quando gli uomini ci montavano con lunghe canne per buttare giù le olive
mature.
Gli stessi che ci portarono con loro all’antu e cominciammo a capire cosa significa arare, seminare, mietere, trebbiare, cutuliare le olive, raccoglierle da terra una per una, andare al palmento e scoprire i “fiscoli”, le macine e quelle feste incredibili a fine dei lavori.
Caro Peppino, ho conosciuto così il piacere del
pane appena sfornato, dell’olio appena spremuto, del vino novello e di quella
gioia che le ragazze sapevano esprimere per un buon raccolto. E poi quel
continuo invocare i santi, Madonne e Padreterno per dare una mano e alleviare
la loro fatica. Diventammo adulti in poco tempo grazie e quella gente che ci
accolse con affetto insegnandoci tra le altre mille cose, ad amare la terra.
Ancora oggi,quando mangio una fetta di pane
casereccio caldo con un filo d’olio sopra ritorno a quelle storie, a quella
cultura che tu sei ancora in grado di trasmettere con le tue conoscenze, con il
tuo amore.
Quelle che leggerete sono come pagine di un
romanzo, in- triganti, ricche di notizie per nulla scontate. Sono state scritte
perché non si dimentichi, per lasciare agli altri il proprio sapere, le proprie
emozioni, le proprie scoperte. Per tutto questo, grazie.
Con affetto
sabato 9 dicembre 2023
“𝗨𝗻 𝘀𝗲𝗰𝗼𝗹𝗼 𝗱𝗶 𝗶𝗻𝗾𝘂𝗶𝗲𝘁𝘂𝗱𝗶𝗻𝗶"
Viaggio in settantacinque anni di storia di Menfi. Sabato 23, alle ore 17:30
presso la Biblioteca Comunale di Menfi, la presentazione del libro di 𝗩𝗶𝗻𝗰𝗲𝗻𝘇𝗼
𝗟𝗼𝘁𝗮̀ e 𝗥𝗼𝗰𝗰𝗼
𝗥𝗶𝗽𝗼𝗿𝘁𝗲𝗹𝗹𝗮
Una analisi dettagliata in 325
pagine, un lavoro di tre anni che porta la firma di Vincenzo Lotà e Rocco
Riportella.
“I temi e le fonti di questo
lavoro parlano di una terra e di una comunità presso cui proprietà e servilismo
erano retaggi tenaci e permanenti, in un tempo in cui una Dinastia s’avviava a
concludere esausta il suo lungo dominio; illustrano uomini che tante idee
maturarono e proposero e tante altre ne contrastarono e combatterono, pur di
conferire alle generazioni il diritto a scegliersi il loro futuro” commenta
l’autore Vincenzo Lotà che aggiunge “A questo difficile e doloroso tentativo
siciliano di riscatto umano e di affermazione del cittadino la comunità
menfitana fu attivamente partecipe e questo saggio ne è testimonianza”.
𝗩𝗶𝗻𝗰𝗲𝗻𝘇𝗼
𝗟𝗼𝘁𝗮̀ è nato e vive a Menfi. Architetto, ha
lavorato al Dipartimento della Programmazione della Regione Siciliana con
l’incarico di Dirigente. Più volte Sindaco di Menfi, ha curato e pubblicato
vari contributi nel settore dell’urbanistica e della programmazione economica e
territoriale, tra cui Il progetto di Menfi: una proposta per la gestione del
territorio, in “Il progetto urbano di Menfi” (1988), Menfi, una strategia
operativa, in “I piani di Bruno Gabrielli”, 1995. Autore di "Uomini senza
cappotto. Viaggio nella memoria di un lembo di terra salmastro" (2018).
𝗥𝗼𝗰𝗰𝗼
𝗥𝗶𝗽𝗼𝗿𝘁𝗲𝗹𝗹𝗮,
è nato e vive a Menfi. Dirigente amministrativo della sanità in quiescenza, dal
1994 si dedica all’indagine storico-archeologica del territorio in cui vive. Ha
svolto la relazione su “L'arte Preistorica del San Giovanni sambucese” all'11°
Convegno Internazionale UISPP di Magonza del 1987. Ha moderato, partecipandovi
con una sua relazione sul tema “Il territorio di Menfi: dai villaggi indigeni
all’età moderna – Excursus storico archeologico del processo agro produttivo”,
al Convegno “Alle radici della civiltà del vino in Sicilia” organizzato dalle
Cantine Settesoli nel 1999. L’edizione degli atti è stata curata dai Proff.
Osvaldo Failla e Gaetano Forni. Ispettore onorario dei Beni Culturali di Menfi
per meriti speciali avendo segnalato alle Istituzioni pubbliche siti che,
indagati, si sono rivelati di rilevante interesse scientifico. Nel 1998
l'Istituzione Culturale “Federico II” di Menfi gli assegna la Medaglia per
“avere concorso ad elevare e diffondere i valori della cultura e dello spirito
umano, acquisendo particolare benemerenza verso quest'Istituzione”.
sabato 2 dicembre 2023
Quaderno di Neoruralità "Il sole nel bicchiere"
Pubblico delle grandi occasioni a Menfi in occasione della presentazione del Quaderno di Neoruralità "Il sole nel bicchiere" di Peppino Bivona, moderato magistralmente da Antonella Giovinco, con la partecipazione di Giuseppe Barbera, Giuseppe Bursi, Nino Sutera.
E' possibile vedere l'incontro integrale grazie alle riprese dell'Arch. Francesco Graffeo
lunedì 20 novembre 2023
IL MISKE O AGAVE ANDINA. CHE NON È NÉ TEQUILA NÉ MEZCAL
VENTICINQUE VARIETÀ DELLE OLTRE TRECENTO SONO REGISTRATE, E TRA
QUESTE C'È L'AGAVE AMERICANA, CHIAMATA ANCHE AGAVE BLU, BASE DI UNA BEVANDA
ANCESTRALE: IL MISKE O AGAVE ANDINA. CHE NON È NÉ TEQUILA NÉ MEZCAL
Miske, l'antica bevanda autoctona che sta rinascendo in mezzo
mondo
È l'unica bevanda ecuadoriana a Denominazione di Origine Ecuador e la sua produzione ha dato vita ad un progetto sociale che mette le donne al centro dell'attenzione di tutti.
Di origine indigena, il chaguarmishqui è una delle bevande più antiche d'America, ma anche la più denigrata per essere stata considerata la bevanda dei cosiddetti indiani , o che è lo stesso, degli indigeni delle Ande. Prodotto principalmente da donne, il suo distillato, miske o misque, è l'unica bevanda ecuadoriana con Denominazione di Origine Ecuador.
Nel cosiddetto centro del mondo, si trova una piccola distilleria dove viene distillata la linfa dell'agave cactus americana o agave blu, della famiglia delle Agavaceae . Situata sulla terra che separa i due emisferi, Casa Agave nasce dalla rivendicazione di una bevanda ancestrale, dalla tradizione antica, che nasce in mezzo alle Ande, e che fa parte della cultura locale fin dalla creazione dei primi città native di Quito.
“Questo cactus è una pianta dinosauro, è una pianta preistorica. La linfa di agave è stata per migliaia di anni un alimento e una bevanda selvatica per gli abitanti delle Ande; La stessa cosa accade in Messico, dove hanno una cultura ancestrale dell’agave molto forte , con la differenza che quello che lì si chiama pulque, in Ecuador lo chiamiamo miske”, spiega Diego Mora, proprietario e mishquero di Casa Agave. Denigrata per essere l'acqua degli indios o l'acqua dei poveri, la sua importanza all'interno della cultura ecuadoriana cominciò a perdersi. A poco a poco il mestiere del mishquero , della persona che possiede tutte le conoscenze necessarie per l'estrazione del chaguarmishqui, cominciò ad essere lasciato da parte finché Don Virgilio Collahuazo rimase l'ultimo mishquero dell'Ecuador. Diego Mora ha imparato tutto da lui quando 22 anni fa è arrivato nelle valli di Quito per recuperare e valorizzare questo patrimonio ancestrale andino. È così che è nato Casa Agave, un progetto che non si concentra solo sul salvataggio di questa tradizione culturale e gastronomica ecuadoriana nelle mani di nove comunità, ma lavora anche per recuperare una pianta molto speciale proveniente dall'America e tipica della zona.
Oltre a vendere chaguarmishqui , Casa Agave produce anche miske, il suo distillato, l'unica bevanda ecuadoriana con Denominazione di Origine Ecuador. Qui i 3.000 litri di linfa di agave che raccolgono ogni mese vengono trasformati in 250 bottiglie di miske, una bevanda che è stata premiata nel 2021 e nel 2022 con un totale di tre medaglie d'oro, una d'argento e una di bronzo al World Spirits. Questi premi sono solo un esempio del lavoro che sta dietro questo progetto sociale che valorizza uno dei patrimoni più antichi delle valli interandine equatoriali, la cultura dell'agave. Ma questa non è l'unica cosa che fanno a Casa Agave, visto che il loro progetto prevede anche un piano di riforestazione con diversi tipi di agave da più di 20 anni e coinvolge tutti coloro che passano davanti alla loro distilleria invitandoli a piantare una piccola agave nella loro distilleria. vivaio per coinvolgerli nel recupero di una pianta ancestrale e di una bevanda tipica di mezzo mondo.
domenica 19 novembre 2023
Gran successo di Tregor Russo a Menfi
Pubblico delle grandi occasioni a Menfi presso i locali del Circolo Operai per la presentazione del libro di Tregor Russo, "SICILIA; L'INCANTO DELL'ESTASI, EPOPEA NEL REGNO DEGLI DEI" se pur l’evento non era tra quelli previsti nel programma finale di Menfi Città italiana del vino 2023.
Dopo i Saluti di Vito Pendola Presidente
del Circolo Operai, Ezio Ferraro ha portato i saluti del Consiglio Comunale.
Nino Sutera, che ha moderato i lavori, ha ribadito il coraggio dell’Autore e del Presidente del Circolo di organizzare un evento culturale in un luogo diverso dai santuari della cultura. Coraggio che è stato ripagato da una sala strapiena di attenti intervenuti sino alla fine dei lavori. E’ stato il primo esperimento destinato a fare scuola.
"Da Artista, Scrittore e Fotoreporter Professionista il mio intento è quello di preservare e fare conoscere l'immenso patrimonio culturale, artistico, monumentale e naturalistico della Sicilia unico al mondo, tramite il proseguo del mio Secondo Grand Tour dell'entroterra della Sicilia intrapreso nell'agosto 2022 con le mie indagini storiche e sopralluoghi professionali.
Dopo “Catarsi Redentrice”, “Al Rintoccar dei Sensi Assopiti” e " Le Ferite Dell'Essere" la casa editrice Melqart Communiction dà alle stampe il 6 marzo 2023 il mio nuovo Quarto Libro "SICILIA; L'INCANTO DELL'ESTASI, EPOPEA NEL REGNO DEGLI DEI", con il mio intento di preservare e far conoscere l'immenso patrimonio culturale, artistico, architettonico, archeologico, monumentale e naturalistico della Sicilia unico al mondo, tramite le mie indagini storiche, fotoreportage e sopralluoghi professionali che ho realizzato per il mio innovativo Grand Tour dell'entroterra Sicilia antica durato due anni esatti dal luglio 2020 al luglio 2022 con 50 Comuni visitati ed inseriti nel Libro, per testimoniarne la storia, le informazioni storiche, l'opulenza dell'arte in tutte le sue forme e sfaccettature, le bellezze monumentali e paesaggistiche della Sicilia più recondita, alla scoperta di rotte turistiche nuove ed emozionanti e molto altro ancora che scoprirete all'interno del Libro che è adatto per tutti."
Alla presentazione del libro "SICILIA; L'INCANTO DELL'ESTASI, EPOPEA NEL REGNO DEGLI DEI" sono seguiti la proiezione dei cortometraggi sempre con la regia d’Autore.
Per
la cronaca il lavoro è stato già presentato in venti borghi, in ognuno delle
quali l’Autore ha ricevuto apprezzamenti e attestati di stima, da parte dei
Sindaci e amministratori locali, omaggiandolo di riconoscimenti (targhe e/o
pergamene)
venerdì 17 novembre 2023
VINO PRESENTATO IL NUOVO MANIFESTO PER L'ANNO 2024 e il riconoscimento di Città Europea del Vino 2024
L’Alto Piemonte e il Gran Monferrato hanno ricevuto a Bruxelles dal network RECEVIN (Rete Europea delle Città del Vino), il riconoscimento di Città Europea del Vino 2024, il titolo che a rotazione premia le migliori aziende produttrici di un territorio italiano alternandosi con altre città vignaiole di Portogallo e Spagna. La corona di alloro è stata assegnata per tutto il prossimo anno a venti città piemontesi unite sotto un’unica sigla e un programma condiviso di eventi, meeting, convegni e degustazioni distribuiti sulle provincie di Alessandria, Biella, Novara, VCO e Vercelli nei Comuni di Acqui Terme, Barengo, Boca, Bogogno, Borgomanero, Briona, Brusnengo, Casale Monferrato, Fara Novarese, Gattinara, Ghemme, Grignasco, Maggiora, Mezzomerico, Ovada, Romagnano Sesia, Sizzano, Suno, Vigliano Biellese e Villa del Bosco.
Il dossier Alto Piemonte Gran Monferrato si è affermato sulla concorrenza per il coinvolgimento di ampi territori e di molti Comuni Città del vino dove alla programmazione ordinaria già pianificata durante l’anno si aggiungerà quella straordinaria legata all’evento. E proprio quest’ultima ha fatto la differenza. Il piatto forte saranno le tavole rotonde, le degustazioni, i convegni e le tematiche di carattere generale riguardanti le politiche comunitarie sulla vitivinicoltura, il mercato, il rapporto tra vino e salute, l’educazione al consumo consapevole e l’identità dei territori. Appuntamenti tutti collegati con un continuo passaggio di testimone da una città all’altra spalmati durante un anno intero che promettono di attirare turisti, curiosi e addetti ai lavori.
Sulla scena internazionale per tutto il 2023 resterà ancora la regione vinicola portoghese del Duoro vincitrice l’anno scorso del titolo. Dal 2024 toccherà ai Piemontesi.
Inoltre è stato scelto il disegno che rappresenterà l’Associazione per il 2024. Il miglior bozzetto è stato realizzato da Emanuele Franchi studente della classe 4G del Corso di Grafica dell’Istituto Enaip di Novara.
Un vigneto che idealmente si tinge dei colori dell’arcobaleno, simbolo di pace e di non violenza, sette colori che esprimono il desiderio di vivere in un territorio rigoglioso senza pericoli o minacce. Questo è ciò che rappresenta il bozzetto scelto per accompagnare l’immagine delle Città del Vino per tutto il 2024.
La professoressa Marika Leonardi, che ha curato la partecipazione dell’Istituto Enaip al concorso indetto – come ogni anno – dall’Associazione Nazionale Città del Vino, ha accolto con felicità la notizia della vittoria, dicendosi molto soddisfatta per l’impegno che tutti gli alunni hanno mostrato nella realizzazione dei bozzetti secondo lo spirito del bando, che quest’anno aveva come tema la Pace con l’obiettivo di dare ai ragazzi una opportunità di riflessione, attraverso il proprio ingegno artistico, su ciò che stiamo vivendo in unione al mondo del vino e alle Città del Vino.