sabato 23 giugno 2012

La dolcezza, la bellezza, la salubrità




Giuseppe Bivona



Alice spingeva  avanti  il carrello della spesa, lentamente,  per meglio osservare l’ampia  variabilità di frutta  esposta nel  reparto  appositamente attrezzato  del grosso centro commerciale.
La luce azzurrognola illuminava  a giorno, fino a renderli splendenti , le tante varietà di  mele ,ora accanto alle Red e Golden Dlicious, facevano bella mostra di se le splendide Fuji e Gala .
” La natura “ disse Alice “ non credo che da sola sarebbe stata capace di creare una così mirabile mela , combinare assieme  bellezza, dolcezza ,fragranza …”
Il Gufo ,che la seguiva a poca distanza  annui :” Certo  anni di lavoro di miglioramento genetico hanno fatto questo “miracolo”, anche se la bellezza , data dal colore rosso nelle diverse intensità e tonalità  e prevalsa  sulla più saporita mela di colore ruggine”
“L’offerta segue la domanda” sentenziò corto Alice: “ Mi sembra che i produttori di mele hanno trovato la giusta “sintesi” attraverso la qualità totale, nel soddisfare il mercato!”
Il Gufo non era del tutto convinto , ma non gli andava di intraprendere la discussione in mezzo al vocio  fastidioso di tanta gente e alle musichette così suadenti  diffuse  dagli altoparlanti dell’ipermercato, perciò aspettò che fossero usciti  all’aperto nell’ampio spazio destinato al posteggio, per dire come la pensava.
Presa tra le mani  una confezione di mele Gala :
“Vedi , da quando ci siamo procurati facilmente  lo zucchero e conseguentemente  colonizzato  le nostre abitudini alimentari,la dolcezza , compresa la  stessa risonanza metaforica  del termine, si è  appiattita , semplificata, banalizzata ,uniformata , ridotta alla sola formula chimica…zuccheri riduttori , riduttasi ,invertasi … insomma una dolcezza  industriale, commerciale, manipolata,quasi  simulatrice
 Ebbene quello che un tempo era stato un desiderio , composito , variegato,sapientemente e sottilmente intrigante ,ora  è divenuta una  semplice, sciocca ,scimunita “voglia” . Una debolezza per i dolci…la dolcezza sinonimo di zuccherosità  , sdolcinatezza , melasse ria .
Ora , in questo mondo dominato da  questo retroterra culturale  ,segnato dalla dolcezza facile , prontamente disponibile, le mele, come in genere quasi tutta la frutta , hanno  dovuto competere   nei supermercati  con qualsivoglia  altro  snack zuccheroso  che forzosamente  invadeva gli scaffali accanto.
Cosi  accadde che  molte mele  caratterizzate da un particolare tocco di  asprigno , che davano spessore  alla dolcezza , non  sono più coltivate  perché poco apprezzate dai consumatori. Vedi le nostre piccole mele locali tipo la Cannamela. In verità si è salvata  la verde Grammy Smith , forse per le  sue duttili prestazioni in cucina o per l’estrema resistenza alla manipolazione “.
“In verità “disse Alice “ a me piace , pure ,il cioccolato amaro… e il caffè .Ma non puoi negare  che il desiderio di dolcezza sia  stato per l’uomo storicamente appagante. “
“ Certo “rispose  il Gufo ,ma vi è una ragione più profonda. La prima selezione dei frutti e dei vegetali in genere  commestibili, l’uomo primitivo ,li selezionò attraverso la percezione della  “ dolcezza” un primo screening per difendersi  dai vegetali nocivi . Il binomio dolce-buono  da mangiare ,ha funzionato nella selezione dei prodotti vegetali commestibili. Ma oggi , nell’era avanzata  della tecnica alimentare, abbiamo fatto  un errore imperdonabile: estrarre le molecole del disaccaride…dal suo “contesto” , l’abbiamo isolato,rettificato ,polverizzato,impacchettato e poi ricombinato ,miscelato ,sempre nella sua nuda “purezza”.
“ Ma in fin dei conti quello che conta “ intervenne subito Alice “ sono le molecole di glucosio o di fruttosio che noi ingeriamo  e il suo bilancio energetico nel nostro metabolismo!”
Be, non è proprio esattamente  cosi. L’ossessione per la “dolcezza” ha indotto alcuni genetisti  a creare delle linee geneticamente stabili con un basso livello di acidità. Sono i frutti cosi detti sub-acidi . Nel  complesso processo di maturazione la frutta riduce sensibilmente il suo tenore acido ed incrementa gli zuccheri  ,riducendone però la consistenza. Per esaltare  la dolcezza ,fino all’esasperazione , senza pregiudicare la resistenza alla manipolazione , oggi disponiamo di pesche e nettarire  con un indice di acidità sensibilmente basso  così che la nostra sensazione di dolcezza diviene quasi esplosiva!
Ma ti dirò di più: per anni  l’indice glicemico , che tanto ha ossessionato i diabetici,  è stato valutato indipendentemente dalla loro provenienza, senza  preventivamente valutare che lo zucchero proveniente dalla frutta o dai succhi freschi contenesse una sufficiente quantità di “food enzyme”  sufficienti a consentire una facile digeribilità ed assimilazione dei benefici zuccheri semplici. Per non parlare dell’azione della fibra con cui gli zuccheri sono  spesso combinati riducendone l’assimilazione.
Insomma la risposta metabolica nel nostro organismo è radicalmente diversa se  la provenienza dello “zucchero” è inserito in  un contesto complesso, articolato  ed organico di una comune  pesca, di una arancia o di una mela, a fronte di  in un prodotto artefatto , manipolato e banalizzato  nei laboratori di  una  normale pasticceria.
“Tuttavia” disse Alice  “ la “buona” frutta oggi si lascia desiderare. Credo che i suoi bassi indici di consumo  vadano imputati alla  sua scarsa  sapidità” .
“ E’ ,no! “ disse  con piglio deciso il   Gufo” Se avessimo la piena e totale consapevolezza che i nostro cibo “ideale” e solo e solamente la frutta in tutte le sue variegate espressioni ,  non staremmo a menar il can per l’aia   disquisendo ,circa  le sottigliezze sulla sua sapidità, consistenza ,forma dimensione!
Ma noi stupidamente  abbiamo  relegato la frutta  a fine pasto  ,  occasionalmente  , distrattamente,magari sistemata  in grandi fruttiere a fare  solo e solamente bella mostra di se  .
Abbiamo puntato tutte le nostre attenzioni  cibarie sul “primo” poi il “ secondo”  fino all’onnipresente caffè e al digestivo
 Invece la  salubre , miracolosa   e divina  frutta   la sottoponiamo  ogni giorno  ad  un giudizio sempre  più severo , non perdiamo occasione  per  lamentarci   , sembra che tutte le scuse siano buone per consumarne sempre di meno…..”
Alice  vide il volto del Gufo  divenire paonazzo ,sapeva che la sua “frutta” era un  tasto  delicato  a cui  negli anni ,era divenuto sempre più sensibile.
“Eppure” rispose piano Alice “  Non  possiamo  negare  che tutte le  antiche civiltà descrivono la nascita dell’uomo inserendolo  in un giardino paradisiaco  , in un tempo senza età , in contesti  dove  vi era la piena disponibilità  di alberi da frutta , come se il nostro destino fosse indissolubilmente legato, vedi, il nostro  nell’Eden “.    
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lunedì 18 giugno 2012

L’INFLUENZA ARABA SULL’AGRICOLTURA SICILIANA



Giuseppe Bivona  

Chissà per quali oscure ragioni od inconsce motivazioni, sentiamo forte il richiamo per le vicende 
storico-culturali che coinvolgevano la nostra isola all’epoca della dominazione araba. Un lasso di  tempo, tutto sommato, relativamente breve, se paragonato all’esperienza Andalusa. Una conquista 
lenta e difficoltosa nella sua espansione verso la parte orientale dell’isola accompagnata da duri e 
violenti contrasti interni tra la componente araba  e quella berbera. Tuttavia, questa “tardiva” e 
“accidentale” invasione islamica coniugata alla successiva dominazione Normanna, costituisce uno 
di periodi più intensi, stimolanti e vitali per l’arte e la cultura nella nostra isola. 
Ma ciò che la contraddistingue e particolarmente ci coinvolge è l’aver avviato un radicale processo 
innovativo, quasi rivoluzionario, che investe l’agricoltura  e con essa il suo paesaggio che da 
quell’esperienza ne esce trasformato e rimodellato, tantochè molti dei suoi tratti caratteristici 
persistono ancora oggi. 
Così non potevamo farci sfuggire l’occasione offertaci dall’accademia dei Georgofili su un tema 
accattivante: “L’agricoltura e il paesaggio agrario della Sicilia nel periodo arabo-normanno”, 
affidandone la trattazione al Prof. Giuseppe Barbera della facoltà di Agraria di Palermo. 
In un tardo pomeriggio di fine novembre presso l’Aula Magna della stessa Facoltà, Barbera ci 
propone la rilettura di quel periodo attraverso una analisi per certi versi inedita o se si vuole 
inusuale per il tradizionale collocamento “ambientale”. 
Per Barbera la presenza araba in Sicilia avvia la prima vera “rivoluzione” agraria segnando 
un’epoca di intenso rinnovamento sia tecnico che produttivo. 
Dalla raccolta conservazione e distribuzione della  acqua per l’irrigazione, di cui ancora oggi 
persistono le tracce, mantenendone l’originaria espressione (catusi gebbia etc..)all’introduzione di 
colture come la canna da zucchero, il cotone, il sesamo ecc.. fino agli alberi da frutta con gli 
immancabili agrumi che caratterizzeranno d’ora in poi il “giardino mediterraneo”. Molte terre 
vengono bonificate e colonizzate recuperandole alla produzione,  ridistribuendo la terra e 
ridimensionando i patrimoni fondiari. Restano comunque immutate, nei suoi indirizzi cerealicoli, 
gran parte delle aree interne laddove le formazioni gessose solfifere non lasciano alternative. 
Elencando ed analizzando le innumerevoli opere frutto dell’operosità e dell’ingegno arabo , Barbera  
si chiede chi fossero questi protagonisti che fecero di Palermo una delle più splendide metropoli del 
Mediterraneo. Non certo i rozzi beduini, pascolatori di capre che risalirono la penisola arabica! 
Le opere, in particolare quelle di ingegneria idraulica realizzate per le dimore degli emiri hanno un 
comune stile, un’espressione architettonica riconducibili alla tradizione artistico-culturale indiana e 
persiana e le didascaliche immagini ne evidenziano la stretta assonanza con lo stile siciliano della 
Zisa, di Cuba e della piccola Cuba. 
Infine la tesi ardita  e…. affascinante,in cui Barbera propone la sostanziale continuità dall’epoca 
araba con il successivo periodo normanno. Due culture diversi e distanti che tuttavia riescono 
perfettamente ad integrarsi coniugando idealità ed pragmatismo, il bello con l’utile, il piacere della
fruizione col soddisfare i bisogni. Perciò avanza la proposta di non identificare questo periodo nella
tradizionale epoca arabo-normanna, ma  -togliendo il trattino- sostituirla con “arabonormanno”. 
La relazione di Barbera ci consente alcuni spazi di riflessione non strettamente legate al tema della 
serata. Forse per la prima volta abbiamo assistito ad una inversione di tendenza, che da sempre ha 
visto le discipline agrarie “soccombere” o assolvere al semplice ruolo di corollario od occasionali 
appendici utilizzate nelle analisi delle vicende storico-culturali. Una “ghettizzazione”che il mondo 
accademico non sembra dolersene più di tanto, impegnato com’è a soddisfare domande ancor che 
più “pratiche” e “concrete”. 

giovedì 7 giugno 2012

Lo strano sogno di monsieur Chevalley




di Giuseppe Bivona


 “..questo paesaggio che ignora le vie di mezzo fra la mollezza lasciva e l’asprezza dannata                              ,che non è mai meschino,terra terra ,distensivo ,umano ,come dovrebbe essere un paese fatto per la dimora di esseri razionali ,questo  paese che a poche miglia di distanza ha l’inferno attorno a Randazzo e la bellezza della baia di Taormina, ambedue fuor di  misura, quindi pericolosi; questo clima che ci affligge, sei mesi di febbre a quaranta gradi; li conti Chevalley, li conti: Maggio, Giugno, Luglio, Agosto, Settembre e Ottobre; sei volte trenta giorni di sole a strapiombo sulle teste; questa nostra estate lunga e tetra, quanto l’inverno russo e contro il quale si lotta con minor successo;Lei non lo sa ancora, ma da noi si può dire che nevica fuoco, come sulle città maledette dalla Bibbia ; in ognuno di quei mesi  ,se un siciliano lavorasse sul serio spenderebbe l’energia che dovrebbe essere sufficiente per tre;.e poi l’acqua che non c’è o che bisogna trasportare da tanto lontano, che ogni sua goccia è pagata da una goccia di sudore, e dopo ancora le piogge sempre più tempestose che fanno impazzire i torrenti asciutti che annegano bestie e uomini proprio lì dove una settimana prima le une e gli altri crepavano di sete”.Questa violenza del paesaggio,questa crudeltà del clima…..”
Don Fabrizio sembrava un fiume in piena, non riusciva a contenersi , era quasi eccitato , non  lasciva spazio di parola al cavaliere Chevalley venuto dal lontano Piemonte .
Ma questi,  pur essendo una persona  beneducata, non era di   certo uno stupido, trovò un varco e lo  interruppe :
 “ Principe, ho compreso tutto quello che mi avete esposto, ma  consentitemi qualche osservazione.
 Non ci sarà, per caso, oltre al clima ,alla violenza della natura, alla durezza dell’ambiente  insomma qualcos’altro che opprima i siciliani o ,come meglio specificate voi ,la Sicilia? E questo strapotere baronale?: Questa aristocrazia impregnata fradicia fino alle ossa di spagnolismo ? Questo 2% dei siciliani che sono proprietari del 98% dei terreni coltivabili?.Sono forse una “benedizione” della natura? Questi  territori agricoli che si estendono a perdita d’occhio, i feudi , senza un albero , ne una casa,  una monotonia quasi ossessionante,  opprimente per chi li percorre ,figurarsi per chi è costretto a viverci ?!
Si , Principe, devo confessarlo,  siete  scaltri e spregiudicati , detenete il potere “reale” da secoli, nelle vostre mani, ovvero l’economia, imponete  rapporti contrattuali vessatori, ,vi servite  dei gabelloti per garantirvi la rendita fondiaria e ,all’occorrenza della mafia per mantenere l’ordine costituito. Avete permesso  che si stipulassero contratti di  sub affitto dei vostri terreni, e poi i contratti promiscui , quelli verticali , le soccide più iugulatorie , una deriva concorrenziale fratricida tra  poveri cristi, con la corsa al rialzo dei terraggi , poi, nelle male annate,dovevano, i disgraziati, vendersi l’asino o il mulo per pagare la gabella
Ma voi non vi accorgevate di nulla ,la cosa non vi interessava!  Intenti come eravate a sciupare e scialacquare le vostre rendite  a Palermo, a Napoli o a Parigi  , spendendo e spandendo il ricavato estratto dal sudore , ma che dico sudore , “sangue” dei poveri contadini , braccianti ,”iurnateri” possessori di una zappa e del proprio corpo!   Con la fatica e i sacrifici di tanti poveri cristi,  Lei e i suoi degni compari di questa nobile aristocrazia  siciliana , sperperavate ingenti risorse a feste, femmine e… buttane e poi quanto vi nauseavano , parchè il sesso vi usciva dal naso ,  dissipavate le “vostre” sostanze al gioco!  Non avete  avuto mai alcun ritegno , ne per le cose ,ne per le persone ne rispetto per le sofferenze o le fatiche altrui ,  d'altronde , molti di voi non sapevano dove erano le proprietà e ancor meno conosceva i confini dei possedimenti ,l’organizzazione dell’impresa feudale , i rapporti contrattuali .  A voi bastava intrattenervi una volta l’anno con un ristretto manutengolo   di gabelloti   che, come  i più feroci aguzzini, avevano più rispetto e attenzione o cura per il proprio cavallo che per il povero contadino . E che dire dei sovrastanti? Una milizia  privata , decisa a far rispettare  con ogni mezzo le regole da voi scritte . I poveri   contadini affamati ,si scannavano tra di loro , rialzavano il terraggio  per aggiudicarsi un pezzo di terra su cui seminare e  poter sfamare la famiglia. Non possedevano la semente ,perciò veniva anticipata  dai vostri affittuari prevaricatori ,che  qualche giorno prima la inumidivano ,per aumentarne il volume o la trattavano col solfato di rame per impedire che il contadino ne sottrasse qualche pugno per sfamare i propri figli!  .”
 Don Fabrizio aveva cambiato espressione ,il viso divenne paonazzo,  arcuò le sopraciglia , guardò con disprezzo  questo borghesuccio di un piemontese che, ricambiava la sua ospitalità con insulti e aveva l’ardire e l’arroganza   di offendere la più alta e  nobile aristocrazia  siciliana . Si penti amaramente di  averlo ospitato  in casa propria! Tentò  tuttavia di mantenere un contegno “nobiliare”  e cercò di spiegare all’ignorante messo piemontese  che quel tipo di ordinamento colturale  , ovvero la coltivazione estensiva  e l’impresa di tipo latifondista erano le soluzioni più razionali  che una agricoltura poteva esercitar in quel contesto, anzi l’unica che  meglio potesse rispettare il suo difficile  rapporto con la natura e l’ambiente .
 “ Sono secoli e secoli, fin dai tempi dei romani ,che restano validi nei nostri terreni questi ordinamenti ,queste coltivazioni, sono sistemi colturali consolidati da tempo immemorabili , sono dettati dal contesto agro-ambientale” disse quasi seccato, il principe di Salina .
Chevalley capi che aveva esagerato , ma non accettava le furberie mistificatorie  di un rottame della vecchia, decadente aristocrazia isolana   che era stata  ed è la vera causa delle disgrazie della Sicilia e dei siciliani onesti . Perciò decise , a costo di farsi cacciare a pedate dai servi del principe, di dire, fino  in fondo, la “sua “ verità . quello che sapeva, aveva sentito ed aveva costatato in quei pochi mesi che si  era trasferito in Sicilia.
“ No  principe , può darsi che il carattere dei siciliani sia stato segnato dalle vicende che Lei ha descritto ma  il dramma”oggettivo” di questa terra  in parte sta’ nella sua posizione e ancor più  nella sua  “dimensione” :Questa vostra ,purtroppo, è una isola né ,tanto piccola, da passare inosservata, ne tanto grande da potersi organizzare come stato autonomo e indipendente . Perciò il suo destino è stato di subire il perenne dominio di altri popoli, quasi una  vocazione a passare di mano in mano. Ma voi l’avete favorevolmente sfruttata  a vostro fine e  favore,  fu anzi, una abile arma in mano vostra che vi ha  consentito di veicolare il dissenso sorto  per i  tanti soprusi e  ingiustizie  subite dalla povera gente, indirizzandoli ora verso gli imani musulmani, poi i francesi ,dopo gli aragonesi ora i piemontesi . I poveri “grulli” siciliani credevano di cacciare gli usurpatori ,i dominatori , di essersi liberati  dagli oppressori, ma la vera causa dei loro mali eravate e restate voi. Li menavate  per il naso, eravate sempre voi  a condurre le “danze”  , tante  che  se qualche regnante straniero , osava mettere in discussione i privilegi feudali della classe  baronale ,eccoti  serviti in tutte le salse:  i “vespri siciliani “ !. E cosi per secoli avete gabbato il popolo siciliano,  piegato la storia  ai vostri intenti , scrivendola a vostro uso e consumo  .
 Ora debbo stare a sentire queste baggianate che Lei descrive come  fossero “acute”  analisi sociologiche o addirittura riflessioni “filosofiche” : i siciliani dormienti , onirici,  immersi nell’oblio , l’immobilità voluttuosa , il desiderio di non cambiare, la pigrizia ,l’indolenza ..il desiderio di morte :
 tutte frottole , tutta retorica, sofismi a buon mercato.  Buon per voi, per continuare  a campare sulle spalle dei poveracci”!.
Questa volta chissà quale santo trattenne il principe  dal chiamare i servi e cacciare questo cialtrone!  Si   era amaramente pentito di averlo accolto in casa propria, meglio lasciarlo ospite della  penosa  e squallida  locanda-spelonca di Zzu Menico!
Se è vero che i piemontesi sono falsi e cortesi , dov’è era la gentilezza? Nella sua vita non aveva incontrato un  individuo cosi insolente e irrispettoso ! Tuttavia era curioso  ,desiderava vedere dove  andava a parare il piemontese.
Chevalley  vistosi non interrotto  ,riprese  fiato ,ma stranamente cambiò tono :
 “ Eccellenza, non me ne abbia,  ho solo detto quello che ho letto, che so , che penso ed ho visto in questi giorni  di mia permanenza in Sicilia, ma vorrei , se Lei ha la bontà di pazientare un po , di esporre un mio sogno, uno strano sogno che ho fatto lungo la strada che mi conduceva  da Lei.
 Ad un certo punto la strada da Agrigento  diviene piana e confortevole si sentono meno gli urti e scossoni , perciò mi sono appisolato e non so per quanto tempo mi sono addormentato. Ma ho fatto un  sogno  stravagante  che vorrei raccontarglielo.
Sempre seduto nella vettura mi sporgo dal finestrino e come per miracolo vedo il paesaggio agricolo radicalmente mutato , quasi irriconoscibile. Le docili colline  che come larghe terrazze degradavano verso mare interrotti dall’alternanza  di  vallate e promontori , erano coperte da una rigogliosa vegetazione . Non più aridi e brulli , desolate distese di palme nane, ma  si coprirono pian piano quasi  per miracolo  ,di verde , pare fossero filari di vigna ben allineate e perfettamente in riga  ordinate secondo un precisa linearità geometrica , . Sulle sommità spuntavano fabbricati rurali  , casette pulite  circondate da alberi e ogni sorta di vegetazione , che rendeva il paesaggio quasi simile a quello toscano. Poi ad un tratto vedo un frutteto non so se pereto o altro genere di frutta , non aveva più le foglie, siamo a novembre!  ma ben tenuto , pulito con alberi tutti della stessa altezza e dimensione. Subito appresso seguiva un oliveto  con piante non molto grandi con la fronda piegata dalla carica di olive , tra gli alberi scorgevo donne e uomini intenti alla raccolta. .  La campagna pullulava di vita  voce gioiose di ragazzi si espandevano nelle vallate  I terreni seminativi erano una esiguità , come pure i sulleti e gli appezzamenti destinati alla fava. Ma ciò che mi lasciò estere fatto fu la vista di molti terreni coltivati ad arance , con i frutti che cominciavano a colorarsi di giallo-oro  E poi  ogni tanto  laghetti colmi di acqua negli impluvi delle colline vedevo dei specchi di acqua,  e sotto tutta una vegetazione lussureggiante
Ad un tratto  dopo una curva vedo un anziano contadino che riempiva la borraccia da una strana fontana, da  cui usciva un zampillo di acqua continua . Un arco sovrastava questa strana fonte e sopra c’era una scritta stravagante “ERAS”.  Curioso decisi di fermarmi e chiedere delucidazione  “Buona giornata a voi , buon uomo ,ditemi ,sono queste le terre del feudo del principe Fabrizio di Salina?  E questa sigla che vedo scritta la sopra appartiene forse ad un altro proprietario?” Il povero uomo si  guardò intorno  stupito , quasi a chiedersi : “ma questo da dove viene? “ Il contadino si fece avanti e con modi gentili mi propose di dissetarmi  che prontamente feci . L’anziano contadino  si appoggiò al muretto e con calma e naturalezza  mi disse che quelle terre erano sue e dei suoi fratelli da più di mezzo secolo e continuò:
“Voi siete certamente un forestiero e non conoscete le vicende di queste terre
 Mio nonno e il padre di mio nonno lavoravano nel feudo di questo principe  ,don Fabrizio  ,  mio nonno  mi raccontò che lo aveva visto una  sola volta  perché passo, per puro caso dalle nostre parti, mentre andava a caccia. Tutte queste terre erano sue fino a perdita d’occhio , anche se ogni tanto ne vendeva un pezzo… che puntualmente comprava don Calogero , mi pare Sedara, la cui figlia “stranamente “ andò in sposa al nipote del principe, tale Tancredi. A quei tempi la vita era impossibile ,ogni tanto c’erano rivolte per la fame ,mio nonno si ricordava dei fasci , del tentativo di organizzare i contadini  per le affittanze collettive, poi l’ondata migratoria, la guerra , il fascismo, e poi di nuovo la guerra . Ma questa volta le cose cambiarono. Occupammo queste terre. La mattina presto il paese si svuotava tutti, a piedi e in groppa ai muli  ,con le bandiere rosse occupammo questo feudo  . Insomma con le buone o con le cattive riuscimmo a strappare queste terre al principe. Prima erano tutte lande desolate si coltivava solo grano e un po’ di foraggio per nutrire l’asino o il mulo non c’era un albero , le sole fontanelle o abbeveratoi erano alla periferia del paese. La scritta che Lei legge sta per  Ente per la Riforma Agraria in Sicilia . Se  ne sono mangiati soldi ! Ma qualcosa, come vede, è rimasto! . Deve sapere che in  questi luoghi ,quando li possedeva il principe “gattopardo”,erano  quasi  sempre inaccessibili per la malaria  perché nella zona bassa ristagnava  acqua paludosa – e i contadini si avventuravano come scheletri umani per raccogliere la palma nana .Ora si  trovano aziende che praticano l’agriturismo , gente della città che trascorre le sue vacanze in campagna . .Ma la  più grossa novità di queste zone sono state  le dighe. Deve sapere che qui da noi piove forte e violentemente e per poco tempo , e l’acqua si perde tutta a mare. Invece cosi la raccogliamo in questi grandi invasi e l’utilizziamo nei mesi siccitosi: l’estate non è più un inferno ne per gli animali ,ne per gli uomini ,ne per le piante!  “
Non credevo ai miei  occhi e meno che mai alle mie orecchie: la terra ai contadini? La terra a chi la lavora? Ma questi sono pazzi, questi “gratta terra” divenuti proprietari…!
 Il vecchio , vide il mio viso sconvolto , non comprendeva il mio stupore, perciò mi chiese  da  quale paese  venisse. . Io rimasi imbarazzato, non sapevo che dire ,cosi risposi  che venivo …dal secolo passato!. Fortuna volle che la carrozza prese un  grosso ciottolo  che la fece sobbalzare  e  cosi mi  svegliai ,  tornai alla realtà”
“ Che  minchia  di sogno  avete fatto” disse seccato don Fabrizio