martedì 31 gennaio 2012

La LURSS tra le buone pratiche in rete



La competitività del sistema agro-alimentare attraverso il miglioramento e la tutela della qualità della produzione e della sicurezza alimentare.

 La LURSS - Libera Università Rurale Saper&Sapor - rappresenta l'evoluzione su scenario europeo  di un Villaggio di idee  e del Laboratorio di neoruralità, la cui  mission e vision sta plasmando il necessario dialogo fra la conoscenza dell'imparato" e "la conoscenza delle esperienze", tra teoria e prassi, tra riflessione e azione. Il progetto di Università Rurale prende le mosse dalla programmazione comunitaria 2007-2013, attraverso cui intende recuperare principi della sanità e qualità degli alimenti, rispetto dell'ambiente, difesa del paesaggio e del patrimonio agricolo colturale e culturale.
Recentemente l’iniziativa ha avuto un lusinghiero riconoscimento, è stata inserita tra le buone pratiche in rete,  della rete rurale nazionale, portale del MIPAAF.

lunedì 30 gennaio 2012

CONSUMO ETICO E RESPONSABILE: TRA UTOPIA E REALTA’


Un nuovo tipo di economia è possibile?  Un’ economia che - come sostiene Amartya Sen economista e premio Nobel  nel 1998, - al valore della ricchezza aggiunga anche la felicità, un concetto diverso dal benessere. Una persona è più ricca di un’altra quando è più felice e ha ottenuto una migliore qualità della vita; la qualità della vita diviene quindi una variabile algebrica nei calcoli economici. Il mercato è vero mercato quando non produce solo ricchezza ma soddisfa anche attese e valori etici.

Tutti conoscono il commercio equo e solidale, moltissimi ne parlano, tanti lo praticano quotidianamente. Ma quanti di noi sanno dove è nato? E quando? E cosa sono i Gas? E i Res? Sconosciute sigle chimiche? No, piuttosto soggetti  economici tradizionali (commercianti, produttori, persone) che operano in maniera rivoluzionaria.  Perché il mondo si cambia a partire dalle busta della spesa
Se il gas vi fa pensare a qualcosa di nocivo o inquinante cambiate  idea. In questo caso GAS sta per “gruppi di acquisto solidale”. Il primo GAS vero e proprio nasce nel ‘94 a Fidenza (Reggio Emilia). Oggi esistono   183 GAS nel nostro Paese, alcuni autonomi, altri collegati tra loro, una vera e propria “rete di acquisto solidale”.  I prodotti acquistati devono provenire da piccoli produttori locali (che si conoscono direttamente, riducendo così anche l’inquinamento e lo spreco di energia dovuti al trasporto) e devono essere biologici ed ecologici. 
Ogni GAS nasce autonomamente, ma alla base vi è sempre una sorta di critica verso l’attuale modello di consumo e di economia globale dominante, e, parallelamente, la ricerca di un’alternativa immediata a tale modello. Chiunque entri a far parte di un GAS, capisce di non essere più solo nella pratica del consumo.
Ogni prodotto è avvolto dal fascino della terra da cui proviene e ne racconta la storia, racchiudendo in sé arti antiche e tradizioni uniche. Il prezzo di tutto questo? Equo e solidale, appunto: tutela i produttori e dei consumatori  garantiscono giustizia commerciale, né sfruttamento né beneficenza.

  Il CEeS (commercio equo e solidale), o Fair trade, secondo la dizione anglosassone adottata a livello internazionale, nasce in Olanda negli anni Sessanta per poi diffondersi in tutti gli altri paesi europei.Il principio di fondo è quello di garantire un compenso equo e servizi socio-sanitari ai piccoli produttori dell’America latina, dell’Africa, dell’Asia e dei Paesi dell’Est. Tutti i prodotti del CEeS sono corredati di una scheda tecnica che ne spiega le caratteristiche e illustra i passaggi economici intervenuti. In tal modo i consumatori possono conoscere in piena trasparenza le spese che hanno determinato il prezzo di vendita.L’uso delle materie prime e le tecniche di produzione tengono conto della salvaguardia dell’ambiente e della salute di produttori e consumatori.  
Nata da un’idea della Rete di Lilliput, la RES (Rete di Economia Solidale) ha presto ottenuto il sostegno di numerosi soggetti del vasto mondo dell’equo-solidale: Botteghe del Mondo, GAS, cooperative sociali, associazioni di finanza etica e di turismo responsabile. La Res promuove un nuovo modo di fare economia che non ha nel profitto e nella speculazione i suoi principali obiettivi, ma, piuttosto, tende a creare un rapporto diretto tra produttore e consumatore nel rispetto dell’ambiente e delle persone. Organi primari dalla Res sono i DES (distretti di economia solidale). I neonati Des, la prima iniziativa risale agli ultimi mesi del 2003, sono gruppi costituiti da soggetti economici tradizionali (clienti, commercianti, produttori, finanziatori etc.) che operano e sono presenti sul mercato in maniera rivoluzionaria. Il meccanismo messo in atto prevede la costituzione di distretti, per l’appunto, in cui le operazioni di compra-vendita avvengano secondo i principi primi dell’equo-solidale: giustizia sociale, sostenibilità ambientale e valorizzazione del territorio. 

giovedì 26 gennaio 2012

“ Chi sta fermo ,va; chi va, sta fermo”


( massima buddista)
                                                                           di Giuseppe Bivona
Ciao Alice,
Per i lavori agricoli , questo tratto di autunno non è particolarmente impegnativo  Cosi  oggi mi sono fermato a parlare con Domenico, il mio vicino di campagna, un giovanotto di ottant’anni che ancora cura la sua proprietà, in azienda accudisce una mezza dozzina di mucche  e non intende ritirarsi in paese ad “oziare” come fanno tanti suoi coetanei. Parlando del più e del meno,una cosa mi ha incuriosito : non ha mai viaggiato non è  uscito dal paese, se non un paio di volte per andare a  Palermo ,di cui uno, per il giro di nozze e qualche altra volta a Trapani  all’Ispettorato Agrario. Possibile, mi chiedevo che non abbia avuto mai il desiderio di  viaggiare ,conoscere altri luoghi svagarsi…..e mi veniva in mente tua cugina, si, quella che tu mi raccontavi  che quest’anno si era  “fatto “ il Bali, il Messico e l’Argentina  e stava partendo per lo Ski-lanka . Ha già pronto il programma abbastanza nutrito per li prossimo anno!
Io ,se non ricordo male,  obbiettai  che questo “turismo di massa” sembra   un moderna transumanza è l’esigenza di viaggiare  spesso nasce dall’insoddisfazione dei luoghi ( che ovviamente, non sono luoghi) in cui si vive. Ma tu ,morbosa girovaga ,non eri affatto d’accordo  e sostenevi che  da sempre le classi sociali benestanti  hanno soddisfatto il loro bisogno di conoscenze  viaggiando , senza sentirsi a disagio  nei luoghi di residenza abituale. Ora io non so quale sia l’”anomalia”, se il mio amico Domenico o tua cugina ,ma cercherò di comprenderne le ragioni  o le motivazione profonde che inducono la stragrande maggioranza di noi  a riempire il tempo libero  che può essere un breve periodo week –end o delle ferie estive  o ancor più  per i pensionati più facoltosi , l’intero anno . Per i più che lavorano  serve a  “staccare” attraverso lo svago oil riposo  indirizzandosi verso i luoghi di “ vacanza” ,“città d’arte” , luoghi di villeggiatura , insomma l’industria turistica  ha ideato un articolato  apparato  per riempire il tempo libero  dell’uomo contemporaneo  In poche parole   si tratta di  utilizzare e consumare  determinati “oggetti”  ambienti naturali o urbani ecc  con un modello tipicamente “consumistico”. Del resto basti pensare alle espressioni che usiamo ne definire “patrimonio”,” beni” culturali,  “valorizzazione” di un territorio o di una città , ovvero oggetti di consumo al pari di tutti gli altri  che quotidianamente ci relazioniamo nella nostra vita .
Altronde le bellezze naturali ci sono sempre state, le comunità hanno sempre vissuto  lungo le coste ,le montagne, le città sono state sempre abbellite di opere d’arti e monumenti  ma prima dell’avvento  della società tecno-consumista  a nessuno era venuto in mente  di riempire le spiagge di ombrelloni  o le montagne di piste da sci  od organizzare visite guidate a chiese e monumenti.
Ma torniamo ai nostri “protagonisti”
Il mio amico Domenico non ha le necessità  di “evadere”   come di certo sente il bisogno tua cugina,  il mio amico contadino  ha un rapporto diretto  con la bellezza e il piacere , perché  sono intrinseci, strutturali all’”oggetto” stesso  Lo stesso  si potrebbe dire per le città d’arte : Le chiese non sono state costruite  per soddisfare il bisogno turistico ,o se vuoi  anche  culturale. La chiesa gotica o barocca era vissuto dai contemporanei  in tutta la loro “bellezza “ intrinseca ,ontologica  con un rapporto coinvolgente e totalizzante con la fede di quel tempo, ma che  oggi è profondamente estranea  alla visione e all’esperienza dell’uomo moderno  e non può che porsi di fronte a queste realtà con un approccio  strumentale e consumistico .Il bisogno di turismo, di viaggiare, di spostarsi continuamente ed evadere  oggi sembra più impellente  , proprio in coincidenza di “assenze di prospettive”  di interessi autentici  che la tua amica appena smette di lavorare  e si trova a disposizione il vuoto  , anzi ,scusa il “tempo libero”.  Non riuscendo a rapportarsi  con valori di riferimento certi e saldi  non le resta che riempire il vuoto interiore  tramite il consumo di oggetti “esterni” , recandosi in altri posti  ,visitando nuovi ambienti  ,che la distraggano dalla noia . In buona sostanza è una vera e propria fuga da quella che dovrebbe essere la nostra casa ,i nostri affetti , i nostri interessi , le nostre radici . Non si spiega diversamente perché tua cugina non perde occasioni  per abbandonare la sua “casa” se non perché vive in una città  alienata e spersonalizzante, dove è stata “gettata” ,costretta a viverci  solo fisicamente e giammai umanamente ed affettivamente    
La megamacchina  produzione-consumo   ha assoldato  il turismo che è divenuto  un prolungamento ,una estensione  dello shopping in cui siamo immersi ogni giorno , le sole con la quale sappiamo riempire il vuoto del tempo libero quotidiano  Una volta  ,quando la vita  era fondata su orizzonte di senso saldo e condiviso  di cui la propria casa e la propria città  costituivano il”centro”  ovvero le radici dell’identità stessa  di ciascuno, il tempo libero era usato proprio per conoscere , vivere ed apprezzare meglio e più profondamente  il “luogo”  con le sue relazioni e i suoi affetti  e di certo nessuno  aveva voglia di scappare
Se posso azzardare un paragone tra il mio amico Domenico e …musulmani   i quali sono più refrattari ad aprirsi al turismo  ovvero a viaggiare o  a fare delle loro città  o del loro territorio  “località turistiche”.Ciò perché orientando ,i musulmani la loro esistenza su valori e punti di riferimento forti che appagano pienamente il loro bisogno di senso anche a livello di vita quotidiana , non c’è alcun interesse a cercare altrove , in giro per il mondo ,quello che noi occidentali abbiamo perso ,a casa nostra ,dentro di noi . Lo noti bene come  considerano assurdo e blasfemo “ visitare” una moschea  e come  guardano male  i turisti curiosi !
In questo nostro mondo di turismo globalizzato,la cosa singolare è che più aumenta il vuoto,la noia,l’insensatezza della nostra esistenza e con questo il grigiore, la bruttezza  ,la mostruosità dei luoghi dove siamo costretti a vivere ….più cresce la voglia di partire ,scappare ,fuggire . Lo senti sempre alla televisione .Chiede il conduttore di quiz la solita, noiosa domanda  ” Se vince questa bella cifra cosa farà?”  e l’altro pronta la confezionata risposta:” Farò un bel viaggio!”  Non sa bene  dove, perché, per fare qualcosa . L’importante è partire e ritornare carichi di fotografie e filmati  per poi mostrare , agli amici come fossero trofei.
Eppure c’è un viaggio che può dare senso alla nostra esistenza : diceva Goethe” fare un viaggio non vuol dire vedere nuovi posti , ma avere nuovi “occhi” . Si, occhi  con i quali tornare a guardarci  innanzitutto dentro di noi e a guardare negli occhi chi ci sta vicino. Occhi che ci guidano  alla scoperta di noi stessi e di chi ci circonda

martedì 24 gennaio 2012

Dieta o diaita?

ninosutera
Dieta Mediterranea o Diaita?
ovvero  stile di vita mediterraneo 

Il termine dieta viene comunemente associato ad un regime alimentare, di solito privativo e restrittivo, volto a perdere peso. Sarebbe importante invece riportare il termine dieta al suo significato semantico, ossia al termine greco "diaita" che tradotto vuol dire stile di vita, in questo modo forse si riuscirebbe a vedere la dieta non più come qualcosa di negativo ma come la giusta alimentazione, o meglio ancora il giusto stile di vita che si dovrebbe seguire per godere di una buona salute e di una buona forma fisica. Certo è innegabile che in alcuni casi particolari può essere necessario seguire per un certo periodo una dieta dimagrante, ma è certo che se tutti imparassimo a seguire una dieta sana con maggior consapevolezza e costanza non sarebbe necessario stressare continuamente l'organismo con periodi di abbuffate e periodi di restrizione perchè attraverso una dieta variata ed equilibrata e mantenendo il corpo sano e reattivo è molto più facile mantenere la linea senza troppi sacrifici
Lo“stile di vita mediterraneo”   ha radici antiche, nel modello storico della “civiltà classica” che si contrappone alla“civiltà barbarica”; stimolante perché si è evidenziato come questo modello abbia generato, nei secoli, uno stile di vita che ha arricchito la storia mondiale di conoscenze e di arte.  Cosa c’entra la “dieta mediterranea” con ciò? Noi siamo quello che mangiamo, la dieta mediterranea alimenta gli individui non solo di cibi semplici e sani ma anche di valori legati al territorio, alla convivialità,all’ambiente. È una “diaita”, una scelta, una disciplina di vita è la pratica di un’arte: il “savoir faire” basato sulle conoscenze e sulle tradizioni che spaziano dal paesaggio alla tavola attraverso saperi, sapori e odori che si ritrovano nei luoghi, negli uliveti come nei mercati, nelle piazze e nei luoghi di incontro gastronomici e personali, dove si sono sedimentate culture e tradizioni di tutto il bacino del Mediterraneo. Il Mediterraneo, questo mare che ha ispirato e cullato grandi poeti,artisti, filosofi, maestri di vita, a cui gli americani attribuiscono la responsabilità di “dividere” l’occidente dall’oriente, in realtà “unisce” in una vasta regione grandi paesi che condividono i frutti del modello del sano vivere, il cuore di una cultura che si è diffusa in tutto il mondo. Tutti concordi sul fatto che l’obesità sia una pandemia che riflette profondi cambiamenti culturali avvenuti nella nostra società, questi cambiamenti hanno creato un ambiente che promuove uno stile di vita sedentario e il consumo di alimenti ad alta densità energetica e ricchi di grassi, spesso idrogenati. Le nostre regioni del sud sono state la culla della “dieta mediterranea”,oggi sono le regioni in cui l’obesità infantile è più diffusa: 36% contro il 16%di Lombardia, veneto e Piemonte. Si sono allontanate dal modello mediterraneo per aderire ad un modello americano. Gli ultimi 40/50 anni sono trascorsi all’insegna della promozione di uno stile di vita improntato al modello americano, mentre gli americani erano impegnati a copiarci il nostro stile di vita: nel 1958 Ancel Keys cominciò a studiare lo stile di vita culturale e alimentare che consentiva alle nostre popolazioni di vivere meglio, più a lungo. Fece conoscere la “dieta mediterranea” e la diffuse come lo strumento più idoneo per vivere sani. Il TIME dedicò una copertina a lui e alla sua scoperta, la dieta mediterranea, la NOSTRA “diaita”, il nostro stile di vita: i nostri magazine pubblicano altro sulle loro copertine … Eppure se la merita, la copertina, la nostra dieta mediterranea: produce un miglioramento del 10% nelle malattie cardiovascolari, un miglioramento del 6%nelle malattie oncologiche, un miglioramento del 13% nelle malattie neurovegetative, riduce dell’8% la mortalità, nel 2010 è stata proclamata patrimonio culturale dell’umanità. Se pensiamo che ogni anno le cure mediche per obesità e patologie conseguenti, costano al nostro paese 28miliardi dieuro!!!! (per ospedalizzazione il 64%, per diagnostica il 12%, per farmaci il7%, per visite  il 6%, per altro l’11%) eche 2/3 di tutti i decessi sono dovuti a patologie inerenti la nutrizione. Essendo uno stile di vita, una cultura, la dieta mediterranea non può essere praticata se non come fatto culturale legato al luogo, i nostri territori sono parte integrante della “diaita”, con la loro storia e la filosofia di vita che hanno ispirato.  Gli elementi fondamentali sono rappresentati da una triade + 1: Olio Extra Vergine di Oliva,Vegetali, Cereali, + vino.  Premessa fondamentale: si parla di alimenti da produzioni artigianali, che rispettano i valori nutrizionali attraverso pratiche di coltivazione e lavorazione “gentili”; i nostri avi non utilizzavano mezzi meccanici, la coltivazione e la lavorazione delle materie prime è ingrediente culturale della“diaita”.  Caratteristica tipica è il rispetto della stagionalità e della conservazione naturale (sotto sale e sott’olio) dei prodotti: l’inverno ha le sue verdure che non sono pomodori e peperoni, come d’estate non sono i cavoli ei carciofi. Il rispetto della stagionalità garantisce l’apporto delle vitamine nelle forme più adatte al nostro fisico nel periodo determinato (es.: la vitamina C così come è presente nei pomodori fa bene d’estate, d’inverno la vitamina C è da assumere nella forma offerta dagli agrumi).

Un confronto tra i modelli alimentari, quello europeo fortemente influenzato dalla cultura classica mediterranea e quello americano fortemente influenzato dalla cultura anglosassone:

Europa
America
Equilibrio
King Size
Regular
Large
Slow Food
Fast Food
Dieta Mediterranea
Mc Donalds
Organico
Industrializzazione
Regionale
Globalizzazione
Fresco
Conservato

domenica 22 gennaio 2012

Dalle rivolte,alla lotta di classe,alla….rissa con i forconi


di 

Giuseppe Bivona

 

Nella nostra lunga storia siciliana  le rivolte si  sono sempre concluse in una beffa , non siamo mai stati capaci di fare una rivoluzione: ci manca il temperamento).  Non perché  i protagonisti, non ne comprendevano il motivo di fondo,  le  soverchie ragioni  dell’intollerabilità  delle condizione umane , ma  perché non si colpiva mai il “nemico”, il vero centro del potere . Masse diseredati ,affamate di pane e di giustizia,  che si prodigavano in un donchisciottesco assalto ai mulini a vento. “Come “ rivoltarsi non era un problema ,le stesse circostanze oggettive suggerivano sia i mezzi che le tattiche. “Contro chi” fu meno chiaro : il sovrano, ,il baronato, la cricca di notabili che spadroneggiava. Ma il “Perché” rivoltarsi  e cosa sostituire , non ebbe mai una risposta esauriente .
C’era sempre un usurpatore da detronizzare,un torto da vendicare, una ingiustizia da sanare . Detronizzato l’usurpatore,evitato il torto,sanata l’ingiustizia, le masse che avevano partecipato al movimento ,potevano ritornare al proprio lavoro , mentre il prezzo del sangue sparso era un nuovo signore e la speranza di un trattamento migliore.
Finché,  un bel  giorno  arrivò  Carlo Marx, il quale ,spiegò loro che se volevano uscire dalle condizioni di masse “de force” ,  indifferenziate e di “manovra”  dovevano prendere coscienza di  se medesimi, ovvero come“classe”
Cosi  per tutto il novecento le classi dei lavoratori  divennero “soggetti di storia”, protagonisti  di lotte per affermare i propri diritti e la presa di coscienza  significò  la consapevolezza che la ricchezza accumulata  dai padroni era il frutto del loro lavoro . Il plusvalore  incorporato nelle merci non era uno strano  evento soprannaturale ,ma la “cristallizzazione” di umana fatica ,di sudore e sangue sottratto dall’avidità dei padroni sulla pelle dei poveri lavoratori.
Paradossalmente questo secolo di lotte, scioperi, occupazioni , si svolse in un contesto tutto sommato semplificato: era abbastanza chiaro che da una parte ci stavano i padroni,sfruttatori e sanguisughe e dall’altra i lavoratori ,operai ,braccianti, contadini oppressi e sfruttati
Nella seconda metà del novecento le cose però si cominciarono a complicare .
Il diffuso benessere del mondo occidentale permise una trasformazione inimmaginabile  delle nostre abitudini ,dei nostri consumi . L’aumento della “portata” –termine  con il quale viene indicato il massimo carico di una specie in un determinato ambiente – umana sul nostro pianeta , grazie alla disponibilità del petrolio  ha permesso di disporre quotidianamente di energia equivalente al lavoro  di cinquanta persone  per 24 ore al giorno.
 Di fronte a tanto benessere  le nuove  classi di “consumatori”  hanno avuto un duplice  atteggiamento: da un lato un visione fideistica nei confronti della “modernizzazione” e dell’innovazioni tecnologiche e dall’altro  la sempre minore propensione al “risparmio” giudicato un retaggi obsoleto  della cultura contadina
 Ma cosa sta accadendo oggi in Sicilia?
“ Tutti a casa, se ne devono andare questi politici” gridava il novello Masaniello dal suo megafono di fronte ai rivoltosi, il  capo dei rivoltosi del movimento dei Forconi .E come dargli torto : un mazzo di carciofi di 20 capolini euro 1 (uno), un chilo di arance 15 centesimi, idem per i limoni, il grano a 18 centesimi  e cosi per tutte le produzioni agricole e zootecniche.
I trasportatori che di fatto avevano realizzato i blocchi stradali,avevano ragione da vendere: per traghetta a Villa San Giovanni  pagano 280 euro e il gasolio non arresta la sua corsa al rialzo.
Ora, ammesso , che cacciamo questi nostri politici appartenenti a tutti i partiti e di qualsiasi colore  ,  con chi li sostituiamo?  Sono davvero i politivi la causa dei loro “mali”?
 Quelli che verranno hanno le idee chiare ? e gli stessi  componenti il movimento de Forconi  come intentono uscire dalla crisi.
Abbiamo l’impressione che a fronte di una economia globalizzata ,complessa e articolata  nel sistema finanziario faccia riscontro una semplicità di analisi dei soggetti che rasenta la “banalità”
Facciamo un esempio.
Il prezzo dei carciofi è vergognosamente “vile” perché?
a)    Da qualche anno i coltivatori hanno introdotto una varietà , proveniente dalla selezione migliorata del violetto toscano ovvero il “tema2000”. Questa  varietà ha la capacità  di svolgere il suo ciclo produttivo in soli tre mesi, con raccolte bisettimanali, assenza di aborti dei capolini,mancanza di sviluppo di carducci in piena fase produttiva .Si stima che un ettaro produca 70.000- 80.000 capolini(…. e poi dicono che l’abbondanza non  ha mai fatto carestia!)
b)    Le condizioni climatiche degli ultimi mesi dell’anno sono stati particolarmente  miti  cosi lo sviluppo produttivo  delle carciofaie fu particolarmente spinto, inondando i mercati di fiumare di capolini. La risposta del consumatore all’abbassamento dei prezzi non è sempre “razionale” sembra rifuggire dall’abbondanza e dai prezzi….troppo bassi!
c)    La tecnica colturale acquisita dai coltivatori  ormai consente di gestire le carciofaie  con la massima razionalità  ed efficienza.
d)    I  paesi del nord Africa ed in modo particolare l’Egitto a seguito delle imponenti opere irrigue, destinano sempre più superfici ad ortaggi tra cui il carciofo, il quale si avvantaggia delle condizione climatiche inverali che in quelle zone sono  assai più favorevoli delle nostre.
e)     Il consumo di carciofi ha raggiunto  un buon livello e ci sono scarse possibilità che si possa incrementare di molto la domanda
Ebbene,  c’è qualcuno che sia in grado di proporre una possibile soluzione?
Siano ormai  irretiti in una trama sempre più intrigata. La politica opera le sue scelte, chiedendo conforto all’economia ma questa fa affidamento alle innovazioni tecniche  e tutto finisce sotto le ferree leggi del mercato .questo signor “Nessuno” che con la sua mano invisibile decide il destino di tutti noi! 

martedì 17 gennaio 2012

Le risorse immateriali e lo sviluppo locale


di Fulvio Obici
  La sfida di uno sviluppo sostenibile deve essere colta dal livello locale con un approccio integrato, creativo e fortemente inclusivo - dal punto di vista culturale e sociale, ma soprattutto senza ideologismi e/o derive autoreferenziali, la pena: la perdita secca di credibilità e reputazione agli occhi del singolo cittadino e dei vari gruppi di interesse coinvolti e/o da coinvolgere nei processi locali.
In tale prospettiva di consapevolezza, le iniziative e le azioni riguardanti la costruzione della competitività sostenibile di Impresa e di Territorio devono far leva sul bene relazionale come una delle condizioni essenziali, richiedendo uno continuo sforzo concertato tra tutte parti interessate anche sull’istituzione più immateriale e pur più efficace: il linguaggio.
Lo stesso termine “locale”, pertanto, deve essere attualizzato nel contesto dei fattori che caratterizzano le tendenze  su scala sub continentale, continentale o mondiale di glocalizzazione .
“Glocalizzazione” o “glocalismo” è un termine introdotto dal sociologo Zygmunt Bauman per adeguare il panorama della globalizzazione alle realtà locali, così da studiarne meglio le loro relazioni con gli ambienti internazionali. La glocalizzazione ritiene che il fondamento della società in ogni epoca sia stata ed è la comunità locale, dall'interazione degli individui, organizzati in gruppi sempre più allargati, presenti su un territorio. In tale panorama s’interpreta il termine stesso “locale” ri-proponendolo nel presente articolo con il termine più significativo di “glocale”.
L’approccio “locale” quindi deve significare e consistere soprattutto nello sforzo di networking, sicuramente, più ambizioso di quello che normalmente e a volte stancamente si registra nei comportamenti di ogni giorno.
È necessaria una “azione orientata volontariamente” da una visione condivisa e sviluppata sulla base di una altrettanto condivisa e diffusa leadership per farla vivere nell’ottica delle interdipendenze e dell’integrazione e, soprattutto, nella direzione di un necessario “ridisegno” dell’organizzazione dell’economia dello spazio locale – dal punto di vista dei macroprocessi, dell’articolazione in imprese e sistemi di imprese, delle localizzazioni stesse.
Sul piano culturale e sociale, prima ancora che economico sono necessari una serie di interventi e azioni tra loro sinergici, anche caratterizzati dall’essere strutturali, continui e auto-sostenuti dalla società civile e dall’espressione di una loro sempre maggiore propensione alla cittadinanza attiva (cum-sistenza della cittadinanza d’Impresa e di Cittadino).
Lo sviluppo sostenibile e integrato del Territorio è un obiettivo/compito che deve essere assunto responsabilmente da tutta la collettività. Lo sviluppo sostenibile comporta un salto qualitativo generalizzato per fare leva come Sistema Paese sulla necessaria costruzione di una competitività sostenibile sia d’Impresa, sia Territorio, dal livello locale, sub regionale, a livello regionale, nazionale, europeo e globale.
Nell’ambito dei sistemi locali dal punto di vista economico, sociale e politico spesso si trascura il ruolo sia delle imprese perché caratterizzate da una propensione di responsabilità sociale singolarmente virtuosa, sia della partecipazione più diretta e consapevole dell’intera comunità delle cittadine e dei cittadini.
Si avverte nelle esperienze fatte dagli attori e partner dello sviluppo locale di un singolare deficit di informazione, di formazione, di ascolto reciproco, di comunicazione tra e con anche i cittadini nonché di un deficit di “diffusione” di buone pratiche, pur presenti nei territori regionali italiani ed europei.
Lo sviluppo locale deve, invece basarsi, sulle risorse immateriali che sono direttamente il frutto dei comportamenti e dell’agire del talento umano, tra le quali deve spiccare il bene relazionale.
In altre parole, tra l’altro, la cooperazione interistituzionale tra pubblico e privato, condividendo medisime visioni per traguardare strategie di crescita come quella definita dall’UE: la strategia Europa 2020.
La cooperazione interistituzionale fa ottenere importanti vantaggi in tutte le realtà locali e regionali dell’intera nazione, anche per il fenomeno del trasferimento volontario di modelli virtuosi e/o di buone pratiche.
È fondamentale portare al massimo livello possibile lo sforzo dei gruppi di interesse per sollecitare e sostanziare la cooperazione interistituzionale per lo sviluppo sostenibile e integrato del territorio delle nostre regioni italiane nel quadro anche della più generale Strategia Europa 2020 che riguarda la realizzazione di azioni concrete per una crescita intelligente (promuovendo la conoscenza, l’innovazione, l’istruzione e la società digitale), una crescita sostenibile (rendendo la nostra produzione più efficiente sotto il profilo dell’uso delle risorse, rilanciando nel contempo la nostra competitività) e una crescita inclusiva (incentivando la partecipazione al mercato del lavoro, l’acquisizione di competenze e la lotta alla povertà).
Quanto sopra accennato prefigura, in conclusione, un nuovo concetto del “locale”, ovvero, “glocale”, con una nuova prospettiva nella costruzione di uno sviluppo territoriale, sostenibile e integrato, essenzialmente basato su nuovi processi diffusi di auto-responsabilizzazione e dove le autorità locali e le istituzioni economiche locali hanno un ruolo economico fondante da svolgere, ruolo che è indipendente da, o supplementare a, quello del governo nazionale e in una visione unitaria di sviluppo dell’intero Paese. Altrimenti … il declino e/o la decadenza saranno - faranno - i padroni del nostro futuro.


lunedì 16 gennaio 2012

Una singolare vendetta

di 
G. Bivona

“Qui, tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza / ed è l’odore dei limoni”
Eugenio Montale


L’anziano agronomo era ormai giunto alla soglia  della rispettabile età di ottant’anni, e della salute, in fin dei conti, non si lamentava tanto, solo   nel guidare la  vecchia polo   avvertiva ogni giorno di più , che i  riflessi erano sempre  più lenti, meno immediati . Tuttavia quel giorno ,percorrendo la circonvallazione del paese , scorse il vecchio fabbricato  con un particolare  unico e inconfondibile : il tetto delle case era coperto con tegole rosse!
 Si, era la “sua” vecchia scuola agraria regionale,  di mezzo secolo fa ,una sorta di “appendice” , una variante delle innominabili cattedre ambulanti del  passato ventennio.
Accostò la macchina al marciapiede e osservò la struttura ormai fatiscente e degradata ,  circondata da  sterpaglie. Fu colto, in un attimo, dai ricordi , ancora giovane ,fresco di  laurea ,diresse per un paio di lustri  quella scuola . Si, una scuola particola fatta da contadini  che insegnavano ad altri  ….contadini.
Si , avete capito bene, l’insegnamento era affidato a  “praticoni” di sicura capacità , talento pratico  e di riconosciuta affidabilità professionale, capaci di trasmettere  le conoscenze, le sole suffragate dall’esperienza.  Chissà che don Milani, per la sua scuola di Barbiana ,non si sia ispirato a questo modello!
Erano ancora gli anni  in cui non era stata “sfondata” la linea di demarcazione tra città e campagna ,ancora la città non prevaricava più di tanto  e la campagna non si era resa “armi e bagagli” all’arroganza dell’industria, alla sfrontatezza della modernità. Il sapere non  era  ancora disgiunto dal fare!
Cosi nel primo decennio del dopoguerra  gli agronomi sentivano forte il loro rapporto  con la terra ,con la natura , saldi erano i vincoli culturali con il mondo rurale  con il quale  avevano attivato  un proficuo scambio , una osmosi funzionale e consolidata di  conoscenze tecniche a fronte di  esperienze vissute in “campo”.
Queste “scuole “ ebbero però una breve vita, furono liquidate e prontamente soppiantate dalle più funzionali, moderne ,urbanizzate istituzioni:  Istituti professionali per l’agricoltura che si aggiungevano agli Istituti Agrari nati molto tempo prima.
 Fu cosi che il  vecchio agronomo , pensionato anzitempo  si dedicò alla cura e gestione della sua azienda.
Mezzo secolo di storia , in cui le alterne vicende  legate all’agricoltura non avevano comunque mai messo in forse  la sopravvivenza dell’azienda  agricola. La politica agraria con  i suoi altalenanti “indirizzi” ,una volta  orientata verso il sostegno dei prezzi ,qualche altra volta alle strutture , ne avevano sempre assicurato la sussistenza.
Finché un giorno, il nostro anziano agronomo , ricevette la visita di un funzionario  dell’ufficio del lavoro dell’INPS. Costui  con la solerzia di un burocrate ligio al dovere  e fiero di appartenere ad un elefantiaco apparato ,chiede di verificare  la posizione dei suoi operai  agricoli e scava, scava….. trova un “raggiro”  contabile  che durava da diversi anni!
 Insomma il nostro onesto e puntiglioso agronomo, proprietario di diverse decine di ettari di terreno, aveva pagato ,con le evidenze dalle buste paghe, i suoi operai, per la raccolta dei limoni ,con la tariffa di  operai comuni, anziché come qualificati!
Il poveretto  si senti preso in giro, come, si chiedeva rintronato: per raccogliere i limoni  ,un lavoro che sanno fare pure i bambini, si richiede la qualifica? E’ poi con il prezzo degli agrumi che oscilla tra 0’15 e 0’18 centesimi di euro al kilo , non si riesce a pagare neanche la manodopera  per la raccolta e voi mi sindacate questa banalità .!
Ma ,quello  oscuro ,piccolo, insignificante, mediocre ,sbiadito,  funzionario di città   era irremovibile “La legge recita” ripeteva come un disco fermo alle proteste del proprietario.
Dalla compilazione del verbale alla comunicazione delle sanzioni  pecuniarie passarono pochi giorni e la cifra da pagare era elevata , insopportabile anche per un impresa florida .
Tutta “colpa” di quei pochi ettari di limoneto , maledetto il giorno che si convinse ad impiantarlo!. Ma ora era deciso, non c’erano santi che l’avrebbero fermato,la  prossima settimana  con una schiera di operai armati di motosega ,li avrebbe abbattuti tutti, non doveva  salvarne neanche uno … solo una decina di piante per  uso familiare!
Fu cosi che la mattina presto di lunedì con mezza dozzina di operai  si recò nell’appezzamento e diede l’ordine di procedere al taglio dei limoni.
Al suono  delle motoseghe e ai primi alberi abbattuti,  non resistette si avviò verso la sua macchina e chiuse i finestrini. Ma la sua mente  era offuscata  dalla di rabbia  per l’impotenza,   le ingiustizie di questo zozzo mondo, delle palesi prevaricazioni, delle falsità,  della stupidità della gente….
“ Si”, diceva tra se e se “Meritate  di bere  intrugli, beveroni  ,miscugli di  dubbia  provenienza, Coca Cola, Red Bull , limonate industriali, bevande  che di limone hanno appena 8%,  succhi  “ morti” pastorizzati ,sterilizzati, senza alcuna vitalità ,né sali organici né vitamine ….Bevete popolo bue, rincoglionito dalla pubblicità  che vi lusinga facendovi vedere  all’inizio  la frutta fresca ,appena raccolta dagli alberi, ancora bagnata di rugiada , dai colori vistosi e poi …come consumati prestigiatori trasformarsi in  un  fiume di liquido colorato,  reso invogliante, da esaltatori di sapidità che solo la sapiente industria chimica  sa  usare ad arte i componenti da assemblare .
“ Possibile” si chiedeva, il nostro, senza potersi dare pace, “ Che ricercatori, medici nutrizionisti, non dicano  con chiarezza che quella bevanda “ industriale” non ha niente a che fare con il “sacro “ succo del limone fresco!
Possibile che nessuno informi  e convinca questo popolo di scellerati , di otri ambulanti ,che l’assimilazione delle  vitamine ,dei “minerali” contenuti nel frutto avviene nel nostro corpo, solo e solamente, nella sua formulazione “organica”?
Gli operai , proseguivano  inarrestabili nel loro lavoro di abbattimento ,mentre al vecchio agronomo  scorrevano i ricordi degli anni scolastici impegnati a studiare le tecniche di coltivazione dei limoni .
“Che strano” ,disse ,” Una pianta la cui origine fino a poco tempo fa era un mistero, ribelle ad ogni intento classificatorio, col suo “disordine” produttivo che lo vede fiorire e…produrre frutti!”
  Ma la cosa che più lo incuriosiva era la sua “destinazione”  ovvero la sua coevoluzione .
 Non trovava altro animale all’infuori dell’uomo  con cui questo “stano” agrume  aveva interesse coevolutivo. Persino le arance possono essere  occasionale nutrimento per gli elefanti, ma i limoni ,no! Un frutto misterioso che confonde i luoghi i tempi ,i ruoli .  Solo oggi ,grazie allo studio della biologia molecolare ,sappiamo spiegarci  questa straordinaria “anomalia” . Pare che il padre sia  il cedro e la madre l’arancio amaro .
Ormai l’ultimo albero cadde disteso  ,le motoseghe  zittirono , ora regnava un silenzio  funereo.
I vecchio agronomo accese il motore della sua macchina  per avviarsi e sconsolato disse tra se : “ Oggi non sono morti solo gli alberi di limone….e pensare che il padreterno aveva  fatto questa pianta solo e solamente per noi! “

venerdì 13 gennaio 2012

Il mercato dell’agricoltore o del contadino?

di
Giuseppe Bivona 
  Il tempo , per il contadino. era legato alle stagioni: c’era un tempo per la semina, un tempo per la raccolta , un tempo per riposare,un tempo per festeggiare. E’ questo tempo era immutabile.
Il ritmo della vita non si poteva cambiare ,il rapporto con la natura e con i propri simili erano fissati , radicati, ritualizzati nella perenne lotta per la sopravvivenza. Perciò cambiare, sarebbe stato un rischio, una trasgressione. Gli uomini erano immersi ,coinvolti nella natura dalla quale dipendeva tutto.
Per questo erano indotti ad identificarla con una entità suprema,eterna, nei confronti della quale provavano soggezione e gratitudine  e con essa in ogni momento, dovevano vivere in armonia.
( Vittorio De Seta) 

 
Novembre  da noi è di solito il mese più piovoso , ma quell’anno fu particolarmente abbondante:sembrava non volesse smettere. Perciò  Don  Vincenzo  aveva deciso,approfittando dei  giorni di pioggia , non potendo svolgere alcuna attività in campagna, di andare a Palermo per far visita alla sua unica  figliola, che frequentava l’università. La moglie la sera  prima aveva preparato ogni sorta di pietanze, un vero ben di dio, convinta la gna’ Agata  ,che chissà quante calorie consumasse il cervello impegnato  nello studio su quei libri enormi!
La mattina presto, Don Vincenzo prese la corriera e in poco più di tre ore lo condusse dritto  a Palermo. Qui, con il suo voluminoso e ingombrante bagaglio prese  una carrozza che in meno di mezzora lo portò al collegio delle suore dove alloggiava la sua figliola. La suora lo accompagnò  nella stanza dove la figlia condivideva con altre due colleghe .Queste ultime per delicatezza si allontanarono e lasciarono la loro compagna sola con Don Vincenzo. Ma presto si fece l’ora  delle lezioni e l’anziano contadino salutò la figlia e se ne andò. Le due compagne curiose  aiutarono la loro amica a disfare il grosso pacco pieno di ogni prelibatezza paesane. Finché, una  le pose la domanda chi era quell’uomo  anziano, dal viso segnato dalla fatica- di certo un contadino- che le aveva portato il grosso pacco. La ragazza sembrava aspettarsi quella domanda e con naturale franchezza rispose: “ E’ un uomo di fatica di casa nostra”
Siamo vissuti ,e per certi versi viviamo ancora, in un paese  dove la diffidenza , il disprezzo e l’odio per il mondo contadino, hanno dato vita ad una piattaforma ideologica –culturale condivisa dalla generalità delle forze politiche senza alcuna eccezione .L’anatema  della cultura “progressista” per il “villano,bifolco,rustico”  trae  origine  dall’assimilarlo ad “ignorante, zotico, analfabeta”,come espressione di un subdolo interclassismo , se non di un populismo reazionario, di oscurantismo.
Insomma un termine da esorcizzare, quasi una etichetta infamante,da affibbiare  a fini di delegittimazioni sgradite.
Negli anni di maggior “follia” ,sindacalisti, politici ,tecnici,gridavano a squarcia gola: “ Ora non siete più “ contadini” con la schiena piegata dalla fatica, i volti segnati segnati dalla stanchezza…d’ora in poi vi chiamerete “agricoltori” sarete rispettabili imprenditori, a   pari dignità con  le altre imprese produttive.
In questi stessi anni di fervente sciovinismo,la stessa sigla sindacale “ Alleanza Contadina” si vergognò delle sue umili origine e si ribattezzò : “Confederazione  Italiana Coltivatori” . Ma anche questa sigla ebbe  vita breve, la meta era “Confederazione Italiana Agricoltori.
Eravamo tutti impegnati a rimuovere ogni più piccolo residuo di “ruralità” ovunque si nascondesse, abbattere le ultime resistenze, fino ad  interiorizzare nel mondo contadino lo stato di colpa.
 Ma non si chiamava mercato dei contadini ,quello che ho visitato, alcuni anni fa, un sabato a Pisa , mentre girovagavo per la città in attesa del volo per Palermo?
 No, meglio chiamarli  mercato dell’agricoltore, decide  la nostra amministrazione regionale! Diamo così un tocco di professionalità ,di imprenditorialità . I contadini sono un retaggio del passato un mondo in via di estinzione,un ostacolo al cambiamento!
Eppure se qualcuno delle teste d’”uovo” che dirigono l’Assessorato all’Agricoltura si sarebbero preso la briga di leggere ,l’ultimo libro di Jan van der Ploeg “ I nuovi contadini” sottotitolo “ Le campagne e le risposte alla globalizzazione” ci saremmo risparmiati un “penoso” Programma di sviluppo rurale e …la mortificazioni per i poveri contadini.
Van der Ploeg ,professore di sociologia rurale presso l’Università di Wageningen , non usa mezzi termini : gli imprenditori agricoli sono caduti nella trappola del sistema di produzione dominato da duplici interessi: da un lato  l’industria dei  mezzi di produzione( Macchine ,concimi sementi ecc dall’altro dell’impero agroalimentare. Stretti da queste due “morse”   gli imprenditori agricoli convenzionali  sono sempre più stritolati e soffocati senza alcuna possibilità di  salvezza.
I soli che possono opporsi  a questo strapoteri sono i contadini o meglio i nuovi contadini i quali  rifiutano il sistema  di “ mercificazione”  ,ampliano la propria autonomia aziendale e privilegino il valore d’uso delle produzione al valore di scambio.
Il “ valore d’uso” domina nel mercato del contadino , al contrario dal “valore di scambio” del mercato  dell’agricoltore, cosi come le produzioni zootecniche degli allevamenti  intensivi ,razionali  superigenici   non sono minimamente confrontabili con le produzioni  degli eroici pastori le cui produzioni sono  da  sempre caratterizzate “ sotto le stelle”. 
Sono le produzioni  dei contadini , i soli che hanno un rapporto diretto con la terra ,le piante,gli animali, ma soprattutto  con le persone che acquistano e si cibano dei loro prodotti .

giovedì 12 gennaio 2012

Il mondo salvato dai ….contadini

di Giuseppe Bivona

    Da qualche mese è in libreria  un appassionante saggio di Silvia Perez-Vitoria “Il ritorno dei contadini” pubblicato dalla battagliera casa editrice Jaca Book .

Ma come? Ci siamo chiesti stupiti ! Non erano stati sradicati ed espulsi dalle campagne , imbarcati sui bastimenti, negli anni a cavallo tra l’ottocento e il novecento , verso le Americhe, alimentando un flusso migratorio di proporzioni bibliche?
Non ne avevano sterminato abbastanza i bolscevichi  durante e dopo la rivoluzione russa perché controrivoluzionari?.
E le campagne cambogiane non furono trasformate in un vero e proprio “inferno” in cui gettare milioni di” borghesi” da epurare e massacrare, restii ai programmi di rieducazione imposti dalla brillante follia “intellettuale” di Pol Pot ?.
Comunque sia, accomunate dall’ onda lunga della “modernità”, sia  la rivoluzione industriale che le ideologie rivoluzionarie, in nome del sol dell’avvenir, sovvertirono e cancellarono tutto ciò che si legava alla vecchia e vituperata civiltà contadina :dalla famiglia , all’idea di lavoro ,dal risparmio alla gerarchia dei valori ecc Il contadino era l’incarnazione del vecchio , una figura sociale retriva ,restia al cambiamento ,insomma un ostacolo da eliminare  senza indugio , se si voleva costruire l’”uomo nuovo”!
Stranamente ,negli anni del dopoguerra il mondo contadino subì un’eutanasia, apparentemente indolore e volontaria, assunse sempre più i connotati di un suicidio collettivo , una diffusa volontà di annientarsi ,scomparire . Come un fiume alla deriva, abbandonarono in massa le campagne , attratti  dal luccichio ingannevole delle città! Non volevano essere più tali! Rinnegarono se stessi, per essere altro da se! Abbracciarono la” modernità” con l’entusiasmo tipico del neofita della prima ora . Per quanto più gli costava allontanarono i propri figli dalla terra , recisero i valori ad essa legata,ne cancellarono la memoria.
Ancora esterrefatti ci chiediamo: ma come sia stato possibile consumare un si tragico misfatto nel più completo e totale silenzio?
In verità , alcuni intellettuali  (ricordate la polemica sulla scomparsa delle lucciole di Pier paolo Pasolini?) ,percepirono la tragicità dell’evento , avvertirono le nefaste  conseguenze , luttuose e irreparabili ,che la fine del mondo contadino trascinava con se.
Per il resto , il vasto fronte ideologico –culturale , condivise la diffidenza e il disprezzo per il mondo contadino , anzi coloro che si sono proclamati portavoce degli interessi delle popolazioni rurali, hanno contribuito ad  accelerarne la scomparsa!
Tra questa folta schiera oltre a politici e sindacalisti, annoveriamo i tecnici ,ricercatori e agronomi. Veri e propri “cavalli di Troia”, portatori di un sapere omologato,di conoscenze appiccicaticce, forte di soli pochi anni di esperienza ,ma baldanzosi pei primi risultati  prontamente “spendibili”.Così ,hanno avuto ragione di una secolare e “sedimentata” esperienza che, in loco, era stata accumulata e tesaurizzata da intere generazioni ,un sapere non separato dal “fare”, ma mediato, riprodotto , trasformato e articolato dalla comunità.
La distanza tra saperi tradizionali e saperi cosi detti scientifici è abissale! Si confrontano e si scontrano due diversi modi di rapportarsi alla “natura”. Per la cultura contadina la natura(ne benigna ,ne maligna ma  solo crudelmente innocente ) si inserisce in una visione del mondo nel quale l’uomo è parte integrante della stessa  con cui interloquisce nel rispetto delle entità biotiche e abiotiche . Per la ricerca agronomica l’uomo può separarsi dalla natura grazie alla tecnologia e potenzialmente e parzialmente dominarla . Queste conoscenze tendono ad avere un carattere generalizzabile , estensibile a luoghi e ad ambienti diversi e distanti tra di loro . Insomma il sapere non è più una prerogativa di una comunità e di una realtà locale : e quello che potremmo definire un sapere “hors sol”!. Ma non è stata questa forse la fonte dei frequenti fallimenti degli agronomi  ogni qual volta tentavano di trasferire in ambienti diversi le stesse tecniche  ? Oppure  nel voler applicare modelli colturali”standardizzati”  rivelandosi nel medio e lungo periodo, inadatti agli ambienti presi in considerazione?
Abbiamo maturato in questi ultimi anni una consapevolezza che ci consente oggi di denunciare  come la ricerca agraria , da originario strumento di conoscenza e acuta osservazione in “loco”degli eventi, sia diventata sempre più “apparato” elefantiaco e burocratico   impegnata  ad autosostenersi e autoriprodursi ,immersi nella retorica della  nell’autoreferenzialità. Abbiamo i  santuari sacri del sapere, la cui custodia è affidata ai  nuovi sacerdoti ,i soli veri leggittimi depositari della verità!. Questsa ricerca intesse sempre più stretti vincoli d’interesse culturali con le industrie agro-alimentari ,con le quali ha quasi sempre una visione “convergente” (vedi ogm) ma che inevitabilmente contribuiscono, attivamente ,al deterioramento dei sistemi agrari.
 Per anni il paragone tra agricoltura industriale e tradizionale e stata istituita in base a criteri puramente economici : scarti di produttività ,redditività del lavoro  efficienza ecc. Tutto il” resto” cioè l’ambiente , la qualità della vita ,la cultura ,il benessere ( da non confondere con il bene avere), non viene mai preso in considerazione .Sono rari gli studi che permettono di considerare i sistemi agricoli nelle loro totalità: la dove si è tentato un approccio che tiene conto dell’insieme delle risorse vie fuori che l’agricoltura tradizionale è più produttiva di quella industriale.
Ma “Il ritorno dei contadini”non è un idea-progetto antistorico? Come si possono spostare indietro le lancette del orologio della storia? Come dovranno essere i contadini di domani?
Anche se volessimo  un ritorno,  siamo seri ,sarebbe impossibile ,ne sarebbe possibile  un suo “restauro” ne la sua “conservazione”.
Tuttavia possiamo e dobbiamo ricucire un lacerato (e spesso spezzato) rapporto con la terra ,e col suo retroterra culturale cioè con la natura ,con il ciclo della vita(e della morte)
Dobbiamo ripristinare la “diversità” di cui il mondo rurale ne è la più significativa espressione per la semplice ragione che  oggi, rimane depositaria di una grandissima varietà di ecosistemi e organizzazioni sociali  di saperi e sapori ,quella che viene definita cultura materiale. 
L’ autrice ,Silvia Perez-Vitoria è perentoria! Conclude l’ultimo capitolo del suo libro con un titolo significativo: Il XXI° secolo sarà contadino…. o non sarà
Buona lettura!

 La riproduzione dei testi è consentita citando la fonte
                                                                                                                      

martedì 10 gennaio 2012

Il testamento di Haussmann e gli agronomi d’oggi

    La prima volta che ho sentito parlare di Haussmann, è stato durante il corso di Agronomia Generale tenuto dal compianto prof Ballatore,alla la fine degli anni sessanta e i primi anni settanta.Anzi credo che fu proprio in quegli anni di contestazione studentesca (sfiorò come una leggera brezza  la nostra Facoltà),che il prof Ballatore “insoddisfatto” dei testi istituzionali,  usuali ovvero correnti , ebbe la felice intuizione di “raccogliere” le sue lezioni e i suoi appunti e sistemarli in ordinate dispense. Chi ha memoria ricorda  quelle lezioni così  travolgenti e passionali che certamente hanno lasciato un tratto indelebile nella nostra formazione culturale. Ascoltavamo curiosi e attenti, in religioso silenzio i riferimenti al primo lavoro pubblicato da Haussmann “L’evoluzione del terreno e l’agricoltura” :erano necessari migliaia di anni per formare pochi centimetri di suolo agricolo fertile,mentre haimè …bastavano poche ore di stupidità umana per perderla irreparabilmente! Ma il testo che più citava il prof Ballatore era “la Terra e l’uomo” , l’opera fondamentale di Haussmann , dove la ricostruzione storica dei rapporti dell’uomo col suolo irrompe ed assume un ruolo preponderante .L’uomo deve entrare in simbiosi col suolo! L’agricoltore è “simbionte” con la terra: “Anche il suolo è un membro della comunità che ha bisogno di essere interpretato non meno degli animali e delle piante, ha bisogno di cure amorevoli e intelligenti per farsi fertile, dispensatore di raccolti. L’agricoltore simbionte intuisce  che tutto nell’azienda dipende in primo luogo da questo substrato informe e immobile , il quale pure cela facoltà miracolose,risorse impensate , una vitalità arcana e fragile “ Tuttavia negli anni successivi l’”evoluzione “ dell’agricoltura si caratterizzò in forte contraddizione con le indicazioni di Haussmann e Ballatore , Quest’ultimo ci venne a mancare anzitempo risparmiandosi le scelleratezze dello sviluppo agricolo; l’altro ebbe il tempo di intravederne le nefandezze , un  disastro che prende il via dalla bulimia di un profitto, il più  rapido ed elevato possibile:  una meccanizzazione forzata e sovradimensionata , l’impiego di fertilizzanti chimici , diserbanti e fitofarmaci  fino all’espansione della monocoltura con l’abbandono delle tradizionali rotazioni agrarie .Haussmann perciò nel 1986 pubblica il suo ultimo lavoro “Suolo e società”, ma incomprensibilmente privo del suo ultimo capitolo”La terra come placenta”. Oggi, grazie alla casa Editrice Fiorentina possiamo disporne e fruirne di questo ampio capitolo, in tutta la sua freschezza e valenza profetica.
Ma cosa è rimasto dell’insegnamento di questi due insigni maestri Haussmann e  Ballatore?  A giudicare dallo “stato dell’arte” ben misera cosa! Ma come è stato possibile che generazioni di agronomi abbiano nella più totale   indolenza , disattendere i più elementari principi agroecologia? Abbandonato le conoscenze fondamentali? Negato i più elementari principi della biocesi? . Ma  forse faremmo meglio a chiederci, esistono ancora gli agronomi? Ebbene  se escludiamo un ristretto drappello motivato e determinato, il resto, haime!, sono divenuti  gli eredi moderni dei vecchi,grigi “sucanchiostro” ovvero solerti burocrati :ossequiosi con i potenti e pedanti con gli utenti.
A ben riflettere ,questo “sviluppo agricolo” degli ultimi decenni , si caratterizza per un totale silenzio e un generale assenza di un benché minimo dibattito e confronto di idee. Una calma piatta ,un clima di supina condiscendenza, di stucchevole unanimismo!
Gli stessi periodici a diffusione nazionale ,come Terra e Vita o l’Informatore Agrario, sorretti da sovvenzioni pubblicitari, profusi a piene mani dalle industrie chimiche dei fitofarmaci ,sementieri, macchine agricole ecc. hanno plasmato a loro immagine e somiglianza generazioni di tecnici ,sempre meno critici ma …sempre più “funzionali”.
Chissà se i nostri maestri Haussmann e Ballatore da lassù ..dall’alto della loro umanità e saggezza, parafrasando Gustave Flaubert scuotendo amareggiati la testa mormorassero :” ..e noi che pensavamo di suonare musica da commuovere le stelle e…. invece ci siamo trovati con tanti omini intenti a battere rumorosamente su una sgangherata pentolaccia, capaci a stento, dir far ballare gli orsi!”


                                                                                                                                    Giuseppe Bivona

lunedì 9 gennaio 2012

La neoruralità e i cibi tradizionali




  Dalla fine della seconda guerra mondiale la nostra agricoltura ha subito un cambiamento profondo e radicale ,una vera rivoluzione paragonabile a quella avvenuta nel neolitico più di diecimila anni fa. Dalla meccanizzazione alla genetica,dalla concimazione alla difesa delle piante, fino alla gestione del suolo.
Ora siamo qui a chiederci: Ma questi cambiamenti  cosi tempestivi e incisivi  nell’agro ecosistema, hanno modificato la qualità dei prodotti agricoli? L’incremento quantitativo ha avuto riflessi negativi sulla qualità? Insomma i cibi consumati oggi hanno la stessa valenza nutrizionale di quelli consumati dai nostri nonni?
La risposta è NO!  Fino a qualche tempo fa  potevamo affermare che i cibi e gli alimenti in generale  di una volta erano più gustosi ,profumati ,insomma più appetitosi. Secondo alcuni in questo giudizio non era estranea l’influenza  di una atavica fame, strettamente legata alla teoria della marginalità.  Tuttavia oggi disponiamo di risultati di ricerca  che ci dicono come la qualità  ovvero la fertilità del suolo e intimamente legata allo stato sanitario delle piante che vi si coltivano e queste  agli animale che se ne nutrono compreso l’uomo nella duplice veste di consumatore finale sia come vegetariano che carnivoro . Il suolo agrario oggi è stato espropriato della sua funzione “mediatrice” ,non fertilizziamo più il terreno , bensì ci rivolgiamo direttamente alle piante  a cui forniamo  sotto forma facilmente assimilabile i tre macronutrienti fondamentali N P K . . Abbiamo scavalcato e reciso tutti i complessi legami che legavano la pianta al suolo con tutta la ricchezza di batteri, funghi, micorrizie e,lombrichi ecc. alterandone il suo equilibrio. Perciò oggi le piante sono meno resistenti alle malattie  ed hanno ridotto le loro qualità “nutraceutiche” .  Le piante coltivate sono selezionate a fini di incrementarne le rese e  soddisfano le sole esigenze “caloriche” ma sono divenute carenti   per esempio del 20% di vitamina C, di 15% di ferro,del 30% di riboflavina  per non parlare di enzimi ,fattori di crescita ecc. Un esempio abbastanza eloquente ci viene dai sistemi di allevamento e alimentazione degli animali domestici, Ebbene la qualità del latte, dei formaggi o delle uova  è  comparabile solo per il tenore proteico ma radicalmente  dfferenti tra animali allevati allo stato libero e nutriti di erba fresca e quelli confinati perennemente a stabulazione fissa e nutriti di sfarinati. Nelle produzioni zootecniche di animali allevati secondo “natura” sono presenti i CLA e gli omega3 , tanto che in America sono in vendita le uova “arricchite” con omega 3. Noi non sappiamo ancora quanta incidenza abbiano questi nostri alimenti  sulla salute e sul nostro benessere, una cosa è certa che parallelamente ad un radicale cambio dell’agricoltura  sono mutate le qualità degli alimenti ….e sarà una coincidenza l’aumento di talune malattie. 

Dott. G. Bivona


domenica 8 gennaio 2012

“Sud. Un sogno possibile”




                                           Un exministro venuto dal Nord lancia la sua profezia per il Sud. L' exministro è il veneziano Renato Brunetta, e la sua visione per il Meridione è stata affidata al volume  Sud. Un sogno possibile  Un sogno che l'ex ministro per la Pubblica amministrazione definisce «possibile» perché ora più che mai ci sono le premesse storiche, economiche e sociali per la fuoriuscita del Mezzogiorno dal tunnel: perché la crisi è quasi finita e perché nella geografia politica si sta formando una nuova importante macro area, quella mediterranea, che comprenderà i Paesi del vecchio continente come tutti quelli che dall’Africa e dall’Asia minore si affacciano su questo mare “Ogni libro sull’arretratezza del nostro Sud dovrebbe essere l’ultimo.

 Questo, invece, è il mio secondo, e ciò segnala un evidente fallimento della politica”. Il Ministro Renato Brunetta apre il suo saggio “Sud. Un sogno possibile”, con un’ammissione di colpa. La politica per il Mezzogiorno è stata troppo parolaia e declamatoria. Ha prodotto progetti e idee, ma anche nuova burocrazia. Soprattutto, non ha inciso sul destino economico di un territorio così ampio ed importante per l’Italia e non solo. E l’autore non è tipo da ammorbidire i bilanci con frasi di circostanza. Nel libro, diviso in due parti, l’autore dapprima analizza empiricamente i motivi delle difficoltà e dei fallimenti antichi e recenti, e poi propone la sua personale ricetta. In due parole: un forte investimento nel capitale umano e nella Pubblica Amministrazione; una stagione di impegno civile e politico talmente poderoso da essere paragonabile ad una nuova “spedizione dei Mille”, che questa volta non si limiti a conquistare territori per poi lasciarli così come sono, ma sappia costruire il loro sviluppo. È in questo quadro che la questione meridionale si presenta in una nuova luce: per la prima volta come un’opportunità non solo per se stessa ma anche per il Nord e per l’Europa.Ma come attuare il rinnovamento? “La qualità di un territorio la fa la sua gente”, sostiene Brunetta, ipotizzando un “programma poliennale di investimenti anche e soprattutto in capitale umano, che abbia come obiettivo il superamento del gap di legalità e fiducia nelle aree più a rischio del Mezzogiorno”. Secondo il ministro “serve una nuova spedizione dei Mille”, un’invasione che dovrà puntare soprattutto alla Pubblica Amministrazione  Occorre anche l'investimento in legalità, inteso come produzione di "beni relazionali", beni intangibili, concepibili come "quell'insieme di culture, rapporti, interconnessioni e sinergie che accrescono la produttività media sociale”. “Aiutiamo il Sud a sviluppare i suoi beni relazionali e gli avremo fatto il più bello dei doni”, afferma Brunetta.  Ovviamente il rilancio del Sud non può prescindere da un sistema pubblico che funzioni, che sia cioè in grado di operare con efficienza, efficacia e trasparenza, in modo da garantire la competizione e il mercato. Scrive il ministro: “L’amministrazione pubblica è parte importante del contesto sociale ed economico e della cultura della legalità e del merito. Laddove lo Stato non funziona, dilagano la corruzione e l’illegalità, e i mercati, fatti di concorrenza ed innovazione, non possono funzionare”.
Con un monito finale, che è insieme una preghiera e una speranza: “Gli uomini e le donne del Sud devono rendersi conto che ‘più legalità e più capitale umano  vogliono dire più sviluppo, più benessere vero, più libertà, più cittadinanza. Meno dipendenza e più responsabilità. Ed un Sud avviato su un sentiero virtuoso di crescita fa bene all’Italia e fa bene all’Europa”.     Visto che si parte così da lontano, dal sogno in parte tradito del Risorgimento, possiamo concludere che è giunta l’ora di rispondere al principe di Salina per cui “tutto deve cambiare perché nulla cambi”. Questa volta, nel sogno possibile del ventunesimo secolo, la spedizione dei Mille dovrà cambiare davvero le condizioni della crescita ed aprire una pagina nuova dell’economia e della vita civile del Sud Italia.   
                           Concludiamo con due domande per i nostri lettori, ma al Sud serve ancora una ricetta esogena ?....e ancora la gente del  Sud l’ha capito che lo sviluppo di un territorio, non scende più solo dal cielo?    O forse serve un idea di sviluppo, affidata a uomini che sappiano coniugare le risorse del territorio con la consapevolezza di saper fare e di saper essere nel tempo  e nei luoghi  in cui viviamo.
……………………e il popolo siciliano ? ……. Il popolo, continua a sonnecchiare,  come sempre !!!!