Giuseppe Bivona
“ Mediocri e normali sembrano non avere che una sola
aspirazione: annusare le ascelle al potere”
Da “Nel segno dei gemelli”
Lo chiamavano con questo curioso soprannome “Peppe di mare”
non era però un pescatore, bensì un contadino , povero quanto e forse più dei
marinai del luogo. Possedeva buona parte della collina che sovrastava l’antico
borgo marinaro, che come un ambio terrazzo si affacciava nello stupendo mare
tra le “ solette” e la “conca della regina”. Suo nonno l’aveva comprata dai
principi Pignatelli per pochi denari ,nessuno
aspirava a possedere quella “bella” ma sterile collina. Ma al povero
Peppe quella “ bellezza “ non lo incuriosiva più di tanto, in fondo
l’incanto suscitato per le attrattive paesaggistiche è stata
tutta una” invenzione” della modernità, lui come suo padre non si
lasciava distrarre da questo paesaggio mozzafiato, impegnati come erano,
da mattina a sera ,con la schiena curva, a zappettare il grano in primavera
o a mieterlo nel mese di giugno. Quel grano cresceva a stento ,vuoi per
la cattiva natura del terreno, prevalentemente argillosa , ma ancor più, per le
sferzate di vento carico di salsedine che flagellava le colture. Così come la vegetazione costiera , per difendersi cresceva poco e restava bassa quasi strisciante e raramente le spighe
riuscivano ad arrivare a buon fine . All’epoca
c’era un tempo per ogni cosa:
dopo la mietitura e la successiva trebbiatura i lavori agricoli si placavano, perciò arrivava il tempo di andare al mare .
La partenza era sempre movimentata , al vocio chiassoso dei ragazzi
si imponeva l’ordine perentorio degli adulti ai quali spettava il compito di
caricare sulla mula ,la brocca con
l’acqua, gli ombrelli grandi e neri, le seggiole basse e tante altre cose ritenute di pratica utilità. Dalla vecchia
casa posta sulla sommità della collina la “carovana” seguiva il vecchio Peppe
che con la sua mula faceva da battistrada giù per lo stretto viottolo ,
sospeso tra cielo e mare, dopo infinite curve finiva, quasi di
sorpresa,a ridosso della mitica spiaggia
delle “ solette”. Un tratto di arenile a forma di mezzaluna si estendeva alla fine di un profonda
vallata, mentre poco distante, nel mare aperto, una serie di rocce
affioranti piatte e irregolari si allungavano di fronte a noi come tante piccole isolette( o come diceva il
vecchio Peppe “solette” ovvero come le
suole delle scarpe)
Questi “luoghi” appartenevano a Peppe e ai pochi abitanti della zona:
“suoi” erano le giornate invernali, quando
la pioggia insistente e violenta , si abbatteva inesorabilmente su quel sottile strato di
suolo argilloso ,”suoi” i venti
infuocati di tramontana che puntualmente arri vavano nei mesi più caldi,
“suoi” lei raffiche di scirocco carichi
di salsedine che danneggiavano irreparabilmente la vegetazione, suoi le
fatiche quotidiane ,il sudore per strappare a quella terra un misero raccolto
Così, come “suoi”
erano le prime brezze che nelle giornate
più assolate sentiva salire dalla costa,carichi di profumo di mare
impregnate delle essenze floreali , “suoi” erano i chiari di luna che scopriva la mattina presto,una luna piena e rotonda,
che prima di tramontare, si
specchiava nell’argenteo mare ,”suoi”era
il silenzio , tanto silenzio ,
interrotto a tratti dal canto degli
uccelli o dal rumoreggiare del mare, “suo” era questo tratto di spiaggia,questo
mare….
Tutto questo rappresentava per il vecchio contadino il
suo patrimonio, materiale ed
immateriale , tutto quanto costituiva l’”asse” ereditario da trasmetterlo per
intero ai propri figli e nipoti. Questa
terra diceva il vecchio Peppe era la sua“croce
e delizia”
Di certo questo
paesaggio sembrava non dovesse avere mai fine ,anche perché alla fine
degli anni settanta fu incluso all’interno della istituenda riserva del “ Fiume Belice e dune
limitrofe”. Ma il “ sogno” durò pochi anni . Scellerati amministratori non ebbero alcun scrupolo nello stralciare
dal decreto istitutivo, il versante orientale
della riserva che ricadeva per intero nel comune di Menfi. Alla
stoltezza segui l’avidità, senza alcun pudore “
liberalizzarono” quei luoghi che
inesorabilmente finirono nelle fauci di
abili speculatori.
Ora la breccia si è
aperta, nessun ostacolo si opponeva
all’assalto dei nuovi barbari nostrani , con pochi spiccioli comprarono ogni lembo di terra che si affacciava sul
mare, anche qui con qualche anno di
ritardo e un po’ meno selvaggiamente, l’assalto alla costa in pochi anni ebbe
il suo epilogo.
Ora, i nuovi barbari
dal cuore a “forma di salvadanaio”
avvezzi ad usare abilmente lo “sterco del diavolo”, dimorano sulla
collinetta che un tempo fu di “Peppe di mare” .Costruirono le case quanto più
fosse possibile vicino all’arenile , sventrarono la collina,la livellarono , abbatterono ogni ostacolo che ostruisse la
vista del mare , ostentavano sfacciatamente
senza ritegno la “ricchezza” in tutte le sue manifestazioni.
Predoni , calarono
veloci come rapaci, si
appropriarono delle “delizie” il meglio
che questi luoghi potevano esprimere ,
ne fruiscono per soli pochi mesi estivi , distratti , annoiati, efflorescenze senza
radici.
Eppure i “luoghi” hanno un’anima dice Hillman, e sono sedi di uno spirito del luogo “ genius loci”. Peppe di mare e i
suoi si sono “guadagnati” l’anima di questi luoghi attraverso il deposito di accumulazione di
affetti ,che viene operato dalle diverse
generazioni di persone che li hanno
abitate, rispettando la natura , il senso del limite,la sobrietà ,l’interiorità
, la forma .
Peppe possedeva un rapporto intimo e cosciente con quel
“luogo”, aveva consolidato una cultura stabile e “sostenibile” che aveva alle
spalle centinaia di anni , la sua esistenza era segnata dalla ciclicità ,
costellata da una intensa vita cerimoniale e rituale. Per Peppe abitare vuol
dire permettere all’anima dei luoghi di manifestarsi in chi vive in quel posto, che l’assorbe in
se , rispettandola , rilasciandola in modo creativo , cosi che l’abitare
diviene un atto “sacro”. Gli antenati di Peppe
circondavano di pietre i luoghi che ritenevano sacri per proteggerne lo
spirito e la loro identità : cosi
nascevano i templi consacrati alla divinità.
I barbari nostrani, non hanno “storia”, senza passato ,ne
memoria sono portatori di un modello civilizzato in palese
contrasto con il mondo di Peppe:
idolatrano una razionalità strumentale, un tipo riduttivo di praticità che ha disincantato ogni aspetto della vita ,l’esigenza per un funzionamento razionale cela l’interiorità dei luoghi , vedono
solo ciò che appare , le facciate
ostentando sicurezza ed arroganza .
L’economicismo , la devastazione ambientale , la
meschinità dei comportamenti interessati
, il gigantismo, l’insignificanza dei
suoi “non luoghi”, l’anestetico arredamento razionalista….. Sono solo alcuni dei sintomi della repressione della bellezza , effettuata
dal protagonismo. Sono il derivato della
perdita di quel sentimento di
misura ed armonia ,di pudore e grazia.
Non c’è bellezza se non si conserva la memoria
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