mercoledì 26 dicembre 2012

tabù della modernità: la medicina




(seconda parte)
Giuseppe Bivona



Non vorrei chiedere troppo tempo al mio medico. Vorrei soltanto che riflettesse per cinque minuti sulla mia situazione [...] che penetrasse la mia anima e osservasse la mia carne per giungere a capire la mia malattia [...] Quando prescrive analisi del sangue e radiografie ossee, vorrei invece che analizzasse attentamente me, oltre la mia prostata, cercando a tentoni il mio spirito. Senza questo percorso, non sono nient’altro che la mia malattia.
(A. Broyard)
Il concetto di salute e malattia  che domina le nostre convinzioni sono coerenti con la logica industriale della “mercificazione”  economica, ovvero la vendita  di strumenti e consulenze mediche.
Perciò la conoscenza è stata divisa ,segmentata, parcellizzata con il solo obbiettivo di cavar maggior  profitto.
Ma la  nostra vita ,come quella di tanti esseri viventi o meglio di entità viventi ,come le molecole, le cellule,gli organismi , sono governati  dalle medesime leggi fondamentali , come ad esempio dalla Teoria Generale dei Sistemi naturali . Proviamo ad analizzarla.
Di solito si  considerano i processi vitali largamente casuali , ovvero lo stato di disordine al posto di un ordine  e la mancanza di scopi  invece  che di gerarchie o finalità . Tutto ciò è molto fuorviante: ordine e finalità , sono inscindibili ,la seconda non è che ordine a quattro dimensioni, sono i dati  più sostanziali della nostra biosfera . Il ruolo svolto dalla scienza è individuare regole e trame , fino all’odierna  cibernetica  ovvero la scienza del controllo , il che equivale  a mantenerlo nel suo  corso o traiettorie , cioè nella direzione del suo scopo, in un contesto dinamico.
Sono concetti apparentemente  poco comprensibili, ma basta osservare come raggiungiamo lentamente  la stabilità  dopo tentennamenti a destra e manca quando montiamo una bicicletta o la dinamicità “statica” del mulinello fatto dall’acqua  quando togliamo il tappo al nostro lavandino.
 L’obbiettivo dei processi vitali è raggiungere la stabilità . Ora un sistema vivente è stabile  nella misura in cui è capace di  mantenere la sua struttura fondamentale  nei confronti di possibili “turbolenze” . O, se si preferisce , mantenere la propria omeostasi di fronte ai cambiamenti . L’entità vivente non è, e no può essere per definizione  “statica” , ma deve essere capace di  cambiare  per adattarsi ai cambiamenti ambientali .
Ebbene questi cambiamenti  non sono fine a se stessi , bensì modi di prevenirne altri più distruttivi .
Solo alla luce di queste considerazioni teoriche si può capire  meglio il concetto di salute  ovvero la tendenza  di un organismo a ricercare la sua stabilità , all’interno del suo ambiente fisico, psichico  e sociale.. In altre parole un organismo è sano  se è capace di mantenere la sua stabilità  di fronte a discontinuità potenzialmente dannose. La salute potrebbe essere definita come la proprietà continua , misurabile con la capacità individuale , di resistere agli attacchi chimici,fisici, infettivi o sociali.
Se definiamo la salute in questo modo , la nostra  nozione di causa/effetto  deve essere modificata radicalmente. La causa di una malattia non può essere considerata l’evento immediatamente precedente che l’ha innescata per esempio, al microorganismo associato a una certa malattia infettiva, o se si vuole ad un accidente, ma alla moltitudine di fattori  che hanno ridotto la resistenza dell’organismo al punto di farlo  cadere vittima  di una offesa  che normalmente  avrebbe provocato  soltanto sintomi blandi.
Ecco che non  basta più  stabilire se il tal cambiamento  fa sorgere sintomi clinici ,ma se è capace di ridurre la resistenza globale  degli esseri viventi  e quindi la loro stabilità o salute.
Tutto ciò indurrebbe a rivedere la medicina attuale e con essa la politica sanitaria  abbandonando la stolta presunzione di aprire una guerra chimica contro  tutti i vettori  di malattie  che equivale ad eliminare solo e solamente i sintomi . Essa dovrebbe invece creare  quelle condizioni  in cui le discontinuità  sono ridotte al minimo  e la capacità degli individui  di far fronte  alle perturbazioni e accresciuta al massimo.
Via via che i sistemi si sviluppano  attraverso il processo evolutivo , diventano sempre più stabili , cosi è possibile farsi una idea del tempo  nel quale un animale è vissuto in un particolare ambiente , semplicemente valutando in che misura  ha imparato a convivere con altre forme di vita compresi i parassiti . Se  vi ha vissuto a lungo , le malattie dovute a tali parassiti  diventate endemiche , sono relativamente blande  e la loro funzione si limita semplicemente  di eliminare gli individui vecchi e deboli , effettuando un controllo qualitativo e quantitativo  sulla popolazione.
Non mancano gli esempi sia nel mondo animale ,come gli effetti della mixomatosi dei conigli in Australia , che nelle popolazioni umane ,esempio dei popoli della Polinesia, quando vennero a contatto con i “civilizzatori” europei. Cosi appare evidente che con l’evolversi i sistemi viventi  diventano sempre più adatti al loro ambiente e più stabili, o meglio : l’ambiente  che più favorisce la salute  di un essere vivente è quello in cui esso è stato adattato dalla sua evoluzione e col quale si è coevoluto.
Ma è vero anche il corollario di questo principio . Quando l’ambiente di un essere vivente viene fatto divergere  da quello  con il quale  si è coevoluto  e a cui si è adattato , diventerà sempre meno stabile , meno capace di affrontare  le discontinuità , quindi meno sano. Alcuni scienziati hanno definito queste condizioni :”principio di disadattamento filogenetico” , ovvero “ se le condizioni di vita  di un animale si discostano  da quelle che prevalevano nell’ambiente  nel quale la sua specie si è evoluta  e probabile che si dimostri meno adatto  alle nuove condizioni  e conseguentemente  sono prevedibili  alcuni segni di disadattamento “(Stephen Boyden)
 Questo principio comprende non solo  i mutamenti ambientali  di carattere fisico chimico compresi i  cambiamenti relativi alla qualità del cibo o dell’aria  ma  anche vari fattori ambientali  non materiali , compresi certe pressioni  sociali  che possono influire sul comportamento.
(continua)   

lunedì 17 dicembre 2012

I nuovi tabù della modernità:la medicina



(prima parte)

Giuseppe Bivona

“Cosa faranno i beduini se, un giorno, i cavalli impareranno a parlare?”
(Proverbio arabo)

“ La sostenibilità futura del Servizio sanitario nazionale non potrebbe essere garantita nei prossimi anni….”
 Queste parole di Monti riecheggiano  nell’auditorio palermitano e come un tam- tam   si estendono  attraverso i media  ad una popolazione infreddolita e impaurita  ,timorosa  di perdere un  traguardo sociale faticosamente conquistato. Poi arrivano “ gli ululati “ dei diretti interessati  ,medici di ogni ordine e grado,  ospedalieri ,farmacisti , insomma tutto il mondo  legato alla “ sanità” , i quali non intendono mettere in discussione “questo” sistema sanitario, questa “cultura” medica ,  questo“ approccio” alla salute dei cittadini. Insomma un tabù da non toccare, discutere, criticare, manomettere.
 Ma Monti , da buon economista i conti sa farli e i bilanci sa leggerli. La spesa per i servizi sanitari , in Italia come del resto in altre parti del mondo è sfuggita di mano , sfioriamo il 70% e passa del Prodotto Interno Lordo!
Ebbene questa medicina “moderna” , piena di entusiasmo,  tracotanza e  baldanza per i risultati raggiunti e i successi che quotidianamente consegue, non si  chiede ,con un minimo di umiltà, come mai  le persone che si fanno visitare sono sempre di più?  Le degenze in ospedali sono sempre più numerose?  Cosi vale per l’acquisto di farmaci  e nel numero di giornate di lavoro perse  per malattie. Si dirà che le malattie infettive sono state debellate e che la vita media è aumentata.
Intanto stiamo assistendo  ad una nuova diffusione delle malattie infettive , dalla malaria, gonorrea,tubercolosi, polmonite ,ecc e se invece valutiamo l’aspettativa di vita di oggi non è cosi distante rispetto all’inizio del secolo scorso . E evidente  poi, come la medicina moderna resta impotente nei confronti  delle cosi dette “malattie della civiltà”  come il cancro ,le ischemie cardiache,il diabete ,le vene varicose,e poi tutte le innumerevoli patologie che vengono definite autoimmune. Di fronte a queste malattie la scienza medica non sa  fare altro che opporsi, maldestramente , con le sole armi di cui dispone: i farmaci  . Se provate a chiedere ad un medico perché ho il diabete il poveretto non esiterà ad accusare il pancreas  che di punto in bianco ha deciso di no produrre più insulina , se poi coraggiosamente osate sottoporre la vostra ghiandola ad esame  risulta che la funzionalità pancreatica è in piena efficienza : cosa è che non va . Bho!     Ora fino a quando i costi sanitari aumentavano , seguendo il ritmo del prodotto interno lordo , nessuno si accorgeva del disastro , ma ora che il PIL stagna, i bilanci della nazione non sopportano questi incrementi dei costi sanitari .
Ebbene c’è qualcosa di profondamente sbagliato in questa “scienza” medica, che insiste stupidamente , ma anche interessatamente , nello scambiare le cause con gli effetti. Proviamo ad analizzarli.
Oggi consideriamo lo stato di “salute” , come l’assenza di sintomi clinici . Ora molte malattie sono classificate nei termini dei loro sintomi , come ad esempio l’artrite, i reumatismi ,cosi come la nevrosi, la psicosi e la schizofrenia .  Ma accade spesso che i sintomi non siano altro che normali attività dei meccanismi di difesa . Nel tempo il nostro corpo ha perfezionato dei sistemi protezione contro le sostanze nocive . Per esempio il muco , può essere pericoloso se si accumula nella trachea e si espelle con la tosse. Le sostanze tossiche nell’intestino vengono eliminate con le diarree. Lo stesso vale per la febbre, ovvero il naturale aumento della temperatura corporea  a fronte di ingerenze esterne. Sopprimere la tosse, prevenire la diarrea, ridurre la febbre, significa contraddire  fondamentali processi naturali.
Eppure , se analizziamo con attenzione la moderna medicina  e le pratiche mediche non fanno altro che  attenuare o eliminare i sintomi e nello stesso tempo esacerbare o rendere croniche le malattie  che dovrebbero curare. Ma c’è di più , se i farmaci usati sono biologicamente attivi  possono  innescare  effetti collaterali  e indurre  malattie che prima non c’erano  ovvero malattie cosi dette “iatrogene” a cui la farmacopea  provvederà all’uopo  con il beneficio  delle case farmaceutiche che vedono salire gli indici quotati in borsa e per converso il disastro dei conti pubblici . Molto spesso   l’obbiettivo della cura  è solo l’allungamento  della sopravvivenza umana in se stessa , senza alcun riguardo  della qualità della vita prolungata : una impresa assurda e immorale , se teniamo conto  della sofferenza  che il paziente deve subire  come conseguenza della  cura  necessario a tenerlo in vita giorno dopo giorno.
 Qui il picco della spesa sanitaria raggiunge il suo apice ,   vengono profuse terapia altamente costose per pazienti che moriranno entro i prossimi dieci mesi . La “leva”  per questi sciacalli è formidabile : “ Come? vuole interrompere la terapia al suo caro congiunto?”
Ma torniamo ai sintomi. Spesso però l’assenza di “sintomi clinici “  in un paziente non equivale  necessariamente  come segno di buona salute . Il 75% dei pazienti visitati dai medici  oggi non soffrono di nessun sintomo clinico riconoscibile . Eppure  si sentono malati e in un certo senso lo sono.( continua)     

lunedì 10 dicembre 2012

Campagna popolare per l'agricoltura contadina




 Campagna popolare per una legge che

RICONOSCA L’AGRICOLTURA CONTADINA
E LIBERI IL LAVORO DEI CONTADINI DALLA BUROCRAZIA 
La Lurss Onlus tra i sostenitori dell'iniziativa.


Fino a non molti decenni fa esistevano in Italia intere aree rurali. Non è che non esistano più, è solo che queste aree hanno preso due derive: in alcune, quelle più fertili e meglio collegate con la rete stradale, è piombata l’agricoltura industrializzata, (in crisi perenne) che si è buttata a capofitto su terreni da coltivare con macchine e pesticidi, come nella Bassa Padana; negli altri casi la popolazione ha scelto di elevare il proprio livello di vita e di abbandonare una vita e un’economia di sussistenza, magari tra i pascoli dell’Aspromonte, e di altre aree arretrate del sud, e di emigrare nelle città.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti è che in Italia ci sono da un lato sistemi urbani che stanno esplodendo, città infinite (si pensi alla cosiddetta Megalopoli Padana, che va da Milano a Venezia senza soluzione di continuità), contigue a terreni dove l’agricoltura a livello industriale la fa da padrona, e dall’altro lato esistono interi pezzi di Paese che nei casi migliori vivono o grazie alla diffusione di agriturismi e bed and breakfast, oppure vivono un costante decremento demografico e vengono tenuti in piedi da pochi anziani.
Ma quella vita di sussistenza, che ha dato da mangiare a tutti nei secoli, era in realtà una magnifica espressione della società contadina che, tuttavia, comportava tanti rischi, come la mortalità infantile, l’alto livello di diffusione di malattie, la malnutrizione. Tutti aspetti inevitabili se quella vita era il massimo a cui la gran parte della popolazione poteva realisticamente aspirare.
Aspetti negativi su un piatto della bilancia che venivano equilibrati, dall’altro, da valori contadini, tradizioni enogastronomiche e artigianali tramandate di generazione in generazione, ma soprattutto la realizzazione di un tipo di società fondata sulla solidarietà reciproca, valori che oggi si sono quasi consumati dopo decenni di industrializzazione e di sradicamento degli individui dalla terra.
La convinzione dominante che l’approvvigionamento alimentare potesse essere affidato al mercato globale ha, tuttavia, subìto un forte ridimensionamento negli ultimi anni di crisi, che, se non altro, ha avuto il “merito” di portare molti a rivalutare quei valori e quelle tradizioni troppo velocemente abbandonati.
Oggi c’è un aspetto molto importante in tutto questo discorso, aspetto costituito dalla possibilità di coniugare insieme il tipo di vita rurale con i controlli igienico-sanitari garantiti dai presidi medici diffusi(chissà ancora per quanto) sul territorio, che un tempo non esistevano o erano meno in grado di controllare spiacevoli o tragici fenomeni. Oggi ci ritroviamo nella condizione di poter tornare indietro progredendo, nella condizione, cioè, di recuperare un modo di vita coniugandolo con il controllo su prodotti e persone propri del nostro tempo. Difficile però che ciò possa avvenire, dato che nel tempo queste forme di agricoltura ed allevamento a gestione familiare sono state progressivamente indebolite dalla costruzione di un apparato legislativo e burocratico volto senza dubbio a favorire la produzione alimentare con mezzi industriali, più facilmente controllabili.
Così si arriva al punto del discorso: il Coordinamento Contadino Regionale e l’Associazione Rurale Italiana hanno da tempo intrapreso una campagna popolare finalizzata all’approvazione di “una legge che riconosca l’agricoltura contadina e liberi il lavoro dei contadini dalla burocratizzazione, poiché esiste un numero imprecisato di persone che praticano un’agricoltura di piccola scala, dimensionata sul lavoro contadino e sull’economia familiare, orientata all’autoconsumo e alla vendita diretta; un’agricoltura di basso o nessun impatto ambientale, fondata su una scelta di vita legata a valori di benessere o ecologia o giustizia o solidarietà più che a fini di arricchimento e profitto; un’agricoltura quasi invisibile per i grandi numeri dell’economia, ma irrinunciabile per mantenere fertile e curata la terra (soprattutto in montagna e nelle zone economicamente marginali), per mantenere ricca la diversità di paesaggi, piante e animali, per mantenere vivi i saperi, le tecniche e i prodotti locali, per mantenere popolate le campagne e la montagna. Per quest’agricoltura che rischia di scomparire sotto il peso delle documentazioni imposte per lavorare e di regole tributarie, sanitarie e igieniche gravose, per ottenere un riconoscimento che la distingua dall’agricoltura imprenditoriale e industriale, per ottenere la rimozione degli ostacoli burocratici e dei pesi fiscali che ostacolano il lavoro dei contadini e la loro permanenza sulla terra.”

Francesco Siviglia