mercoledì 21 novembre 2012

Un Padre




Giuseppe Bivona

                                           Il vecchio falegname  ,con gli occhi gonfi per le lacrime , pialla pigramente un grosso legno e   ogni tanto ripassa con il palmo della mano la superficie liscia.
Ha sempre amato il contatto con le cose , le sedie, le panche , le madie…ma anche le persone , in particolare i bambini e soprattutto il suo quando era piccolo , amava prenderlo in braccio stringerselo al petto e fargli posare la sua testolina sulle spalle .
 Poi  cresce comincia a muovere i primi passi . Si, lo ricorda come fosse ora . Lui e Maria  l’uno di fronte all’altre  poco distanti  abbandonano per pochi attimi il bambino  che barcollando  arriva alle braccia dell’altro . Però stranamente il bambino al posto di ritornare da lui  all’improvviso si allontana dal padre . Chissà, una premonizione, una triste metafora dell’avvenire
Giuseppe non riesce  a dimenticare  neanche per un istante il dolore senza fine che lo tormenta .
Sono passati  due giorni   da quando  il suo ragazzo è morto crocifisso assieme ad altri due disgraziati , una fine atroce che non la si augura neanche al peggior nemico!
 Gesù , fin dall’infanzia, ha sempre intrattenuto un rapporto privilegiato con sua madre,  c’era Maria  a Cana , alle nozze ,dove avvenne il primo miracolo. E lui, Giuseppe dove era? A casa a lavorare.
Crescendo quel suo ragazzo  veniva sveglio, vivace, però di tanto in tanto faceva strani discorsi che l’anziano genitore non riusciva a comprendere il nesso logico.  Ma la cosa che più lo feriva erano i riferimenti ad un altro padre che sta lassù in …cielo.
Inutile le sue premure , le attenzioni , gli oggetti che aveva lavorato per lui : il cavallino a dondolo, un tavolino ed una sedia  piccoline su cui iniziava a scrivere la prime lettere dell’alfabeto. No, il ragazzino quasi lo disconosceva,  respingendolo nell’ombra, anzi nel buio , nella solitudine. A nulla era valso  trasferire la sua bottega  a Gerusalemme, il ragazzo non  aveva alcuna voglia di continuare il mestiere del padre voleva farsi la sua esperienza , andare a vivere lontano in  un paese sconosciuto   pare fosse l’India…dove ci rimase per parecchi anni. Ah! Se avesse ascoltato il suo consiglio e restava a lavorare  nella bottega!. Non avrebbe di certo frequentato  discutibili compagnie e non avrebbe avuto certe idee strampalate! Avrebbe risparmiato lo strazio alla sua povera madre
Ora dai suoi occhi scendono rivoli di lacrime ,non riesce a vedere il legno da piallare, si ferma: “ “Possibile che sia stato solo ieri l’altro, quel giorno tremendo ?“Si chiede ancora incredulo
Eppure ,  malgrado gli acciacchi era salito , senza l’aiuto di nessuno su quel monte maledetto, aveva cercato di farsi largo tra la folla “ Io sono suo padre!” gridava con il poco fiato che gli restava nei polmoni “ fatemi passare, quello al centro è mio figlio!”
Voleva stargli vicino , avrebbe voluto toccargli i piedi inchiodati, gli stessi che da bambino li aveva accarezzato per riscaldali… magari salire lassù con una scala e stringergli la testa tra le sue mani , sfiorarlo, baciarlo e consolarlo.
Ma un muro di gente  gli impedisce di avanzare ,anzi lo respinge , ma il vecchio non demorde , neanche il buio può risucchiarlo lontano dal suo ragazzo.
Poi  ,ad un tratto, quel grido lancinante che fende l’aria cupa del tardo pomeriggio e gela tutti i presenti:” Padre mio, padre mio , perché mi hai abbandonato?” .
Come può un padre abbandonare il figlio morente? Che razza di padre è colui che non sente , ascolta  la richiesta  di aiuto del  proprio figliolo?
 Tutte ragioni di questo mondo  non valgono la vita di un figlio! La vita è sempre e comunque un “fine” e non ci sono scopi  ,per quanti nobili ,che la possano ridurla a “mezzo”.
Giuseppe, non resiste al grido di aiuto del suo ragazzo, come un vecchio leone fende la folla ,a forza di sgomitate si fa strada ,raggiunge i piedi della croce, abbraccia il palo che sorregge il suo disgraziato ragazzo e con tutta l’aria che ha nei polmoni grida:” Si, sono qui, non temere ,non ti abbandono,Io, sono tuo padre!”
Il vecchio falegname, non sa resistere al dolore, non ha più lacrime da versare, poi alza la testa  per vedere l’ultima volta il suo figliolo e sul suo volto  scarno scende una pioggia mista a sangue.
Di certo Gesù si sarà accorto della sua presenza e per l’anziano genitore è già sufficiente:questo  atroce dolore un po’ glielo lenisce, quasi lo consola.
     

2 commenti:

  1. Leggendo e rileggendo questo racconto, oltre alle sensazioni di commozione che mi ispira quel padre che vede il proprio figlio morire sulla croce, sono indotta a riflettere sul significato intrinseco che si vuol dare al racconto. Si vuol dare il messaggio che la vita non può essere un mezzo per uno scopo , seppure nobile, ma è di per se un fine e nessuno, neppure Dio, ha il diritto di sacrificarla!
    E allora gli eroi che sacrificano la propria vita per un ideale? Quelli che al costo della propria vita hanno fatto si che l'umanità migliorasse, quelli che si sono sacrificati per salvare anche una persona o un gruppo di persone. La storia è piena di questi eroi, e gli uomini migliori vengono selezionati nelle battaglie...a volte sacrosante...per la sopravvivenza di un popolo, anche nel mondo animale le femmine uccidono o abbandonano i figli più deboli o malati per far si che gli altri sopravvivano.
    Per i credenti... inoltre... Gesù non è solo umano, ma è anche di origine divina e muore soltanto la vita terrena per vivere nell'eternità insieme al suo Padre Divino. Per chi crede Gesù non è morto ma vive nella sua Parola, e in effetti il suo messaggio è ancora presente tutt'oggi.
    Questa è la riflessione che ho fatto...forse puerile...una riflessione di persona che si pone delle domande, ma che non si sa dare risposte, possono essere confutate da chi non crede, ma è già qualcosa il fatto che siamo coscienti della nostra incapacità di capire.

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    1. Dice Bertolt Brecht: " Fortunati i popoli che non hanno bisogno di eroi"
      La morte è la fine naturale di tutte le cose, e gli antichi greci , che erano gente seria e saggia , ne avevano compresa tutta la sua "tragicità". Da una parte la sua ineluttabilità e dall'altr il "non senso" l'atroce dolore per la perdita della propria vita e delle persone care.
      Perciò gli uomini venivano sempre e spesso chiamati mortali , perchè non dimenticassero mai il loro definitivo destino.
      Eschilo nel suo "Prometeo Incatenato" fa chiedere al coro: " Ma forse tu , oltre al fuoco, hai dato agli uomini vane speranze?"
      "Si" rispose Prometeo e quelli " Ben ti sta che l'aquila ti becca il fegato ogni giorno". Per gli antichi greci l'immortalità era un privilegio dei soli Dei, , agognare l'immortalità è tracotanza l'hibris ,un atto ,diremmo oggi ,peccaminoso.
      In verità nell'uomo questa " ansia" non lo demorde mai, la ragione è semplice: possiede un cervello capace di espressioni dantesche o morzatiane e poi... un corpo fragilissimo , incapace di custodire al meglio questa sua singolare inteliganza.
      Il colpo di "genio" del cristianesimo sta tutto qui : offrire agli sventurati il sogno dell'immortalità( non si sa bene se del corpo o dell'anima) . fu questa la carta vincente della nuova religione a cui si rivolsero un numero crescente di accoliti.
      Nel suo bel libro "L'anima e il suo destino" Vito Mancuso teologo inteligente quanto avveduto, traccia un segmento stretto e invalicabile tra Dio, amore e vita.
      La sacralità della vita è un'assioma , non saremmo qui a "menar il can per l'aia" se la vita su questo pianeta ,indipendentemente da chi è credente o meno non fosse coniugata al "fine;il resto sono "variazioni sul tema"
      G. B

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